Ci sono sempre piaciute le voci fuori dal coro. Abbiamo sempre apprezzato chi sa esporsi con trovate controcorrente che in prima battuta potrebbero seminare ilarità e incredulità ma che pure hanno un fondamento logico.
Così quando abbiamo letto che il sindaco di Londra Boris Johnson ha lanciato la provocatoria richiesta di chiudere Heathrow e trasferire il principale aeroporto londinese su un isola artificiale di fronte alla costa del Kent non è che poi siamo rimasti tanto meravigliati.
Perché parliamo di provocazione? Perché in molti Paesi, e l’Italia è uno di quelli, chi attacca gli aeroporti e i loro piani di espansione viene fatto oggetto di pesanti critiche. La crescita in qualunque settore non deve mai essere messa in discussione, ne tanto meno ci si può permettere di rallentare: sono i mercati e il nuovo credo dell’economia che lo impongono, la crescita deve essere continua e inarrestabile.
In un altrettanto provocatorio articolo da noi scritto ben tre anni orsono, nel luglio 2010, dall’esplicativo titolo “Ordina oggi, ordina domani….ma poi dove li mettiamo?” evidenziavamo il problema del continuo proliferare del numero degli aerei in circolazione mettendolo a confronto con la realtà delle ristrettezze che affliggono gli spazi aeroportuali. E addirittura profetizzavamo “Se la crescita continua incontrollata, per i traffici aerei si potrebbe pensare a un ritorno degli idrovolanti, visto che nel mare c’è tanto spazio… oppure l’alternativa sarebbe quella di una crescita ragionata come avveniva ai tempi della tanto vituperata regolamentazione.
Vedete, forse non tutti lo ricordano, ma c’era un tempo in cui i collegamenti aerei venivano aperti solo laddove sussisteva una concreta domanda di traffico…” (Travelling Interline, 23 luglio 2010).
Johnson si è detto stanco e preoccupato per quegli abitanti di Londra che debbono sopportare il continuo rumore dei jet che passano sulle loro case ed ha detto che, una volta trasferita sul mare, l’area attualmente destinata a scalo potrebbe essere utilizzata per creare un nuovo polo abitativo che renderebbe gli abitanti felici e rilassati.
Johnson, sarà il caso di ricordarlo, è colui che ha tentato di ripulire Londra dal gas inquinante delle automobili e con le sue biciclette comunali da prendere e lasciare in ogni punto della metropoli è riuscito ha calmierare il caotico traffico veicolare di Londra.
In poche parole non è il tipo di personaggio politico che parla solo per il gusto di ammaliare, ma piuttosto cerca di far seguire i fatti alle parole. E a queste ultime prese di posizioni sul futuro di Heathrow non deve essere stato estraneo il dibattito attualmente in corso nel Regno Unito.
L’affollamento di Heathrow
Heathrow, letteralmente parlando, “è arrivato al capolinea”. L’aeroporto è ultrasaturo; l’ultimo terminal inaugurato di recente, il numero cinque, non ha funzionato come si sperava; in questi giorni è stato presentato il progetto per una nuova pista, ma ammesso e non concesso che il progetto dovesse concretizzarsi i primi risultati pratici si avrebbero solo fra il 2025/2029 permettendo al nuovo scalo di movimentare 740.000 voli all’anno contro gli attuali 480.000; nel frattempo da qui al 2025/2029 come la mettiamo? Il traffico aereo continua ad aumentare….le compagnie aeree –in particolare le low cost- ordinano nuovi aerei ed aprono nuovi servizi .
Insomma strano a dirsi ma sembra proprio che questa volta il termine “pianificazione” abbia completamente fallito o non sia stato possibile attuarlo per motivi pratici. Fatto questo alquanto insolito dal momento che stiamo trattando del mondo anglosassone dove è prassi consolidata non aspettare di essere con l’acqua alla gola per pianificare interventi risolutivi.
E in condizioni non migliori si trova il secondo scalo di Londra, Gatwick il quale è fra i più trafficati aeroporti con una sola pista al mondo. Anche qui si vorrebbero investire 5 miliardi di sterline per costruirne un’altra.
E tornado alla nuova pista di Heathrow, a detta dei fautori, la stessa oltre ad aumentare la capacità dei movimenti permetterebbe una riduzione della pollution e del rumore dal momento che la maggior parte del traffico eviterebbe di sorvolare la capitale, ma gli scettici fanno già presente che sia pur in numero ridotto, anche con la nuova pista, sempre un dieci/venti per cento dei voli passerebbe in ogni caso sulle teste dei londinesi. Insomma i problemi degli abitanti di Londra sono gli stessi di tanti altri abitanti, di tante altre città: gli aeroporti chiedono più spazi, la gente dice basta.
In tutto ciò se almeno le compagnie aeree facessero soldi creando posti di lavoro forse la gente accetterebbe più di buon grado il rumore e i disagi e invece, come ben si sa, nemmeno questa consolazione.