Quando il mondo delle Compagnie aeree era un mondo speciale…

Mi piace guardare in televisione qualche serie di telefilm americani, che erano stati già trasmessi, ma che non avevo mai visto. Queste serie, vengono definite dalle presentatrici prima del loro titolo: “rewind” e questa parola, che in italiano si traduce: riavvolgere, e che troviamo scritta sulle nostre musicassette per intendere un “riavvolgimento di bobina o di tasto”, mi è sempre piaciuta.

Ma invece della bobina o del nastro, il termine mi ha sempre suggerito un ritorno all’indietro, al nostro passato. Ho spesso immaginato quanto sarebbe bello avere un “rewind” nel nostro settore al posto del “fast forward” (avanti veloce). E questo pensiero non è per un puro sentimentalismo o per un attacco di “senilità”, ma solo perché, a distanza di tanti anni dai cambiamenti avvenuti nel mondo turistico, mi chiedo a chi sono giovati e se “il gioco sia valsa la candela”.

Ricordo i tempi in cui in Italia c’erano tantissime compagnie aeree (se non ricordo male una sessantina), che avevano tutte gli uffici in città e personale a disposizione per informazioni, prenotazioni, emissione biglietteria (e i biglietti venivano scritti tutti a mano!).

C’erano sempre dei referenti anche per destinazioni che negli anni ‘70/’80 sembravano, per noi italiani ancora piuttosto provincialotti, esistere sulla luna piuttosto che sulla terra. Isole dal nome per noi esoticissimo come S. Lucia, St. Croix, ecc…sembravano essere irraggiungibili solo a dirne il nome. Eppure, a Roma, c’era la compagnia che solo dagli Stati Uniti portava direttamente in questi posti di fiaba. C’erano tanti di quei vettori che si poteva andare da Roma in quasi ogni parte del mondo. Di Tour Operator ce n’erano quanti ne bastavano per il mercato di allora così come le agenzie dettaglianti. Non ce n’erano né troppi, né pochi. Nessuno si faceva lo sgambetto e, all’epoca, vinceva quasi sempre la qualità sul prezzo (al contrario di oggi).

Il turismo era come una catena nella quale nessuno si sognava di togliere qualche anello. C’era qualche volo charter che portava gli italiani a scoprire mete piuttosto vicine a noi, come la Baleari e le Canarie – e il T. O. Condor di Rimini, con il vulcanico Stefano Patacconi – era stato il precursore di tutti i T.O. che in seguito si sono avventurati, o malavventurati, su questo stesso percorso.

I rapporti con i vettori erano esclusivamente umani , le prenotazioni avvenivano telefonicamente, e le commissioni che venivano riconosciute erano la giusta ricompensa per le ADV e i T.O., che erano i soli interlocutori delle compagnie aeree. La gente era abituata ad andare nelle agenzie di viaggio per prenotare qualsiasi servizio: dal pacchetto completo al solo volo, dall’hotel al biglietto del treno – per evitare le lunghe file alle stazioni. C’era un bel rapporto di fiducia fra cliente e ADV, così come quest’ultimo lo aveva con i T.O.. Erano tutti nella stessa barca e nessuno avrebbe mai pensato di far affondare uno degli attori della filiera.

Tutti concorrevano alla creazione, distribuzione e vendita del prodotto finito. L’incoming andava bene (L’Italia era il Paese più visitato d’Europa) e l’outgoing di certo non soffriva. Ad un certo punto, però, i charter iniziarono ad allargare il loro campo d’azione anche verso destinazioni transoceaniche.

Si incominciò con Cuba e S. Domingo, che riscossero immediatamente un successo enorme tra i nostri connazionale, ma, nel frattempo, anche l’”esotica” e vicina Tenerife,  la trasgressiva Ibiza e la familiare Palma de Mallorca, erano fra le destinazioni preferite. Era solo una questione di possibilità di spesa. I voli speciali, in quel momento, incominciarono a prendere il sopravvento sulle compagnie di linea, portando via una parte dei loro passeggeri e rosicchiando anche una bella fetta di utile.

Meno passeggeri= meno biglietti= meno entrate. In compenso, però, i vettori avevano sulle spalle lo stesso costo del personale di terra e di bordo, gli stessi pasti (e non si pensi a quello che viene passato oggi a bordo degli aerei, non c’è proprio il minimo paragone!), la stessa manutenzione, le stesse spese per il mantenimento gli uffici. A quei tempi le compagnie aeree ci tenevano tantissimo al comfort del passeggero e al servizio che doveva ricevere dal personale navigante.

