di Liliana Comandè.
Ci si alza la mattina e mentre ci si reca al lavoro ci si chiede come sarà la giornata.
Sarà una buona o una cattiva giornata? C’è sempre un punto interrogativo alla fine di questa domanda! Andrà bene? Andrà male? Quale sarà l’esito di un altro giorno che passa? Gli albergatori riceveranno abbastanza prenotazioni da non dover andare sotto con i costi di gestione? Le compagnie aeree quanto perderanno o guadagneranno? E i tour operator riusciranno a riempire i charter programmati? E i dettaglianti? Sarà una giornata sì per i viaggi oppure una giornata con il pollice verso? E i giornali che si occupano di turismo riceveranno ordini pubblicitari sufficienti a coprire le spese – piuttosto elevate – delle pubblicazioni?
Quante incertezze quotidiane, e quanta voglia di mollare tutto e dedicarsi ad un’altra attività più redditizia e sicura, sempre ammesso che oggi ce ne sia qualcuna che non dia gli stessi “patimenti” del turismo! Una cosa è certa: l’imprenditoria turistica è piuttosto stanca di vivere nell’incertezza di non sapere cosa accadrà nell’immediato. Se un giorno si ricevono parecchie prenotazioni, non è detto che il giorno dopo succeda la stessa cosa, anzi. Accade ormai abbastanza frequentemente che alcuni giorni positivi – per le prenotazioni – facciano sembrare quasi terminata la crisi, ma poi tutto si ferma di nuovo e l’imprenditore ritorna a preoccuparsi per la stasi che viene a ricrearsi all’improvviso.
È l’incertezza, e l’incapacità di azzardare ogni qualsivoglia previsione, che mette a dura prova gli animi di chi ha speso una vita in questo settore impiegandovi tutte le energie fisiche/mentali e le proprie risorse economiche.
Il turismo contro…il turismo
Ogni giorno c’è qualche novità a sfavore di qualche settore del turismo e il paradosso è che le brutte notizie vengono quasi sempre dagli altri comparti turistici. Se le compagnie aeree tolgono le commissioni il danno lo procurano solo alle agenzie di viaggio e ai T.O.. Se gli albergatori, una volta che hanno acquisito dei clienti grazie all’intermediazione delle agenzie, li “carpiscono direttamente attraverso la lusinga di una riduzione di prezzo, ecco che anche in questo caso il danneggiato è il T.O. e l’agenzia dettagliante. E se gli operatori vendono direttamente al cliente finale – senza avere la licenza giusta per poterlo fare – di nuovo a rimetterci è il semplice intermediario. Come si evince facilmente da questi esempi, a rimetterci, gira che ti rigira, è sempre l’anello più debole della catena, quello che fa – o dovrebbe fare – da raccordo tra chi programma i viaggi e chi li dovrebbe acquistare.
Parole, parole…
Qualche anno fa ho scritto che la figura dell’agente di viaggio puro e semplice è destinata a divenire “una razza in via di estinzione”. Occorre correre ai ripari (se ancora ne esistono di ripari) affinché non si assista alla scomparsa di tante aziende (piccole e medie, soprattutto) che tanto hanno dato al nostro ingrato Stato in termini di ricchezza economica e di posti di lavoro. Talvolta alcuni nostri politici organizzano conferenze stampa per parlare di turismo, di nuovi tipi di turismo, dell’importanza del settore ecc… Ma, appunto, parlano di turismo e nient’altro. Alle parole difficilmente seguono i fatti o anche minimi sostegni per rendere concrete le tante belle parole dette davanti ad una platea di giornalisti. In verità si dichiarano tutti coscienti della crisi che sta soffocando da lungo tempo questo settore, ma poi, alla resa dei conti, nessuno fa (o ha fatto qualcosa) per alleggerire, anche momentaneamente, la pesante situazione degli imprenditori.
Imprenditori, che non hanno nomi altisonanti, ma che lavorano sodo per mantenere in piedi le aziende messe su con l’entusiasmo di chi ama questo tipo di lavoro, e coscienti che, difficilmente, questa passione può rendere loro- in termini economici – tanto quanto altre attività commerciali.
Le agenzie non sono industrie
Purtroppo quando si parla di imprenditori si pensa quasi sempre ai grandi “capitani” d’industria, a quelli che vengono invidiati perché fanno parte di un mondo che non appartiene alla stragrande maggioranza degli italiani, a quelli che frequentano il Jet Set e sono accompagnati a donne belle e note. A quelli che possiedono ville, panfili e…di tutto di più.
Sfortunatamente, nel settore turistico – tranne pochi casi che si possono contare sulle punte delle dita – non esistono queste realtà miliardarie.
