di Antonio Bordoni.

Il mondo finanziario continua a lamentarsi e a sorprendersi di ciò che avviene nell’ambito della industria aerea commerciale e il ritornello è più o meno sempre lo stesso: mentre in tutti i settori commerciali e finanziari una azienda straniera può acquisire il controllo di una società di un altro paese, l’industria delle aerolinee è ancora governata da regole sulla proprietà e controllo che vietano a investitori stranieri di assumere il controllo di aerolinee “nazionali”.  Per la moderna finanza un fatto del genere rimane una incomprensibile anomalia e i guru della globalizzazione non si accontentano affatto dei merger che avvengono in casa fra vettori della stessa nazionalità; vogliono di più in particolare sul fronte internazionale.  Personalmente non crediamo che dubbi e resistenze sull’argomento siano davvero  difficili da comprendere. Tralasciamo quanto avvenuto all’interno della cosiddetta Europa senza frontiere ove è stato permesso a una Lufthansa di controllare al 100 per cento quello che una volta era il vettore di bandiera svizzero, quello che una volta era il vettore di bandiera austriaco e la nostra Air Dolomiti.  Lasciandoci alle spalle queste manovre intra-europee sulle quali pure ci sarebbe molto da disquisire,   chi può immaginare una compagnia a stelle e strisce controllata da capitale interamente straniero?

 

O chi, ad esempio, potrebbe immaginare una British Airways interamente controllata da capitale russo? E che senso avrebbe se una aerolinea come la Emirates fosse interamente posseduta da capitale di un paese europeo?  La realtà è -come qualcuno aveva predetto allorchè venne varata la deregulation dei cieli- che aldila dei proclami di facciata, il vettore di bandiera per molti Stati rimane un asset che non si vuol passare in mani straniere e che l’aviazione commerciale con un prodotto basato sul principio io volo a casa tua e tu voli a casa mia è una industria del tutto particolare, sui generis. 

In questo scenario da molti ritenuto “ingessato” alle compagnie aeree non sarebbe rimasta altra soluzione di entrare nelle alleanze, fatto questo che permette ad ognuno dei partecipanti di lasciare intatta la sua identità nazionale. Ma in realtà non è proprio così che stanno le cose e  sarebbe del tutto errato fermarsi a questo stadio  di indagine dal momento che per le aerolinee è stato escogitato un elegante espediente che ha permesso di andare ben oltre le alleanze.  E’ grazie a tale espediente, ad esempio, che la compagnia  Swiss sia pur controllata al 100 per cento da una Lufthansa rimane una compagnia svizzera.  Si tratta del principio che ha mandato in soffitta lo storico concetto del controllo azionario (Ownership) creando in sua sostituzione il principio del Principal Place of Business (PPB).

Grazie ad esso la Swiss rimane una compagnia svizzera in quanto non è più necessario che il suo capitale sia per la maggioranza controllato da cittadini svizzeri bensì:

“the airline is established and incorporated in the territory of the designating Party in accordance with relevant national laws and regulations, has a substantial amount of operations and capital investment in physical facilities in the

territory of the designating Party, pays income tax, registers and bases its aircraft there, and employs a significant number of nationals in managerial, technical and operational positions.”  (1)

 

E’ con tale trovata che si può leggere sul sito istituzionale di Air Dolomiti la frase: “Oggi Air Dolomiti è la compagnia aerea italiana di Lufthansa”  (2) un concetto alquanto astruso dal momento che, come tutti sappiamo, essendo la Lufthansa tedesca non si capisce come una compagnia aerea che è di Lufthansa possa considerarsi italiana.

Nel bel mezzo di tale odierno scenario non sono pochi coloro che si sono chiesti quanto l’aspetto sicurezza venga intaccato da queste novità.  Infatti se una compagnia finisce controllata da un vettore ritenuto affidabile evidentemente non vi è da preoccuparsi, tuttavia  la vicenda delle acquisizioni ha fatto tornare alla mente il problema  da sempre vigente in campo marittimo della flag of convenience , ovvero bandiera di comodo, ed è su questo fronte che bisogna soffermarsi per valutare eventuali conseguenze sul tema sempre attuale della sicurezza del volo.

Con il termine bandiera di comodo (o anche bandiera ombra o bandiera di convenienza) si indica l’insegna di una nazione che viene issata da una nave di proprietà di cittadini o società di un’altra nazione. In questo modo, il proprietario della nave può spesso evitare il pagamento di tasse e ottenere una registrazione più facile; la nazione che fornisce la bandiera riceve soldi in cambio di questo servizio. La Federazione Internazionale dei Lavoratori del Trasporto (ITF) mantiene una lista di nazioni che usano le proprie bandiere a questo scopo.

La pratica è malvista quando (come avviene di solito) l’impiego della bandiera di comodo avviene per ottenere una registrazione più facile della nave; le altre nazioni, con requisiti più vincolanti, non gradiscono la perdita di guadagni, e la sicurezza e le condizioni di lavoro dell’equipaggio possono soffrirne.

Le navi in navigazione sventolano una bandiera nazionale detta “insegna”. In base a convenzioni del diritto internazionale, la bandiera sventolata da una nave determina la fonte di diritto che deve esserle applicata, indipendentemente da quale corte ha giurisdizione personale sulle parti. Una “nave con bandiera di comodo” è una nave che sventola una bandiera di una nazione diversa da quella del proprietario.  (3)

 

Aspetti fiscali, contrattualistica e condizioni di lavoro sono quindi i temi sensibili che inducono l’imprenditore a far uso di tale espediente.  E proprio di recente abbiamo avuto un primo esempio di applicazione di tale concetto nel settore dell’aviazione civile: si tratta del caso della compagnia Norwegian Air International.