Non mi è più capitato di vedere le hostess o gli steward servire i pasti con i guanti bianchi o far poggiare il bicchiere o la tazza su un vassoio, riempirli e porgerli nella stessa maniera al passeggero! Oggi, a volte, ci manca poco che ci mettano il dito dentro per porgertelo! Le posate erano di metallo e non di plastica e quando viaggiavi ti sentivi un vero “signore”. E tutto ciò, chiaramente, aveva un costo. Poi…accadde l’irreparabile. Le compagnie incominciarono a fare qualche conto e iniziarono a delocalizzare la contabilità in un paese dove il costo della vita non era quello europeo o americano.

Se non ricordo male la prima fu la vecchia Swissair a portarla in India, e rammento che si diceva in giro che con il costo di un impiegato italiano lì se ne assumevano 4 o 5! Delocalizzazione…parola molto in uso oggigiorno ma, come vedete, non è nuova né è nuovo il problema. Non è sorto con la Fiat, ma nasce da molto lontano, solo che, anche allora, il settore dell’aeronautica civile e quello del turismo non contava proprio niente! Anche tanti anni fa il nostro era un campo invisibile, anche quello delle compagnie aeree straniere, a meno che non si trattasse dell’Alitalia.

Mio marito lavorò per la Pan American e poi per la TWA – per un totale di quasi 35 anni – e ricordo che ogni inizio autunno si parlava sempre di riduzione del personale. Ma nessuno, al di fuori dei soli dipendenti interessati, ne parlò mai o alzò un dito per difendere i lavoratori delle compagnie estere in Italia (chi erano costoro?) anche quando i vettori stessi chiusero i battenti in Italia, lasciando senza posto e senza liquidazione tante persone.

Ma torniamo al discorso iniziale. I vettori incominciarono a trovarsi in gravi difficoltà economiche e, chiaramente, la prima soluzione fu quella di tagliare il personale o di trasferire tutta la sede da Roma a Milano con il motto “chi vuole lavorare si sposti, altrimenti…” Quante persone, non avendo altre alternative, incominciarono a fare i pendolari fra le 2 città e ci fu chi rinunciò al posto perché costava di più pagare un appartamento a Milano e mantenersi, rispetto allo stipendio che veniva loro corrisposto.

Qualche compagnia, un po’ più intelligente o lungimirante, incominciò a proporre il famoso ” Scivolo” per cui i ‘più anziani’ della compagnia accettarono una buona uscita, più il pagamento da parte del vettore dei contributi mancanti fino al raggiungimento di quelli necessari per prendere una pensione.

Ma ormai era finito il tempo d’oro delle compagnie di linea e, in più, entrò nel vocabolario la parola “deregulation”, che, nell’intento iniziale, avrebbe dovuto mettere in concorrenza le varie compagnie per far abbassare i prezzi dei voli e dare più opportunità alle persone di viaggiare. E avvenne che, molto spesso, recarsi da una nazione all’altra dell’America, costasse meno viaggiare in aereo piuttosto che con il treno, il pullman o usare la propria auto (iniziava, senza saperlo, l’era delle low lost!).

Incominciò una bella guerra al ribasso e, a quel punto, tutte le compagnie andarono con i conti in rosso. Chiusero compagnie storiche, alcune andarono provvisoriamente sotto il cosiddetto “Chapter 11”, prima di serrare i battenti. Tutto un mondo stava sgretolandosi sotto i nostri occhi e qualcuno corse ai ripari.

Le compagnie ebbero un’idea “grandiosa”: togliere la commissione alle agenzie di viaggio e, poiché nel frattempo era sorta l’era di Internet, incominciarono a vendere i posti aerei direttamente ai passeggeri che si collegavano ai loro siti. Questa storia va ormai avanti da tanti anni, troppi! Il settore agenziale e del tour operating da anni soffre una crisi che sembra non avere mai fine. E le compagnie aeree?

L’idea geniale di vendere direttamente on-line – eliminando una parte importante della filiera – ha portato a rimettere in sesto le loro traballanti economie? Ed ecco, finalmente, il paradosso. No, i vettori stanno ancora messi male. Conservo ancora foto di compagnie italiane, che hanno visto la luce per poco tempo e poi sono ‘scoppiate’ come bolle di sapone.

Eliminare l’intermediario ha portato nelle loro casse tanti soldi in più da stare in pareggio o in attivo? Credo che oggi non si arriverebbero a contare neppure le dita di una mano.

Eppure Internet e l’abolizione dei professionisti, da sempre impegnati nella vendita di posti aerei e di grande aiuto ai vettori, sembrava la soluzione migliore e finale al loro stato di crisi.

Ma la crisi non mi sembra che sia terminata per loro, anzi, sembra che, per non sparire, ci si debba ‘accorpare’ ad altri vettori. E allora, a cosa è servito portare scompiglio in un mondo che aveva le sue regole e i suoi interpreti principali? A me sembra che sia servito solo a stravolgerle e a portare tutto il settore turistico in una brutta e lunghissima emergenza!

Liliana Comandè

PS. Dell’evoluzione e dell’involuzione dei Tour Operator e delle ADV parleremo un’altra volta…