La maggior parte degli imprenditori, infatti, lavora in azienda sapendo quando ne entra ma non sapendo quando ne esce.
Lavora fianco a fianco ai suoi dipendenti, e si da un gran da fare perché, alla fine del mese, ci sono da effettuare tutti i pagamenti e si devono far quadrare le entrate con le uscite.
Le risorse umane
Parlando proprio delle piccole aziende, quelle – per intenderci – che non possono permettersi di pagare un manager che faccia le veci del titolare, tutto è affidato al controllo di quest’ultimo. Oggi come oggi, trovare risorse umane affidabili, coscienti, mature e con una mentalità pro-azienda è diventato abbastanza difficile. Chiaramente non si deve fare di tutta un’erba un fascio, ma è piuttosto diffuso un certo menefreghismo o l’abitudine di schivare le responsabilità. Ho parlato molte volte di professionalità del settore, ma non basta solo quella dei titolari a mandare avanti un’impresa (mi riferisco sempre a quella di dimensioni piccola-media).
Se capitano nelle agenzie, ad esempio, degli elementi che pensano di lavorare per un ministero anziché per una piccola società, ecco che alle preoccupazioni per la scarsezza di clienti si aggiungono anche quelle per la gestione dei propri impiegati.
Ci si domanda a che cosa serva allora lavorare 10 12 ore al giorno, lavorare anche il sabato, se non si può contare sulla collaborazione dei propri dipendenti.
È giusto lavorare, dunque, solo per pagare gli stipendi a chi invece non capisce e non si preoccupa del fatto che se l’azienda va male vuol dire che il suo posto non è più sicuro? Purtroppo esistono persone che non si affezionano mai all’azienda per la quale lavorano né sono attaccate al lavoro che svolgono. La sola cosa che interessa è arrivare alla fine del mese e ritirare lo stipendio.
Certo, lo ripeto, non è questa la norma nelle piccole aziende, e moltissimi dipendenti non si riconosceranno – a ragione – in questa descrizione, però…credetemi, questa situazione è abbastanza diffusa e sento affermare non solo i piccoli imprenditori, ma anche quei dipendenti che hanno a cuore l’azienda, e ne curano al massimo gli interessi, di essere stanchi di assistere a questo stato di cose che danneggiano il mondo lavorativo.
Chi vale va avanti
Si dice da più parti che questo è un settore che paga poco e si dice anche che nelle agenzie si tende ad assumere i “ragazzini” che escono dalla scuola perché vengono pagati di meno. Sicuramente i “ragazzini” guadagnano di meno perché devono ancora “farsi le ossa”, perché sono al loro primo lavoro e perché hanno meno esigenze rispetto a chi ha già una famiglia da mantenere.
Però… ma chi si sente di garantire che una persona che ha tanti anni di lavoro alle spalle sia realmente più brava e capace di chi ne ha di meno? Esperienza non vuol dire automaticamente bravura. Una persona dal carattere “pasticcione”, poco responsabile e superficiale lo sarà anche dopo 20 anni di attività. E chi ha un carattere indolente e privo di entusiasmo non cambierà certo perché ha lavorato tanto nel settore. Sbandierare la propria anzianità nel settore non è di sicuro sinonimo di validità. Un “lavativo” sarà un lavativo di 20 anni, prima, e di 40 anni, poi.
Probabilmente prendere del personale giovane significa anche “plasmarlo” nel modo più confacente all’azienda..
E sicuramente, come in tutte le cose, è tutta una questione di mentalità e di predisposizione. Non è affatto una questione di età o di anzianità di lavoro. E, a proposito, in giro c’è sempre “fame” di personale competente e fidato, tanto che se una persona vale realmente viene pagata bene. E il personale bravo, anche se costa di più, non si lascia mai scappare.
Si tenta di tutto per trattenerlo. Oggi è come vincere un terno a lotto quando si riesce a trovare la persona giusta per la propria azienda. Quando si raccomanda a qualcuno una persona amica, bisognerebbe conoscerla non solo dal lato “amichevole”, ma anche da quello lavorativo. Sicuramente non è la stessa cosa. Un bravo amico/a può essere invece un pessimo lavoratore o un pessimo compagno di lavoro.
Ricordo che molti anni fa, prima di assumere del personale, venivano chieste quante più referenze possibili. E prima di assumere si conosceva quasi al 100 per 100 la persona che entrava a far parte della “famiglia-azienda”. Oggi sembra che non si usi più prendere informazioni. Ci si fida di ciò che è scritto in un curriculum o del proprio “sesto senso”.
Mai pensato a quanti errori si potrebbero evitare?
Tratto da Travelling Interline (2004)