
Di Antonio Bordoni
Secondo l’International Air Transportation Association (IATA), il settore dell’aviazione si è impegnato a raggiungere emissioni nette di CO2 pari a zero entro il 2050. Il piano, come noto, è tutto basato sul SAF, Sustainable Aviation Fuel. Le emissioni di CO2 dell’aviazione provengono principalmente dai motori a reazione che utilizzano combustibili fossili ricchi di carbonio, i quali producono CO2 durante la combustione.
Per questo motivo, si è cercato di creare un tipo alternativo di carburante, ricavato da biomasse rinnovabili e risorse di scarto, quale sarebbe per l’appunto il Sustainable Aviation Fuel.
Il carburante sostenibile per l’aviazione può essere prodotto da 60 diverse materie prime, tra cui oli vegetali, alghe, grassi, flussi di rifiuti, alcoli, zuccheri, CO2 catturata e altre fonti e processi alternativi. Passando dal petrolio al SAF – considerando l’intero ciclo di vita del carburante – l’industria aeronautica potrebbe ridurre il suo contributo di carbonio fino all’80%, questo almeno è quanto prevedono le associazioni di settore quali Air Transport Action Group e IATA.
Tuttavia, negli ultimi due anni si sono registrati segni di insofferenza a questo obiettivo da parte di alcune compagnie. E’ avvenuto infatti che -per il momento- due vettori hanno ridimensionato le loro iniziative per il clima, rivedendo i propri obiettivi a livelli più modesti.
La prima “ribelle” del CO2 dell’aria, è stata la Air New Zealand la quale nel luglio del 2024, ha annullato l’obiettivo climatico per il 2030 fissato nell’ambito dell’iniziativa Science Based Targets (SBTi). L’obiettivo si prefiggeva di ridurre le emissioni del 28,9% rispetto al valore di riferimento del 2019.
La compagnia aerea ha citato fattori come la disponibilità di nuovi aeromobili, l’accessibilità economica per la fornitura di SAF e la mancanza di sostegno politico. A maggio di quest’anno la compagnia, che ha la sua base ad Auckland, ha deciso di modificare i propri obiettivi, passando da obiettivi prefissati a un processo di monitoraggio. La decisione di tale cambiamento di rotta è stata giustificata con l’incertezza nel raggiungimento degli obiettivi iniziali.
Ma la vera sorpresa è di questi giorni e riguarda la compagnia capostipite dei vettori low cost-no frills: la Southwest la quale vanta un movimento annuo di 200 milioni di passeggeri e l’invidiabile record di aver chiuso per ben 47 anni consecutivi i suoi bilanci con profitti. (1)
Secondo quanto riportato da Bloomberg News Southwest Airlines avrebbe iniziato a ridimensionare alcuni dei suoi programmi ambientali precisando inoltre che la compagnia aerea sta vendendo la sua controllata per i carburanti rinnovabili, Saffire Renewables, a Conestoga Energy, produttore di biocarburanti a basse emissioni di carbonio.
L’accordo, secondo quanto riferito, riguarda tutta la proprietà intellettuale di Saffire, le tecnologie associate, i membri chiave del suo team dirigenziale e i piani per un impianto pilota in Kansas volto a produrre carburante sostenibile per l’aviazione (SAF). I termini finanziari dell’acquisizione non sono stati resi noti. Secondo il rapporto, Southwest Airlines ha licenziato sette dei suoi dieci dipendenti che lavoravano a progetti di sostenibilità presso l’azienda.

Non è ancora chiaro se l’obiettivo SAF possa essere raggiunto dopo la vendita della sua unità di carburante rinnovabile. Secondo il suo sito web, Southwest continua a esplorare opportunità per l’approvvigionamento e il supporto alla produzione su larga scala di SAF, ma la fornitura è soggetta a rischi legali, normativi, finanziari, tecnici e commerciali e, sebbene la compagnia aerea possa stipulare accordi per l’acquisto o l’investimento, non può garantire che terze parti forniscano SAF sufficienti a condizioni commercialmente ragionevoli.
