Tutti sappiamo cosa è avvenuto nei giorni caldi dell’eruzione del vulcano islandese: cieli vuoti, aeroporti con passeggeri al bivacco. L’aviazione civile europea si era fatta trovare impreparata ad un evento del genere e in mancanza di precise direttive si era deciso per la misura estrema, ovvero chiusura degli spazi aerei. Ora la situazione è cambiata e non intendiamo riferirci alla diminuita attività vulcanica, bensì ai regolamenti e procedure che saranno adottate nel caso si dovesse ripetere un evento similare, non necessariamente con provenienza da territorio islandese.

Sono state effettuate ricerche e analisi in particolare per quanto riguarda la motoristica e le parti del velivolo più esposte, e si sono iniziati ad appurare i valori di tolleranza entri i quali i voli possono essere svolti senza il rischio di brutte sorprese.

Una prima novità è che questi valori sono più alti di quanto si era inizialmente stimato.

I primi risultati sono di fonte britannica della Civil Aviation Authority (CAA), e ciò non può destare sorpresa dal momento che il Paese che più ha risentito dell’eruzione dell’Eyjafjallajokull è stata proprio la Gran Bretagna. La CAA nel diramare i valori da lei determinati ha comunicato che le compagnie aeree debbono concordare con le case costruttrici dei velivoli che ognuno ha in linea, se i valori diramati possono presentare  problemi nei confronti dei motori e componentistica di cui ogni velivolo è dotato.

La Civil Aviation Authority ha fissato tre zone. La prima “no fly zone” è quella ove sono presenti i valori più alti di concentrazione e nella quale il volo  viene interdetto; la seconda, con valore intermedio, dove il velivolo può valore per un tempo ridotto; la terza dal valore più basso e quella dove il volo è permesso senza restrizioni.

E’ da notare che queste misure valgono per Inghilterra e Irlanda ma non sono state ufficialmente recepite dagli altri enti regolatori del traffico aereo europeo, ciò che comunque verosimilmente avverrà è che anche gli altri si accoderanno ai valori della CAA.

La misura di determinare un valore in base al quale decidere se volare o meno è in pratica quello che mancava. Questo fatto, come noto, aveva generato iniziative a dir poco biasimevoli nel senso che vi erano stati vettori che pur di riprendere i collegamenti avevano effettuato di propria iniziativa voli test onde appurare quale fosse veramente la situazione, e ciò avveniva mentre si levavano numerose le voci di protesta perchè le compagnie stavano perdendo troppi soldi, come se la sicurezza del volo venisse dopo la finanza.

Quello tuttavia che va messo in evidenza è che si è troppo calcata la mano sul fatto che l’Europa si è fatta trovare impreparata. Una tale asserzione è sbagliata  perché in realtà, e ciò  va sottolineato, le regole che governano l’aviazione civile non vengono fatte dai paesi europei come da nessun altro singolo Paese, bensì vengono stabilite a livello globale dall’ICAO.  E’ questo l’organismo che avrebbe dovuto da tempo provvedere in merito, soprattutto ricordando che il primo incidente vulcanico –quello che ha interessato un jumbo della British Airways- era avvenuto nel 1982, ed è davvero incredibile annotare come da quella data l’Icao non abbia ancora provveduto a diramare e ufficializzare valori omogenei in base ai quali decidere se le operazioni possono continuare o debbono bloccarsi.

L’Europa questa volta, presa nel suo complesso, non ha colpa, e d’altra parte sappiamo bene tutti che oltre la moneta c’è ben poco che ci lega gli uni agli altri, cenere vulcanica compresa.

Antonio Bordoni