Di Stefano Modena

 

Nonostante l’inflazione e i rincari che da mesi comprimono i budget familiari, il desiderio di partire non sembra affievolirsi. Semmai cambia il modo di farlo. L’ultima indagine curata da Roberta Garibaldi, docente all’Università di Bergamo e presidente di AITE, tratteggia un quadro in chiaroscuro. La domanda resta vivace, ma molto più selettiva, e, come spesso accade, a farne le spese sono le esperienze “premium”, a partire dalla ristorazione.

Secondo la ricerca, il 62% degli italiani avverte l’aumento dei costi come un vero limite alla possibilità di viaggiare, e il 56% rileva una diminuzione concreta del proprio potere d’acquisto. Non stupisce, allora, che più di un turista su cinque sia pronto a rinunciare a pranzi e cene al ristorante, mentre il 15% punta a ridurre soprattutto la spesa per i vini. È un segnale evidente, l’enogastronomia continua a essere uno dei principali motivi di viaggio, ma viene vissuta con maggiore prudenza economica.

 

CITTÀ D’ARTE AVANTI A TUTTI, MA CRESCE LA FUGA NEI LUOGHI MENO AFFOLLATI

Per i mesi che portano all’inverno, le città d’arte restano le mete più desiderate, attirando il 63% del campione. A seguire, mare (35%) e montagna (33%), mentre le aree rurali e i borghi sorprendono con un solido 25%, soprattutto nel Centro Italia e tra i viaggiatori di fascia 35–54 anni. Questo spostamento verso territori più tranquilli e a bassa densità turistica suggerisce un’evoluzione delle motivazioni. Non solo cultura “classica”, ma anche ricerca di autenticità, paesaggi e ritmi più sostenibili. Meno gettonate colline e laghi, mentre la montagna sembra destinata a crescere con l’avvicinarsi delle festività natalizie.

 

VIAGGI BREVI MA INTENSI: L’88% PERNOTTERÀ ALMENO UNA NOTTE

Altro dato interessante riguarda la durata delle vacanze: il 45% opterà per fughe di due o tre giorni, il 33% per viaggi un po’ più lunghi, tra quattro e sette. Solo una piccola minoranza rinuncerà del tutto a muoversi. In sostanza, si parte — magari poco, magari vicino — ma si parte. L’Italia resta la protagonista: il 59% dei turisti si muoverà esclusivamente entro i confini nazionali, mentre il 19% attraverserà le frontiere.

 

L’ENOGASTRONOMIA RESISTE, MA CAMBIA VOLTO

Nonostante i tagli, il turismo del gusto continua a essere un punto fermo. Il 66% degli intervistati considera la scoperta dei sapori locali l’esperienza più rilevante del viaggio, spesso più della visita alle attrazioni culturali. La ristorazione resta il canale principale (52%), seguita da visite in cantina (40%) ed eventi enogastronomici (38%). Interessanti le differenze generazionali. I più giovani tendono a vivere il food & wine in chiave attiva — trekking nei vigneti, percorsi in bici — mentre le fasce più mature prediligono degustazioni e visite guidate. Anche frantoi e aziende olivicole attirano un solido 27%, e cresce l’abbinamento “benessere + sapori”, a dimostrazione di un turismo sempre più esperienziale.

 

UN SETTORE CHE DEVE CAMBIARE PASSO

Garibaldi sottolinea come il settore debba affrontare una domanda più attenta, frammentata e polarizzata: i giovani e chi ha redditi più alti aumentano il budget di viaggio, mentre famiglie e ceto medio tendono a ridurlo. In questo contesto, per gli operatori dell’enogastronomia diventa cruciale mantenere accessibilità e trasparenza, senza rinunciare alla qualità e all’identità territoriale.

Il punto, forse, è che i viaggiatori non stanno rinunciando al piacere del viaggio, ma stanno ridefinendo le priorità. E questa transizione — meno scenografica dei picchi turistici estivi, ma forse più rivelatrice — potrebbe diventare il vero terreno su cui si giocherà la competitività delle destinazioni italiane nei prossimi anni.