Il problema riguarda i collegamenti Europa-Usa. Solitamente un vettore statunitense usa equipaggi del suo paese e stessa cosa fanno le compagnie UE.  La NAI “Norwegian Air International” è una compagnia di proprietà norvegese la quale tuttavia ha la Certificazione di Operatore IRLANDESE pur non volando da scali di quest’ultima nazione;  assume equipaggi basati a Bangkok, quindi TAILANDESI i quali vengono reclutati tramite una agenzia di impiego di SINGAPORE, ad essi pertanto si applicano le labour laws vigenti in quel Paese, ricordando comunque che solo per il fatto di essere una compagnia irlandese la NAI può beneficiare delle aliquote fiscali e contributive notoriamente più basse di quelle vigenti in altri paesi.  Attraverso questi passaggi la compagnia può offrire tariffe più basse rispetto a quelle che dovrebbe applicare se tutto il suo personale fosse invece assunto in NORVEGIA. (4) 

Da questo concreto esempio possiamo vedere come:

1) il tanto decantato “campo livellato” è lungi dall’essere applicato e rimane in ogni caso una chimera;

2)  il passeggero che acquisterà un passaggio con la NAI sarà convinto di volare con un vettore norvegese mentre in realtà sta usando una compagnia che è un mix di nazionalità.

3) La Norvegia avendo ottenuto il certificato irlandese è riuscita a bypassare i problemi derivanti dal fatto di non essere un vettore UE.

 

Norwegian Air International’s business model exploits the “flags of convenience” model used in the maritime industry. The “flags of convenience” model allows an airline, for example, based in Norway to create a subsidiary on paper only in another country to take advantage of lax labor, safety and tax regulations and circumvent such laws in its home country. (5)

Il DOT statunitense ha alla fine approvato il contestato collegamento con gli USA, non estraneo il particolare che la compagnia ha una flotta tutta Boeing di 175 velivoli e ordini per altri cento velivoli, sempre Boeing. (6)  Inoltre in concomitanza con l’ottenuta autorizzazione la compagnia  ha annunciato che avrebbe aperto scuole di pilotaggio negli USA fatto questo che avrebbe permesso l’assunzione di piloti statunitensi.

Al momento di scrivere questi appunti ci si attende dalla nuova amministrazione Trump una presa di posizione in senso contrario a quella assunta dal suo predecessore che invece ha approvato la concessione dei collegamenti con gli Usa. Ma non si sa se, e quando, il ripensamento avverrà.

Altro tema molto sensibile che fa tuttora discutere è quello relativo all’Ente regolatore di riferimento (“regulatory responsibility”).  Da un studio della Civil Aviation Authority (CAA) britannica:

“The most powerful argument against ownership and control liberalisation in the aviation sector would be if it were likely to lead to any diminution of safety standards.

A possible consequence of liberalisation may be that airlines will become more footloose, allowing them actually to re-base themselves in countries offering lower regulatory standards and thereby eroding safety and employee standards.”  (7)

 

Senza girarci troppo intorno se una aerolinea per risparmiare si registrasse sotto una nazione che non brilla per la sicurezza del volo ciò –come avverte anche la CAA- potrebbe erodere i margini di sicurezza.

Sarebbe pertanto auspicabile che l’Ente Regolatore autorizzato a rilasciare le certificazioni e sotto il cui controllo dovrebbe rimanere il vettore, sia in ogni caso quello stesso del paese di origine dell’aerolinea,  cioè  lo Stato che nei nuovi modelli di accordo viene individuato come il Principal Place of Business.

 

 

Antonio Bordoni

 

 

 

 

(1)ICAO Source: ICAO (2003) Consolidated Conclusions, Model Clauses, Recommendations and Declaration

from the 5th World Wide Conference on Air Services.)

(2) http://www.airdolomiti.it/azienda

(3) Tratto da Wikipedia

(4) Dal sito ITF Aviation blog: “First, there are the peculiarities of the airline’s business model. U.S. airlines that fly to the EU use American-based flight crews, and EU airlines that fly to the U.S. use EU-based flight crews. NAI is a Norwegian-owned company that holds an air carrier certification from Ireland, but does not fly to or from Ireland. Nor does it use Norwegian or even Irish flight crews, but rather Bangkok-based crews are hired through a Singapore employment agency and who work under Singapore labor law. This “nation-shopping” model has enabled NAI to artificially lower operating costs by suppressing collective bargaining rights and substantially lowering the wages, benefits and conditions offered to these rented workers as compared to their Norwegian-based counterparts.”  (articolo datato 28 gennaio 2015)

(5) Da un articolo datato 4 luglio 2016:  NAI’s sister airline, Norwegian Air UK, denied foreign air carrier exemption (International Machinists Union)  tratto da ITF Aviation Blog.

(6) La NAI è in realtà una sussidiaria della Norwegian Air Shuttle fondata nel gennaio 1993. La NAI ha una flotta composta da 49 Boeing 737-800; la Norwegian Air Shuttle ha una flotta composta da 112 B737-800 e 13 B787. In ordinazione vi sono 119 altri B737 e 27 B787-900

(7) Tratto dalla pagina 2 di “Ownership and control liberalisation, a discussion paper”  CAP769, Ottobre 2006