Giancarlo Cimoli, presidente di Alitalia, ha recentemente più volte sollevato l’argomento dei sussidi che la compagnia a basso costo Ryanair riceverebbe da alcuni aeroporti italiani.
È noto inoltre che una sentenza della Corte Europea sul caso Charleroi, ha imposto alla compagnia di O’Leary di risarcire parte di quanto ricevuto.
Sinceramente nel suo complesso la situazione non si può definire delle più chiare e limpide, e dicendo così intendiamo riferirci in particolare al rapporto di affari che intercorre tra aeroporti e compagnie aeree. Visto da un’ottica generale si può affermare che oggigiorno gli aeroporti sono a tutti gli effetti vere e proprie “imprese”, alcune delle quali quotate anche in borsa. Gli aeroporti, e le società che li gestiscono, operano come entità private che puntano al profitto alla pari di qualsivoglia  impresa commerciale; in tal senso questo argomento degli sconti, o sussidi che dir si voglia, che talune compagnie riceverebbero è da ritenersi lecito o no? E se la risposta a quest’ultima ipotesi fosse negativa, quali sono le giustificazioni che supportano una tale tesi, dal momento che lo sconto è prassi comunemente accettata nella pratica commerciale odierna?
In effetti sulla posizione giuridica degli scali i quali agiscono in virtù di “concessionari” non è che tutto sia facilmente decifrabile.

Ma le tasse non dovrebbero essere incassate da organi governativi?

Il passaggio da pubblico a privato e le concessioni che solitamente vengono concesse sull’arco temporale dei quaranta anni, hanno di fatto trasformato il settore, facendo del vecchio aerodromo, un qualcosa di estremamente dinamico ed indipendente. Ma allora come giustificare l’intervento dello Stato per fissare tasse e diritti che vengono direttamente incassati dai gestori aeroportuali?
Detto in altre parole se l’impresa aeroportuale è una entità privata autonoma, perché lo Stato lo favorisce dandogli l’opportunità di incassare somme le quali vengono appellate “tasse” o “diritti”? Le tasse per definizione non dovrebbero alla fine venir incassate da organi governativi?

Per quale motivo l’impresa aeroportuale anziché sorreggersi sulle sue entrate “commerciali” deve pur godere di una forma di revenue “statalizzato” – rivolta a carico di passeggeri e aerolinee – la quale in quanto denominata “tassa” non può essere oggetto di sconto o trattativa di sorta?

E ancora, per quale ragione le aerolinee se vogliono riempire i posti a bordo degli aerei possono e debbono scontare la loro tariffa aerea, mentre invece può accadere che se una aerolinea riceve uno sconto dall’aeroporto viene messa sotto accusa, portata in tribunale e accusata dalle altre aerolinee di aver usufruito di qualcosa di improprio?

Decisamente c’è qualcosa che ci sfugge e che non ci permette di comprendere quale sia il corretto scenario in cui aeroporti e aerolinee possono muoversi.
L’aeroporto di per se stesso, per sua propria natura, è stato da più parti definito come un “monopolio-naturale” e questo non certo a caso. Abbiamo più volte sottolineato che se una compagnia aerea vuole servire una determinata città deve obbligatoriamente scendere su un aeroporto ove troverà una società di gestione aeroportuale la quale gestisce gli scali senza possibilità di scelta o concorrenza; una tale situazione “di monopolio” è generalizzata pressoché ovunque.
Già una tale facilitazione “di vantaggio” derivante dalla natura stessa del servizio offerto, imporrebbe una estrema cautela sulle tariffe che colui il quale gestisce il monopolio naturale applica ai suoi clienti, ma appare alquanto improprio che operazioni commerciali svolte in questo clima debbano sottostare a tariffe non trattabili, quali appunto sono le ormai celeberrime “tasse aeroportuali”.

