Fatih Mika è nato nel 1956 vicino Istanbul e per la precisione a Kucukcekmece, tra il lago omonimo e il Mar di Marmara, uno straordinario e giustamente rinomato contesto naturalistico, contraddistinto da una fauna ricca e variatissima, che costituisce la motivazione più fortemente avvertita del bestiario e del florario che sono tra i soggetti prediletti dall’artista.
E, insieme al dato biografico, anche la lettura dei racconti fantastici e poetici di Saif Faik, notissimo scrittore che narra appunto la vita degli animali, in particolare pesci e uccelli, nei dintorni di Istanbul. Colombi (in volo, oppure posati su rocce, embrici, cupole) e falchetti, anatre e gatti e i lunghi cortei di formiche, e i pesci dalle squame iridescenti, e le conchiglie, ma pure i fiori di magnolia, e rami e foglie e piante palustri.
Sono questi, con ogni probabilità, molti dei fogli più felici di Mika, intrisi di nostalgia e improntati di affabulazione fiabesca. Il grande libro della natura si trasforma agli occhi dell’incisore in un inesauribile libro di fiabe.
Fatih Mika ha studiato sotto la guida del professor Dževad Hozo all’Accademia di Belle Arti dell’Università di Sarajevo in Yugoslavia, dove si è laureato e specializzato in grafica artistica e tecniche di incisione. Attualmente è Docente di Tecniche di Incisione all’Accademia di Belle Arti di Roma.
Ogni linguaggio ha i suoi ostacoli, ma pochi conoscono l’inapparente difficoltà dell’incisione e della stampa. Quanti passaggi prima della impressione? Quante matrici? Ed il tempo della morsura? La realizzazione di ogni opera, che sia di pittura, di architettura o scultura, possiede i suoi tempi, dall’intuizione al progetto, fino alla realizzazione e raramente se ne possono saltare i passaggi, per una occasionale improvvisazione. Per Fatih Mika ogni gesto e scelta vengono da lontano e compiuti con la libertà di chi possiede un sicuro repertorio di tecniche e strumenti.
Tra le tecniche della tradizione, l’artista preferisce quelle della incisione indiretta, la più frequente è l’acquatinta allo zucchero. La matrice è morsa dall’acido tra i brevi spazi della granitura; assumono così sfumature e tridimensionalità i suoi pesci, i silenziosi fondi marini e i crostacei. Non impiega mai la sola acquaforte e per questa spesso usa la morsura aperta, per ottenere un segno dai contorni più morbidi, sfumati. Fatih Mika è abilissimo nel mescolare le tecniche, a cui spesso abbina procedimenti personali, che aggiungono alla stampa effetti di acqua e marmo.
Anche la classica maniera nera è ottenuta con lastre da lui stesso preparate, carezzate poi dal brunitoio. Poi c’è la collografia, che dà corposità alla matrice e che non segue la via “del levare”, ma dell’aggiungere. Sulla lastra si applica stucco o altro materiale, così l’inchiostro si fa strada tra i rilievi e l’impressione risulta profonda e calma. Alle chimere della computergrafica, Fatih Mika preferisce l’esplorazione negli ambiti delle tecniche della stampa originale, e delle nuove possibilità della chimica.
Egli stampa di persona le sue matrici, con grande perizia, sorprendendo a volte con un fuori registro, che invece di dare il classico effetto dello sfocato, di scarto casuale, è come una finestra, un’apertura a chi si avvicina, fino a coglierne l’invito a lasciarsi scoprire. La carta impiegata non ha nessuna pretesa è una semplice carta Catania, ultimamente ha impiegato la carta riso colorata, che ammorbidisce di più l’impressione.
Le sue opere ben calibrate e composte, si potrebbero gustare solo seguendo la varietà dei loro caratteri grafici, che si ha come bisogno di sfiorare, come si fa per le superfici di una scultura o delle pagine di un libro caro. Ma per questo artista turco, che ama il mare e la filosofia, i soggetti non sono casuali. All’inizio della sua carriera ha illustrato le poesie dell’italiano Eugenio Montale, forse a lui affine nella visione della vita e delle cose. Nelle sue opere sono frequenti oltre agli amati paesaggi marini, che fanno eco ai pesci dei Maestri giapponesi, le riletture di Roma e poi dei classici, da Manet a Picasso, fino agli enigmatici profili dei re Assiri.
Ultimamente tornano nei suoi fogli i personaggi delle favole della tradizione turca, quasi da teatro di ombre, ma ancora una volta c’è il semplice piacere di inseguire un ricordo di purezza quasi infantile, appena venata dalla rituale ferocia della protagonista della fiaba: Kanli Nigar. Si racconta ancora di purezza con i dervisci rotanti che suggeriscono la nostalgia dell’ascesi. Fatih Mika ama gli artisti che hanno aperto la strada alla ricerca, come il grande Paul Klee. Con lui condivide il metodo attento, il piacere per la poesia e la musica, ma anche l’indole riservata e un’arte che si è appena liberata dall’inquietudine del vivere, lasciando al posto dello smarrimento, una mestizia che interroga. Nell’arte di Fatih non sembra dunque esserci posto per il caso, in lui questo si fa ricerca e attesa, compiuti con umiltà e sicurezza.