La stampa ne è piena tutti i giorni: per favore facciamo venire una compagnia low cost nel nostro scalo altrimenti per il turismo è un disastro. Questo il leit motiv che quotidianamente possiamo trovare sui giornali, oggi riferito a un aeroporto, domani a un altro.
Assessori, sindaci, vice sindaci, tutte le più alte autorità comunali sono chiamate a intervenire nelle trattative che vengono solitamente accompagnate dalla precisazione che il costo dell’operazione è tutto da definire. E già perché se un aeroporto vuole avere l’onore di ospitare nuove rotte deve negoziare e partecipare, in modo diretto o indiretto, alle spese, il tutto ovviamente in nome del rilancio del turismo locale.
Come commentare l’attuale scenario in cui si muove il trasporto aereo? Come valutare questa assoluta necessità di trovare un vettore che porti turisti, come se un collegamento aereo e un aeroporto siano l’infrastruttura più ovvia e scontata di cui disporre alla pari di un servizio pullman? Ebbene non saremo certo noi a lamentarci se i vettori riescono a negoziare i costi dei servizi aeroportuali: è ciò che abbiamo sempre auspicato, quello che però in questa storia non quadra è la presunta, assoluta dipendenza del flusso turistico dall’attivazione di uno o più collegamenti aerei low cost.
Indubbiamente la risposta alla domanda che abbiamo proposto nel titolo non può essere del tipo tutto bianco o tutto nero. Il punto è che un nuovo aeroporto richiede notevoli investimenti e pertanto una prima risposta che si potrebbe dare è che se un aeroporto è già attivo e consolidato il fatto che esso voglia vedere incrementato il suo traffico è un qualcosa di ovvio e scontato che bene si fa a sostenere.
Differente però è l’ipotesi inversa ovverosia che si parta da un aeroporto nuovo di zecca, o quasi, per cercare di costruire il turismo, in questo caso il rischio è dietro l’angolo in quanto non è la prima volta che si aprono aeroporti e poi si debbono proclamare bandi poiché non si trovano aerolinee interessate ad operare servizi, e dovrebbero essere proprio questi precedenti a far riflettere. Inoltre va ricordato che ci troveremmo di fronte al propagarsi di un sistema che proprio per le sue caratteristiche tecniche viene apertamente osteggiato dagli ambientalisti secondo i quali la cosiddetta privatizzazione dei cieli in non pochi casi si è trasformata in finanziamenti fatti ricorrendo a risorse pubbliche.
In tale contesto critico in più occasioni è stato ricordato che l’Italia in particolare soffre di una strana epidemia denominata aeroportite.
E’ inutile girarci troppo intorno; da noi sull’argomento non esiste una politica univoca: un giorno possiamo leggere dichiarazioni di autorevoli personaggi che lamentano che in Italia ci sono troppi aeroporti, e magari girando la pagina si può trovare che sono pronti nuovi scali che chiedono di venir lanciati.
In queste condizioni di obiettivo marasma ciò che appare chiaro è che di fronte alla pressione proveniente da una certa Regione o da un certo Comune, i buoni propositi che magari pure esistevano di ridurre il numero degli aeroporti attivi, va a farsi benedire, con tanti ringraziamenti da parte delle LCC.
Il modello low cost lanciato in aviazione nella maggior parte dei casi sfrutta i fondi pubblici per incanalare orde di passeggeri verso nuove località turistiche grazie a collegamenti diretti i quali purtroppo non si muovono nell’ambito di un piano generale coordinato, quanto piuttosto fanno leva sugli “egoismi” federativi locali nel senso peggiore del suo significato.
D’altra parte per rendersene conto basta leggere delle continue discussioni e polemiche che avvengono fra quegli aeroporti che si trovano ad operare troppo vicini l’uno all’altro. In molti casi sono discussioni dai contenuti surreali, dal momento che l’aeroporto che si è attivato per secondo, sapeva bene che a poca distanza era attivo l’altro concorrente.
Ci rendiamo conto di sostenere tesi controcorrente, ma è nostra personale opinione che proprio partendo dalla congestione dei cieli e tenendo presente che, secondo quello che ci dicono, le emissioni di CO2 per kilometro-passeggero di un aereo sono in media dieci volte maggiori di quelle di un treno Intercity, una sana politica di rispetto ambientale dovrebbe prevedere pochi e selezionati aeroporti di entrata. In altre parole non troveremmo alcunché di scandaloso se il turista in visita in qualsivoglia Paese europeo scendesse in uno dei pochi scali attivi autorizzati, e poi da li, in treno o in auto proseguisse la visita nelle regioni che a lui interessano.
Questa storia che per vedere i turisti ogni città deve disporre di un proprio aeroporto dietro l’angolo, è davvero una aberrazione che poteva nascere e prosperare solo in un settore, quello dell’aviazione civile, da quando hanno preso a volare compagnie aeree che portano gratis (o quasi) i passeggeri incassando però entrate da altre fonti corollarie. In tal modo si è costituito un business che poco ha da spartire con la libertà del movimento, quanto piuttosto di creare una fittizia incentivazione allo spostamento.
In Inghilterra abbiamo letto di un deputato inglese che ha proposto di vietare i voli su collegamenti al di sotto dei 500 kilometri; noi vorremmo ulteriormente migliorare quanto richiesto precisando che vi dovrebbe essere una analoga proposta che vieti di aprire un aeroporto al traffico quando già ve ne è uno attivo, e raggiungibile, nell’ambito di un certo numero di chilometri.
Antonio Bordoni