Tuttavia, la capostipite delle low cost continua a perseguire diversi sforzi incentrati sul clima per ridurre il proprio impatto ambientale e migliorare l’efficienza operativa. Secondo il suo sito web, nel 2025 la compagnia mira a ridurre del 50% in peso la plastica monouso nei servizi di bordo. Entro il 2030, prevede di ridurre l’intensità delle emissioni di carbonio del 25% e di sostituire solo il 10% del suo consumo totale di carburante con Saffire Renewables.
Sarebbe errato ritenere queste notizie come un sintomo riferentesi a isolate iniziative, esse sono piuttosto indicative di una tendenza globale più ampia: man mano che il tempo scorre ci si rende conto che l’adozione del SAF quale totale fonte alternativa non è di agevole compimento. Non meravigliamoci quindi se, parlando del fatidico appuntamento del 2050, troviamo non pochi scettici incalliti.
Intendiamo riferirci a coloro che ritengono che le riduzioni derivanti dal SAF, i miglioramenti nell’efficienza del carburante e gli aerei a ridotte emissioni di carbonio non porteranno mai a zero emissioni di CO2 del trasporto aereo. C’è chi parla di circa un terzo di quello a cui si punta, e ciò malgrado la strategia in corso preveda un sistema di tariffazione per addebitare alle compagnie aeree le emissioni di biossido di carbonio con relative compensazioni. (2)
Secondo il piano SAF della IATA, raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette di CO2 entro il 2050 richiederà una combinazione di eliminazione delle emissioni alla fonte, compensazione e tecnologie di cattura del carbonio. Ciò dovrebbe derivare per il 65% dalla sostituzione del carburante per aerei convenzionale con il SAF, il 19% da compensazioni e cattura del carbonio, il 13% da nuove tecnologie come l’idrogeno o gli aerei elettrici e il 3% da infrastrutture ed efficienze operative.
Ma il SAF deve affrontare ostacoli significativi, tra cui elevati costi di produzione, scalabilità limitata e preoccupazioni circa il suo reale impatto ambientale. Nel Regno Unito, ad esempio, il SAF è prodotto principalmente da olio da cucina esausto, in parte importato dall’Asia. Questo trasporto su lunghe distanze contribuisce alle emissioni di carbonio, con il trasporto marittimo che rappresenta circa il 2% delle emissioni globali di CO2. Metodi alternativi per la produzione di SAF richiedono grandi quantità di elettricità come parte del processo di produzione. Ciò richiederebbe un’enorme quantità di energia rinnovabile per renderlo sostenibile.
Intervistato dalla BBC, Sir Dieter Helm, professore di politica economica all’Università di Oxford, ha espresso scetticismo: “È molto difficile pensare che esista un carburante per l’aviazione sostenibile. Esistono carburanti per l’aviazione meno inquinanti di quelli attualmente utilizzati, e si possono utilizzare elementi di biocarburante, grasso di patatine fritte e così via.” (2)
Come si vede, il fronte degli scettici si va allargando. Può essere interessante ricordare che il primo volo SAF ha operato tra Londra e Amsterdam nel 2008, utilizzando carburante derivato da una miscela di noci di babassu brasiliane e noci di cocco (3). Si trattava ovviamente di un volo sperimentale così come lo era quello operato nel dicembre 2021 da un Boeing 737 MAX 8 di United Airlines, il quale aveva effettuato il primo volo commerciale con passeggeri facendo uso di carburante SAF al 100% ma solo per uno dei due motori dell’aereo.
In effetti vi sarebbe un altro modo, più semplice, con cui le compagnie aeree potrebbero ridurre le emissioni primo fra i quali quello di rendere le loro rotte di volo più dirette. Indubbiamente con il freeflight (4) gli aerei volano oggi su rotte molto più dirette rispetto agli anni passati, ma una analisi su ciò che avviene allorché gli aerei aggirano aree “calde” di crisi fa capire la gran mole di carburante che viene bruciato su rotte più lunghe e ciò avviene non occasionalmente ma anche per lunghi periodi di tempo.
Accade infatti che se un’area non è sicura dal punto di vista dei sorvoli costringendo ad allungamenti su rotte alternative, sarebbe almeno opportuno -se proprio non si vuol chiudere la rotta- continuare le operazioni riducendo però il numero di voli e le frequenze. Il suggerimento non sembri di poco conto perché in pratica non c’è giorno dell’anno che non vi sia una crisi geopolitica in atto, se non addirittura operazioni belliche, in una qualche parte del mondo.

