Etihad o altre che differenza fa? La conclusione da trarre è ormai chiara e univoca. In Italia non siamo capaci di far prosperare aziende ed elevarle al rango di notorietà internazionale. Tutte quelle imprese costruite nelle decadi passate opera di capitani di industria coraggiosi, lungimiranti e capaci sono state facile preda di multinazionali straniere ben felici di poterle acquistare a quattro soldi dal momento che nel frattempo nel corso degli anni, causa perdurare crisi, il loro valore sul mercato si è progressivamente ridotto. Potremmo elencarvene una lunga lista, ma crediamo le conosciate tutti e il dossier Alitalia è solo l’ultimo in ordine di tempo. E l’Italia in questa serie non è una eccezione, basti ricordare che la Cina dopo aver acquistato il porto del Pireo è pronta a comprarsi gli aeroporti di Atene e di Creta. Così è ridotta l’Europa, irriconoscibile a come eravamo fino a qualche anno addietro.
Peccato che oggi tutti fingano di dimenticare i titoli dei giornali del gennaio 2009 allorchè nasceva la nuova Alitalia, perché ci sarebbe veramente da ridere o meglio sarebbe dire, piangere. Per farvela breve tutti mettevano in risalto il punto che la compagnia rimaneva italiana e ciò era motivo di plauso e di soddisfazione.
Ed oggi ad appena sei anni eccoci punto da capo a confrontarci con la assoluta necessità di trovare qualcuno che immetta capitale e acquisti azioni altrimenti si rischia grosso, e rispunta il nodo esuberi: esattamente gli stessi argomenti con cui ci confrontavamo in chiusura di 2008, quando si preferì mandare a monte l’accordo con Air France.
E’ sempre il solito copione all’italiana quello di non risolvere oggi il problema bensì rimandarlo a data futura. Ci si scusi per il poco onorevole paragone ma è esattamente lo stesso copione usato per la scelta delle località ove impiantare le nuove discariche: si prorogano le chiusure di quelle già esistenti e sature rimandando il problema a domani quando a governare sarà magari un partito avversario, il quale puntualmente poi ci dirà che le responsabilità della situazione sono di quelli che li hanno preceduti….eccetera, eccetera, secondo un copione ben consolidato.
Alla base di un tal modo di non agire e di non fare oggi quello che si sarebbe già dovuto fare ieri, vi è l’incapacità, la non volontà, il non coraggio di prendere scelte antipopolari e preferire lavarsene le mani, dimenticando il punto fondamentale che talvolta, purtroppo e per quanto possa essere poco piacevole, è necessario fare il reset dell’intera situazione.
Forse però è il caso di chiedersi se un tal modo di fare è compatibile con chi si candida come rappresentante del popolo e dovrebbe prendersi le responsabilità di risolvere i problemi che il Paese ha pendenti e non certo di metterli sotto il tappeto e rimandarli a futura data.
Ancora oggi di fronte all’imminente acquisto di Etihad c’è chi finge di meravigliarsi su come si sia potuti giungere a una tale situazione e se sia giusto cedere la “compagnia di bandiera” ad uno straniero, ma la domanda andrebbe rivolta ai tanti manager che si sono succeduti alla guida della nuova Alitalia in questi cinque anni e a tutti quei politici che quei manager li hanno scelti e nominati, e già il fatto dei continui ricambi al vertice è sintomatico di come è stata gestita l’intera operazione, perché è impensabile che si possano fare piani seri e concreti quando dopo pochi mesi dall’insediamento già si parla di cambi ai vertici e stessa sorte accade al successore e poi a quello che viene dopo, in una interminabile sequela di ricambi e nomine.
Quando, oggi leggiamo che non importa chi sia l’acquirente basta che gli italiani abbiano una linea aerea che li porti alle destinazioni che a loro interessano, vorremmo ricordare che gli italiani questa linea aerea la avevano, ce la invidiavano ed era portata avanti solo da imprenditori italiani.
Certo oggi qualche straniero che tiri su le sorti del nostro vettore alla fine lo troveremo,magari non perché sia interessato ad Alitalia ma perché gli interessa il mercato italiano, ma la domanda che dovremmo porci è perché siamo giunti al punto di dover vendere tutto per tirare avanti. E un tale interrogativo non si riferisce solo alle compagnie aeree.
Forse è da una analisi approfondita di questa domanda, da una revisione degli errori fatti nel passato che potrebbe scaturire qualche speranza di cambiamento concreto per il domani, altrimenti sarà sempre il solito copione all’italiana.
Antonio Bordoni