Di Antonio Bordoni.

E’ perlomeno paradossale.  Dopo aver pronosticato che il fenomeno low cost non avrebbe mai attecchito e che sarebbero state sempre e in ogni caso le compagnie tradizionali a dettar legge, evento questo clamorosamente smentito dalla realtà dei fatti e dalle cifre, oggi sentiamo circolare commenti secondo i quali il fenomeno “low cost” sarebbe giunto al capolinea. E tutto perché a causa di un problema contingente (leggasi pandemia) che ha costretto tutte le aerolinee a tener a terra le proprie flotte, e conseguente crisi che ne è derivata, i prezzi dei biglietti, compresi quelli venduti dalle low cost, sono destinati a salire. Ma un tal modo di vedere le cose, dispiace dirlo, dimostra  che  si è capito poco o nulla del fenomeno low cost.

Condurre una compagnia LCC, a basso costo, significa avere una struttura costi/ricavi che permette al vettore di volare offrendo tariffe ridotte rispetto all’offerta proposta dalle compagnie tradizionali, le cosidette legacy carriers.  Non è compagnia low cost quella che vende, sic et simpliciter, una rotta a 10 euro rispetto alla aerolinea di bandiera che  vende la stessa rotta a 100;   è compagnia low cost quel vettore che vantando una struttura costi/ricavi del tutto spartana  vende a 10 e, malgrado ciò,  riesce a chiudere il suo bilancio in attivo. Se stessa politica fosse attuata da una compagnia tradizionale questa sarebbe destinata a chiudere nel giro di poco tempo, come in effetti è avvenuto a non pochi vettori che si proclamavano low cost e che sono durati da Natale a Santo Stefano.

Michael O’Leary ha recentemente dichiarato che i biglietti “a 10 euro non si vedranno più”. In una intervista alla BBC ha precisato che l’attuale situazione conseguente a due anni di crisi non permetterà più di vendere biglietti a tariffe basse. In effetti O’Leary ha detto una verità che molti passeggeri avevano già constatato di persona  acquistando un biglietto aereo con qualsivoglia compagnia e non certo con la sola Ryanair.  L‘unica differenza è che O’Leary lo ha ammesso pubblicamente, gli altri lo hanno fatto in silenzio.

Ecco cosa avvertiva un servizio del Codacons datato 21 maggio 2022 (quando O’Leary non aveva fatto ancora annunci di aumenti): “Con l’arrivo del caldo e l’aumento degli spostamenti degli italiani i prezzi dei biglietti aerei sono schizzati alle stelle. Nell’ultimo mese le tariffe dei voli europei hanno subito un incremento del +91% rispetto allo stesso periodo del 2021. I voli intercontinentali sono rincarati del 35,7% mentre il prezzo di quelli nazionali risulta in crescita del 15,2%…” (1)

La dichiarazione di O’Leary, come di frequente accade,  ha generato stupore e inappropriati commenti fra gli “addetti ai lavori”.  Questa leggenda metropolitana di quanto  caro sia viaggiare in aereo conferma una narrazione che ha sempre contrassegnato il trasporto aereo.

Di fatto malgrado è da tempo ormai che si può volare da una città all’altra d’Europa pagando una tariffa decisamente più bassa di ciò che paghiamo per prendere il taxi e recarsi dalla propria abitazione all’aeroporto, la vulgata che il viaggio aereo è too much expensive continua a imperversare.

Va detto a chiare note che se oggi una Ryanair, così come tutti gli altri vettori, è costretta ad aumentare le sue tariffe (2) ciò non vuol dire affatto che le compagnie low cost sono in crisi e che la loro era è finita.

Piuttosto quello che ci sentiamo di commentare è che sarebbe ora di smetterla di voler distinguere il mondo delle compagnie aeree in vettori low cost e  non low cost.  Il fenomeno ha preso piede ovunque e ormai bisogna prendere atto che in ogni continente i collegamenti regionali vengono svolti da vettori LCC i quali, anno dopo anno, hanno conquistato fette di mercato sempre più ampie.

In un tale consolidato scenario se c’è una distinzione da applicare è quella che vi sono ormai mega vettori che si dedicano a portare passeggeri sul long haul (leggasi Emirates, Lufthansa, Klm, British Airways etc) e compagnie che hanno scalzato i vettori di una volta sui collegamenti a breve-medio raggio, appunto i vettori che ci ostiniamo ancora a denominare low cost.

Questa è la vera distinzione che oggi si può fare la quale come si vede più che basarsi sulla tipologia di aerolinea si basa sulla tipologia di collegamenti svolti, ovvero il bacino di traffico cui punta.  Tale nostra osservazione trova fra l’altro anche supporto dal particolare che, come dimostrato dall’argomento ancillary revenue, (3) molte delle caratteristiche lanciate dai vettori LCC sono state ormai adottate anche dai vettori tradizionali.

Fine delle low cost? La risposta è assolutamente negativa. Le due tipologie oggi si sono perfettamente integrate dedicandosi a precise tipologie di traffico e si assomigliano talmente, al punto che più  di scomparsa bisognerebbe parlare di simbiosi dei due modelli. Si assomigliano talmente che l’aumento delle tariffe è stato attuato in contemporanea sia dalle low cost come da tutti gli altri vettori e non è affatto serio mettere in risalto solo l’aumento dichiarato da Ryanair.

Le osservazioni contenute in questo nostro breve intervento rapportate ai problemi di casa nostra, ovvero della novella star “ITA Airways” fanno capire quanto corrette siano le preoccupazioni di chi vede un futuro poco roseo per questa compagnia la quale, almeno finora, è lungi dall’appartenere al mondo delle grandi compagnie, ma  opera su un network contraddistinto  da un mix di continentale e qualche linea sull’ intercontinentale. Un modello decisamente ibrido  e dalle dimensioni ridotte il quale finirà inevitabilmente per far feederaggio a una delle maggiori compagnie europee.

 

 

  • https://www.ilsole24ore.com/art/prezzi-aerei-estate-rovente-tariffe-quasi-raddoppiate-voli-europei-152percento-i-nazionali-AEemOIaB
  • https://www.bbc.com/news/business-62495846
  • Le “ancillary revenue” o entrate accessorie sono quelle derivanti da beni o servizi diversi dall’offerta principale di un’azienda. Ne sono un esempio i ricavi derivanti dalla gestione dei bagagli, dai pasti e bevande, o dalla selezione dei posti ricevuti dalle compagnie aeree. I ricavi accessori possono superare i ricavi primari, portando a cambiamenti nei modelli di business. Al bilancio chiuso il 31 marzo 2022, la Ryaniar mostrava un totale revenues di 4,800.9 milioni di euro i quali erano composti da 2,652,5 di scheduled revenues, e 2,148.4 di ancillary revenues.

 

     Tratto da  www.Aviation-Industry-News.com