di Antonio Bordoni

 

In questi giorni  di tragiche notizie provenienti dall’Emilia Romagna, abbiamo appreso che la rete ferroviaria ad alta velocità, nonché collegamenti locali sempre ferroviari, sono stati resi inagibili a causa delle troppo abbondanti piogge.  Chi si doveva spostare sulla Roma-Milano in molti casi ha dovuto prendere l’aereo e rinunciare al treno. E’ sempre positivo disporre di un mezzo alternativo.

In quei stessi giorni in cui da noi si faceva la conta dei danni, veniva data notizia che in Francia, per la precisione dal 24 maggio, se vuoi prendere un volo la cui durata è inferiore ai 150 minuti, ovvero sotto le 2 ore e 30 minuti, in caso di esistenza di una linea ferroviaria alternativa, in pratica ti è vietato prendere l’aereo.

Ciò significa che le compagnie aeree  debbono rinunciare a volare su determinate tratte o comunque limitare notevolmente le frequenze dei voli dal momento che la nuova legge vieta l’uso dell’areo per servizi point-to-point ma non lo vieta nel caso che si voglia prendere un certo volo per poi proseguire in coincidenza su un altro servizio.

Ovviamente per evitare trucchi dei furbetti benestanti è altresì vietato ricorrere ai jet/executive privati.  In pratica e per il momento la nuova legislazione impedisce di volare sulle tratte tra Parigi e Nantes, Lione, Bordeaux.  A questa lista, a breve si potrebbe aggiungere anche Rennes.

Superfluo precisare lo scopo del provvedimento: ridurre le emissioni di CO2 provocate dai motori dei velivoli, i quali sono aumentati di numero  da quando qualcuno ha avuto la brillante idea di lanciare la deregulation la quale, si sapeva, avrebbe provocato la nascita di una miriade di nuove compagnie aeree. 

Sappiamo bene che sono in molti a collegare la deregulation all’avvio di tariffe più appetibili alla portata cioè di ogni tasca, e per questo motivo  chi si permette di avanzare dubbi sulla validità e opportunità della stessa viene criticato.

Tuttavia i sostenitori di questo  semplificativo binomio, deregulation=scelta di tariffe, sbagliano. Chi è  addentro all’industria dell’aviazione civile sa bene che sarebbe bastato pretendere d’autorità la fine del cartello tariffario della Iata per ottenere ampia scelta di tariffe fra compagnie aeree, il tutto senza provocare quella moltiplicazione di vettori, rotte e frequenze che ha caratterizzato  l’aviazione commerciale di questi ultimi decenni.

Ricordando che la deregulation fu varata dapprima negli Usa nel 1978, e poi a tappe in Europa negli anni novanta, vogliamo ricordare che al 31 dicembre 1978 presso tutte le compagnie aeree mondiali erano in servizio 8.450 aerei. Al 31 dicembre 2021, dati ICAO, questo numero è salito a 32.000 di cui 28.800 jet.

Del troppo affollamento ne iniziano a prendere atto anche gli aeroporti (il che è davvero molto eloquente della saturazione cui si è pervenuti). In una nostra recente newsletter (1) abbiamo portato a conoscenza circa una dichiarazione alquanto draconiana fatta dalla RSG, la società che gestisce lo scalo di Schiphol,  la quale nell’annunciare che avrebbe diminuito “di legge” il numero dei movimenti, ha dichiarato che l’aeroporto deve essere “consapevole che la sostenibilità, la salute e il benessere sono giustamente considerati sempre più importanti quanto il desiderio di viaggiare. Il mondo sta cambiando e l’aviazione deve cambiare con lui.”

Possiamo quindi ben dire che aumenta il numero di coloro che, pur non dicendolo apertamente, si accorgono dei danni fatti dalla deregulation.

E’ vero che nel confronto treno: aereo quest’ultimo mezzo di trasporto è senz’altro più inquinante dell’altro, ma poiché tale fatto non poteva non essere noto negli anni novanta  quando si decise  di liberalizzare a go-go i cieli, dobbiamo proprio a Bruxelles quella proliferazione di movimenti aerei che oggi (a scoppio ritardato) si cerca di contenere.

 

  • “La scure ecologica colpisce gli aeroporti” Newsletter del 29 aprile 2023

 

Tratto da www.Aviation-Industry-News.com