di Antonio Bordoni
Come se non bastasse la sovrattassa carburante, come se non bastassero le tasse aeroportuali e gli innumerevoli ammennicoli da pagare prima di chiudere la transazione per acquistare un biglietto aereo, ora qualcuno ha pensato che forse le aerolinee potrebbero far soldi collegando la tariffa venduta al peso del passeggero.
In questi tempi in cui tanto si parla di concorrenza treno-aereo, a nostro parare, se si continua su questa strada le aerolinee perderanno sempre più terreno nel confronto con altre tipologie di trasporto, ma non tanto a causa del prezzo di vendita quanto per il continuo proliferare di cavilli, complicazioni ed elementi variabili fra cui si deve districare chi vuole acquistare un biglietto. E nell’escogitare nuove trovate ora ci si mettono pure i ricercatori universitari. Il professor Bharat Bhatta della norvegese Sogn og Fjordane University College in uno studio pubblicato sul Journal of Revenue and Pricing Management, ha suggerito che le aerolinee dovrebbero far pagare tariffe più costose ai passeggeri che vantano un peso corporeo maggiore accompagnando la sua teoria con una dettagliata relazione.
Per la cronaca va detto che la proposta è lungi dall’essere originale. Se si va sul sito dei comunicati Ryanair si troverà che nell’aprile del 2009 la compagnia irlandese aveva proposto un referendum online per saggiare una eventuale applicazione di quella che venne definita “la tassa sul grasso”. In quell’occasione il risultato del sondaggio fu che il 46 per cento dei votanti suggeriva di far pagare “a peso” gli uomini che eccedevano i 130 kg e le donne che superavano i 100kg; il 37 per cento invitava invece la compagnia a obbligare all’acquisto di un secondo posto se il giro-vita del passeggero toccava i due braccioli. Comunque la compagnia decise che non avrebbe adottato la tassa che fra l’altro aveva suscitato molte critiche da parte delle associazioni consumatori. Si tenga presente che nel caso Ryanair si prendevano di mira gli obesi, mentre nella teoria del professor Bhatta il peso della persona dovrebbe in ogni caso entrare nel calcolo della tariffa.
Ora dal momento che il consumo di carburante è strettamente legato al carico dell’aeromobile in effetti l’idea di far pagare la tariffa in base al peso non sarebbe affatto astrusa basti pensare che secondo un recente survey una riduzione di 1 kg in un velivolo di linea corrisponderebbe a fine anno a un risparmio di 3.000 dollari. Tuttavia, come era logico che fosse, le autorità aeronautiche internazionali si sono sempre avvalse di misure “average” che sono poi quelle usate per determinare il weight and balance.
La FAA ad esempio prevede “standard average passenger weights” che variano a seconda se il volo viene effettuato nella stagione estiva o invernale partendo dal presupposto che d’inverno il peso medio/passeggero è superiore all’estivo. E quando diciamo “come era logico che fosse” ci riferiamo ad esempio al particolare che poichè l’acquisto del biglietto può essere anche fatto con notevole anticipo sulla data di partenza l’idea di pagare una tariffa legata al peso potrebbe dar luogo a non pochi problemi di carattere pratico.
Per quanto non abbiamo trovato diretti legami fra le due notizie è comunque avvenuta una strana coincidenza: a fine marzo l’Università norvegese rendeva pubblico lo studio di cui sopra, al quale proprio per la sua singolarità veniva dato ampio risalto sui media mondiali, e pochi giorni dopo, il 10 aprile, il vettore Samoa Air annunciava l’introduzione di un sistema di tariffazione passeggeri in base al peso corporeo combinato con il bagaglio trasportato.
La Samoa Air fondata nel 2012 non è un vettore Iata, vola su poche destinazioni dalla sua base situata a Faleolo e il suo triletterale ICAO è SZB. Comunque sia ha avuto il suo momento di notorietà in quanto promotrice del nuovo sistema di “pay by weight”. E a questo punto ben conoscendo la cattiva abitudine delle aerolinee di copiarsi a vicenda non sarà male illustrare come funziona il meccanismo ideato da Samoa Air in quanto non ci meraviglieremmo se altre compagnie ne seguiranno l’esempio.
Il passeggero dovrà fornire due pesi, quello personale (viene accettato uno “scarto” di uno, due kg) e quello del suo bagaglio, i due valori verranno sommati fra loro e il risultato verrà moltiplicato per la tariffa a chilo applicata sulla tratta prescelta. Ipotizzando quindi che il passeggero pesi 70 kg ed abbia 10 kg di bagaglio, non si dovrà far altro che moltiplicare 80 per la tariffa base e si avrà l’importo da pagare; se la tariffa fosse 1,20 dollari a kilogrammo , il passeggero dovrebbe pagare 96 dollari (80 x 1,20).
Per sostenere la validità della loro tesi vi è chi fa notare che già oggi vi sono aerolinee che pretendono l’acquisto di due posti nel caso uno solo risulti “stretto” alle misure del passeggero (es. Southwest); questo fatto supporterebbe l’idea di far pagare la tariffa in base al peso. In merito è interessante annotare come nessuno però prenda in esame la possibilità di allargare la misura del sedile o almeno di aprire l’argomento di quanto sia giusto che i sedili degli aerei siano di dimensioni talmente contenute da far spesso viaggiare i passeggeri al limite delle loro misure fisiche.
Per chi è pratico di AirWayBill e di trasporto merce non sarà difficile riconoscere che il sistema di tariffare adottato da Samoa Air e suggerito dall’università norvegese coincide in pratica con la politica da sempre in vigore per le spedizioni cargo via aerea, ovvero applicare una tariffa a kilo (cosidetto “nolo”) per ogni destinazione; quindi se per caso il sistema dovesse prendere piede, gli agenti cargo potranno essere soddisfatti di vedere che il modo con cui loro tariffano le merci è stato adottato anche per i passeggeri in carne ed ossa.