Se in una normalissima famiglia ci si dovesse accorgere che le spese superano le entrate, ci si darebbe subito da fare per cercare di porre rimedio alla situazione: qualche lavoro extra, qualche straordinario, cercando contemporaneamente di risparmiare o di rinunciare a qualcosa; in poche parole ci si ridimensionerebbe.
I conti di uno Stato, fatte le debite proporzioni, non differiscono affatto dalla contabilità che ogni famiglia deve tenere; l’unica differenza sta nell’arroganza di chi detiene il potere.
Della crisi economica di cui quotidianamente con ossessione si parla, tutto si potrà dire ma di certo non ci possono venir a raccontare che la stessa sia stata causata da quella moltitudine di individui che si alzano la mattina all’alba per recarsi sul luogo di lavoro, di qualunque genere di lavoro si tratti, e ritornano la sera a casa stanchi e affranti non fosse altro per la precarietà dei mezzi pubblici di trasporto e del caos del traffico; e questo tutti i mesi, tutto l’anno per guadagnare meno di quanto costa l’affitto della casa in cui si vive, evitando di parlare poi dell’eventuale rata del mutuo se la casa fosse di proprietà.
Non crediamo proprio che la crisi possa essere imputata a costoro.
Probabilmente la verità assoluta su quella che è ormai divenuta una emergenza mondiale viene tenuta doverosamente occultata, perché se mai essa dovesse essere spiegata o ufficialmente dichiarata, parlare di rivoluzioni o di rivolte non sarebbe affatto esagerato.
Però vedete, mentre tante volte abbiamo assistito a pellicole nelle quali a fronte di un pericolo che viene dall’alieno dello spazio o da un virus dal quale non ci si può difendere, le autorità tacciono a fin di bene per non far sorgere il panico, nel caso della crisi economica globale siamo di fronte ad un silenzio di altra natura. In quest’ultimo caso i governanti, coloro che decidono le politiche monetarie e finanziarie globali, sanno bene cosa è accaduto e perché è accaduto.
Sanno pure quali potrebbero essere le misure atte ad alleviare una situazione che così come si sta evolvendo, non può non portare ad un ulteriore imbarbarimento dello scenario mondiale, eppure essi non agiscono e preferiscono continuare a imbonire le persone suonando il piffero con la melodia della imminente, tanto agognata, “ripresa” la quale, a loro dire sta sempre dietro l’angolo, ma non spunta mai.
E’ dall’agosto del 2007, da quando esplose la crisi dei mutui subprime, la cosiddetta bolla immobiliare, che si è iniziato a proporre in modo congiunto due termini: siamo in crisi, ma non vi preoccupate perché stiamo lavorando per la ripresa. Crisi e ripresa: questo il ritornello suonato all’unisono dai nostri pifferai. In quella occasione venimmo tutti improvvisamente a scoprire che l’ammontare complessivo di un certo “prodotto finanziario” opera degli “ingegneri” finanziari, che si chiamava derivato aveva raggiunto il valore di 550mila miliardi di dollari, ovvero l’equivalente di 12 volte il prodotto lordo mondiale.
Già questa semplice rivelazione avrebbe dovuto far balzare dalle sedie e come minimo far sbattere la testa al soffitto di coloro i quali oggi reclamano sacrifici in quanto “l’Europa chiede i conti in ordine”. Ma queste autorità che con tanto zelo controllano i conti delle nostre imprese, dei bilanci, dei salari, dove erano e cosa facevano mentre gli ingegneri della finanza mettevano in circolo nel mondo un valore nozionale di 550mila miliardi di dollari di un certo prodotto chiamato “derivato” ? E stessa domanda andrebbe rivolta ai tre grandi inquisitori che si dilettano a promuovere o declassare i rating di società e di Stati. Dubitiamo comunque che mai riceveremo risposta.
Ma se nel 2007 il problema, almeno così ci dicevano, era di “qualche” banca finanziaria che aveva confezionato e impacchettato questi attraenti prodotti finanziari, ben differente e ben più drammatica è la situazione oggi. Ormai la cosiddetta speculazione non si accontenta più di qualche istituto bancario, ma rivolge le sue attenzioni direttamente ai “debiti sovrani” mettendo cioè sotto scacco i bilanci degli Stati, minandone la loro credibilità a livello internazionale e facendo da ciò discendere, guarda caso, una richiesta impellente di ulteriori privatizzazioni. Non stiamo inventandoci nulla: questo è ciò che è stato chiesto alla Grecia per evitarle il fallimento. Siamo quindi in presenza di un notevole salto di qualità: dagli istituti finanziari/assicurativi si è puntato direttamente al cuore degli Stati.
Anche qui per favore non facciamoci prendere in giro; i debiti dei bilanci pubblici esistono come però esistevano i derivati e il loro smisurato valore globale che è stato fatto mettere in circolo mentre chi doveva controllare era in profondo letargo. Ma forse qualcuno dovrebbe ricordare che mentre dietro a un debito pubblico di uno Stato vi è la vita e la sopravvivenza di quei milioni di individui di cui sopra abbiamo parlato, dietro la storia dei derivati c’era qualcuno, chiamiamola banca finanziaria, chiamatelo fondo o istituto assicurativo –appellatela come volete insomma- che aveva trovato il modo di fare soldi a palate ad uso e consumo di un ristretto giro. Crediamo che la differenza fra gli uni e gli altri non sia nemmeno lontanamente comparabile, così come crediamo pure che parlando di rigore e di conti in ordine, sarebbe molto più logico che richieste simili vengano indirizzate verso quel tipo di finanza spregiudicata piuttosto che sui bilanci degli Stati.
Alla base di queste considerazioni non si può poi prescindere da quello che rimane il nodo cruciale dell’intera questione. Quando uno Stato privatizza ossia mette sul mercato le sue industrie che prima contribuivano a formare il famoso PIL, è indubbio che lo Stato si impoverisce ancora di più. Ora tralasciando la pur ovvia considerazione che a fronte di chi vende ci sarà qualcuno all’estero che acquisterà a prezzi di realizzo (e sarebbe interessante controllare ad esempio chi comprerà le numerose aziende elleniche di cui è stata chiesta la privatizzazione), ma la domanda fondamentale è la seguente: come può uno Stato ridotto sul lastrico ad assicurare nel contempo quello sviluppo e quella ripresa che ci vengono annunciati dal pifferaio?
Antonio Bordoni