Questi dubbi e interrogativi  rimangono tuttora senza risposta e contribuiscono a rendere assai incerto e nebbioso il rapporto fra aerolinee e aeroporti.
Il fatto che l’aeroporto annoveri fra i suoi clienti “pagatori” non solo le aerolinee ma anche i passeggeri, ha in un certo senso reso alquanto innovative determinate sue pratiche marketing e si presta ad alcune ulteriori considerazioni.
Il particolare che il singolo passeggero, indipendentemente dall’aerolinea che usa o dall’itinerario svolto, contribuisce a far lievitare le entrate delle società aeroportuali, fa sì che gli aeroporti continuano a pubblicizzarsi cercando di far transitare il passeggero sul proprio territorio piuttosto che sul suolo concorrente di un altro scalo.
Ovviamente questa forma pubblicitaria di incentivazione incontra dei “limiti fisiologici” nel senso che essa ha “presa” sul passeggero solo per quei casi ove gli aeroporti sono talmente vicini da rendere fattibile una scelta, altrimenti crediamo si possa concordare sul fatto che il passeggero punterà sullo scalo a lui più comodo in termini di distanza.

Ma a prescindere da queste precisazioni rimane senz’altro corretto affermare che l’importanza di uno scalo è data dal numero passeggeri che in esso transitano. Un aeroporto che movimenta poche centinaia di passeggeri all’anno, ha un futuro assai poco certo, uno che ne movimenta invece milioni, può guardare al suo futuro con più sicurezza. Non è senza motivo che le cronache abbondano fino alla nausea di dati sull’incremento del traffico passeggeri registrato dagli aeroporti.

Ma per poter vedere i passeggeri transitare nelle loro aerostazioni, gli aeroporti debbono riuscire ad attrarre aerolinee. Ecco allora che oggigiorno assistiamo non tanto alla cattura del passeggero da parte delle compagnie aeree quanto quest’ultime che vengono accaparrate dagli aeroporti. Ma le aerolinee – si sa- scendono laddove c’è traffico da portare e comunque laddove si è in grado di aprire una rotta redditizia, e più bassi sono i costi aeroportuali più appetibile diventa l’yield prodotto dal traffico passeggeri.

Nello scenario odierno ove si confrontano le pratiche da noi evidenziate, una ipotesi dovrebbe venir presa in seria considerazione: le tariffe aeroportuali, tutte, di qualsiasi natura esse siano, dovrebbero venir ricondotte ad un clima di completa liberalizzazione.

Certo, i governi potrebbero mantenere il controllo di quella che è sempre stata la “classica” tassa aeroportuale, parliamo della embarkation tax la quale è sempre esistita da quando esistono gli aeroporti, ma non si può sostenere una forma di attività commerciale che pretende di definirsi indipendente e privata, usando lo strumento di “tasse e diritti” a carico degli utenti, per la gioia delle casse dei gestori.

Ed evitiamo di parlare di tutti quei casi -avvenuti ovunque nei cinque continenti- ove tasse aeroportuali applicate per una precisa finalità, a tutto sono servite eccetto il motivo per il quale erano state istituite.
Una volta che fosse delimitato il numero delle  “tasse” vere e proprie, tutto il resto dovrebbe venir incluso in quel pacchetto di tariffe le quali -come avviene nell’ambito di qualsivoglia attività commerciale- dovrebbero essere soggette a trattative e sconti.

Una prassi del genere applicata nella sua generalità non avrebbe creato contenziosi giuridici del tipo Charleroi.

Quindi, a parte poche e ben mirate tasse, che comunque debbono andare solo e soltanto alle autorità pubbliche, per il resto ogni tipo di tariffa che aerolinea e passeggeri sono chiamati a pagare ai gestori deve essere una tariffa non da “cartello” ma da tariffario, e come tale scontabile liberamente, senza il timore che gestore e aerolinea possano venir chiamati davanti al giudice a giustificare il proprio operato; la regola dovrebbe applicarsi a aeroporti statali e non, proprio in virtù del fatto che l’aeroporto, al contrario dell’aerolinea, si trova sempre ad agire in clima di monopolio naturale indipendentemente dal fatto che la gestione sia pubblica o privata.

Antonio Bordoni