Sembra proprio che il concetto dello show must go on sia un principio dal quale le compagnie non intendono derogare, costi quel che costi.
Altra concreta pista alternativa di facile attuazione è quella di vietare i collegamenti aerei laddove sono operativi collegamenti ad alta velocità ferroviaria. Ciò è particolarmente vero per i voli a corto raggio, che possono generare il doppio delle emissioni per posto-chilometro rispetto ai voli a lungo raggio. In Europa, sono attivi movimenti per il cambiamento climatico (“flight shaming”) che mirano a incoraggiare le persone a smettere di viaggiare in aereo.
Molte autorità pubbliche stanno attualmente valutando l’idea di vietare i voli a corto raggio e sostituirli con opzioni ferroviarie ad alta velocità meno inquinanti. La tratta aerea tra Amsterdam e Bruxelles, due città collegate in treno in meno di due ore, e i recenti sforzi dei politici belgi e olandesi per bloccare questi voli sono esempi paradigmatici di questa tendenza.
Un esempio tangibile di come queste politiche diventino realtà è la recente mossa del governo francese, che, nell’ambito del piano di salvataggio di Air France per il Covid-19, ha chiesto alla compagnia aerea di iniziare a ridurre le frequenze dei voli a corto raggio laddove esistesse un’alternativa ferroviaria con tempi di percorrenza inferiori a 2,5 ore. Unica eccezione era costituita dal fatto che i voli a corto raggio potevano ancora essere operati se servivano a collegare i passeggeri che erano in coincidenza su voli intercontinentali.
Su queste ultime novità avevamo dedicato una apposita newsletter “Volare in Europa oggi” (5)
Come si vede le possibilità di razionalizzare il numero voli ci sono. Ma ricordarsi sempre che aerolinee e gestori aeroportuali puntano a incrementare il numero movimenti: i loro profitti derivano da quest’ultimo fattore. Come sempre anche quando l’obiettivo è nobile e dignitoso il fattore economia finisce sempre per influenzarlo.
Ma perché puntare a traguardi difficilmente raggiungibili quando vi sono metodi alternativi per attuare riduzioni? E perché al limite non pensare a far volare gli aerei con un mix di carburanti, parte sostenibili e parte tradizionali? Il volo United del dicembre 2021 ha dimostrato che ciò è possibile.

Il 737 in questione utilizzava una coppia di motori LEAP-1B sviluppati da CFM International, i quali seguono un innovativo processo che consente alle compagnie aeree di utilizzare un massimo del 50% di SAF nei voli commerciali. In quel volo del dicembre 2021 la United ha adottato una variante sul tema utilizzato uno dei motori dell’aereo con il 100% di carburante convenzionale e l’altro con il 100% di SAF, circa 500 galloni per motore. Anche altre compagnie, come Etihad, British Airways e Emirates, hanno recentemente testato voli adottando tale variante.
La storia dell’umanità è costellata di appuntamenti, scadenze, impegni presi nei più svariati settori e molte volte, o meglio sarebbe dire nella maggior parte dei casi, tali deadline vengono fissate ben sapendo che quando giungerà la fatidica data chissà chi sarà a governare al posto mio e pertanto per chi firma il documento prendendo l’impegno non sarà nemmeno necessario presentare scuse o giustificazioni per il mancato raggiungimento dell’obiettivo.
In poche parole siamo tutti bravi a prendere impegni fissando scadenze a distanza di decenni!
- Il dato si riferisce al periodo 1973-2019; poi è avvenuta la fermata causa Covid, ma di nuovo dal 2021 i profitti sono ripresi.
- https://www.bbc.com/news/articles/c245e726r79o
- Il volo in questione è stato operato da un Boeing 747 di Virgin Atlantic il 24 febbraio 2008. L’aereo era il velivolo immatricolato GV-WOW.
- Con questo termine si intende la costruzione di rotte libere le quali non si avvalgono più dei radiofari bensì dei punti (“waypoint”) creati con riferimenti satellitari.
- https://www.aviation-industry-news.com/volare-in-europa-oggi/
Tratto da Aviation-Industry-News.com