Di Eleonora Boggio

È una costante quella di trovarsi in imbarazzo davanti ad un foglio vuoto. Eppure questa volta sembra esserlo più di altre. Oggetto del monologo a venire un luogo simile alla Polinesia come fondali e colori, a dispetto della schermata del mio PC che riluce di un bianco più invadente del solito. Forse è il flusso di coscienza che deriva dalle emozioni legate a questo arcipelago sospeso tra cielo e mare. Oppure, il fatto che la Malesia cominci ad appartenermi avendola, inaspettatamente vissuta due volte nel giro di pochi mesi. O ancora, la consapevolezza che questo luogo sia così bello da sembrare irreale, e perciò un non-luogo. Eppure esiste.

Credetemi. È un arcipelago di 99 isole, 104 con l’alta marea, poggiate (è il caso di dirlo) sul mare di Andaman a pochi chilometri da Phuket, Rimini della Thailandia. Ma se in Thailandia ogni attimo si dissolve tra chiasso e rumore qui, invece, regnano sovrane le aquile messaggere di pace e silenzio. Il tutto a vantaggio di una vacanza all’insegna di confort e relax. Questo è il loro regno. Loro fin dal nome.

E allora: “Selamat Datang Langkawi”. “Benvenuti a Langkawi”.

Un arcipelago: tra miti e leggende

Novantanove isole accomunate da uno scenario irreale: scogli rivestiti di jungla, rupi basaltiche figlie del mesozoico a picco su un mare che è una madreperla.

Questa è Langkawi, gioiello del Kedah, intrisa di miti e leggende come appena uscita da una stampa antica. Fin dal nome che deriva dall’antico malay ed è composto da “helang” aquila e “kawi” marrone. Secondo un’antica leggenda, l’isola era infatti stata adottata dal mitico uccello Garuda, come ricettacolo per riposarsi. Questo il motivo per cui, ad accogliere il turista che sbarca nell’isola principale Pulau Langkawi, è il monumento di un’aquila dalle ali spiegate.

Leggende d’amore quelle dell’isola regina dei cieli.

Nascoste ovunque: tra alberi, fiori e grotte. Anche i minuscoli granchi la cui vita è scandita dai flussi della marea, sembrano avvolti nella primordiale Pangea in cui tutto diventa animato.

Perché a Langkawi tutto è dotato di un’anima. Come vi diranno le guide, al confine tra uomini e sciamani che leggeranno il vostro futuro nella cabalistica combinazione di numeri impressa nella vostra data di nascita.

E il mare? Anche lui nasconde un segreto. Confuso dalle onde e dal gorgoglio delle risacca, il respiro e il sommesso pianto di Mashuri, accusata a torto d’adulterio da una suocera gelosa. La sua innocente morte, bagnata per questo da fiotti bianchi di sangue, portò con sé una maledizione che sarebbe gravata sulle sette generazioni a venire. E così fu: giunsero i Thai che invasero e saccheggiarono le isole e, insieme a loro, incendi che distrussero raccolti di riso e derrate di mais. Oggi la maledizione è conclusa e Langkawi splende di una luce di rara bellezza.

Due giganti, il Mat Raya e il Mat Cingang, vette gemelle della stessa isola, portano impressa nella lapidaria stasi, la lite avvenuta al matrimonio dei loro figli. E il villaggio in cui ebbe luogo l’animata discussione, ha oggi il nome la cui traduzione significa “vaso rotto”. Ma non è tutto, Air Hangar, sede di una sorgente d’acqua calda, ha invece preso il suo da uno teiera bollente che uno dei due padri avrebbe scagliato contro l’altro.

Lacrime di sirena nei sogni di un principe, sono protagonisti della terza leggenda. Si narra che Putera Teja, delfino del re di Langkawi, si innamorò di una ninfa scesa dal cielo divenuta sua sposa grazie ad un sortilegio. Dal matrimonio nacque un figlio ma la gioia fu breve, seguita dalla disperazione di un risveglio di morte. E il lago che raccolse le spoglie di quel bambino è oggi la fonte, gravida di promesse del “lake of pregnant mather”, cui vanno le coppie ad abbeverarsi nella speranza di avere un erede.

Tra realtà e finzione

A torto o a ragione Langkawi resta un arcipelago in cui miti e leggende aleggiano sovrane. Un po’ per business e un po’ per convinzione di chi la vive.

Provate a chiedere ai tassisti locali di riportarvi, trascorsa la mezzanotte, nella parte nord dell’isola quella dove sorgono, seminascosti dalla rain forest, i lussuosi complessi dell’Andaman e del Datai. La tariffa che vi chiederanno sarà di 200 ringgit, pari a 43 euro contro i 70 ringgit che vi avrebbero chiesto in un altro momento della giornata. Questo perché, a detta loro, la parte nord dell’isola è popolata dagli spiriti degli antenati trasfigurati in macachi dalla coda lunga. Saremo certamente meno esoterici ma, al di là dell’immediata simpatia che a noi occidentali suscitano questi primati mignon, la parte nord sembra semplicemente quella più selvaggia, e perciò la più accattivante. Basta trascorrere una notte all’Andaman per capirlo. Gechi, forieri di grande fortuna, faranno da custodi aspettandovi sull’uscio della stanza mentre l’eco dell’hornbill, scandirà l’avvicendarsi delle ore notturne.

Sfidate la natura e non smettete di gustare le spiagge sul far del tramonto.

Il bagnasciuga brillerà di lucciole marine mentre sul palco del mare si esibiranno, in un balletto a pelo d’acqua, aquile, condor e pipistrelli.

Il tutto per uno spettacolo mozzafiato che non avrà nulla di sinistro.

Anzi. Questa antitesi, alla realtà metropolitana virata di grigio e di stridore di tram, sarà semplicemente catartica.

Perché questo è il bello della Malesia, che riesce ad emozionare per l’ecletticità con cui si manifesta volta dopo volta.

Viaggio dopo viaggio. Perennemente uguale nella sua diversità.

Ebbene, sì. È accaduto di nuovo.  Ancora una volta, quel foglio che pareva più di altre crogiolarsi nel suo candore, si è riempito di colori, di suoni e di sapori.

Strappati per l’occasione ad un arcipelago, figlio del mar di Andaman il cui nome è Langkawi.

Che, detta in modo più prosaico, sta per “Aquila Marrone”.

Eleonora Boggio