In pratica è da quando gli aeroporti sono stati privatizzati che si è accesa, fra aerolinee e gestori aeroportuali, la battaglia per le tariffe degli scali, uno scontro senza esclusioni di colpi la cui virulenza è causata soprattutto da una domanda troppo spesso dimenticata ovvero  quanto è stato opportuno privatizzare un settore che secondo non pochi studiosi della materia presenta i connotati del pubblico servizio?

Ed è proprio rifacendosi a questo dubbio, tuttora aperto, che si può trovare la spiegazione al tormentone quotidiano sull’adeguamento delle tariffe aeroportuali.  

Da una parte i gestori che lamentano l’incertezza e i lunghi tempi in cui si muove la normativa, dall’altra le compagnie aeree che denunciano scarsa trasparenza e scarso coinvolgimento nell’adeguamento delle tariffe.

Tutti problemi, lo ripetiamo, accentuatisi dalle privatizzazioni cui sono stati oggetto gli aeroporti, da quando questi si sono trasformati da beni demaniali a “imprese” industriali, per le quali però proprio in virtù di quel dubbio ricordato, i governi vogliono fungere da intermediari; una intermediazione che i gestori aeroportuali mal digeriscono.

Per quanto riguarda il nostro Paese, l’ultima puntata sull’argomento si è consumata  pochi giorni orsono quando il Quirinale ha rispedito al mittente il decreto che  riguardava le procedure per l’approvazione dei diritti aeroportuali e più precisamente il recepimento nella nostra legislazione della Direttiva CE 2009/12.

 

Non capita tutti i giorni che il Quirinale rispedisca al mittente un decreto, e quello in questione era ovviamente molto atteso dai gestori.  Assaeroporti già dallo scorso mese di luglio aveva  emesso  un comunicato stampa nel quale si lamentava della confusione che regna nel rapporto fra Stato e società di gestione aeroportuale ed ora, quanto avvenuto la scorsa settimana, non farà altro che acerbare ancor più le rispettive posizioni.

Da parte loro i vettori con un comunicato congiunto Ibar/Assaereo  avvertono di aver accolto “con favore la decisione della Presidenza della Repubblica di bocciare il decreto legislativo sugli aeroporti”.

Ma quale era il contenuto della direttiva UE 2009/12 che avrebbe dovuta essere recepita attraverso il contestato decreto?

Nelle sue considerazioni iniziali la  direttiva in questione precisa fra l’altro quanto segue: “gli aeroporti mettono a disposizione una serie di infrastrutture e di servizi connessi all’esercizio degli aeromobili e alle operazioni relative ai passeggeri e alle merci, il cui costo viene in genere recuperato mediante la riscossione di diritti aeroportuali.

I gestori aeroportuali che forniscono infrastrutture e servizi per i quali sono riscossi diritti aeroportuali dovrebbero adoperarsi per operare secondo costi efficientati.”

Invitando il lettore a ben considerare quel termine “costi efficentati” che è davvero un capolavoro di eloquenza lessicale, passiamo all’articolo uno il quale precisa che la direttiva stabilisce principi comuni per la riscossione dei diritti aeroportuali negli scali della Comunità, principi che troveranno applicazione per gli aeroporti che movimentano più di 5 milioni di passeggeri nonché allo scalo con il maggior traffico passeggeri in ciascun Stato membro.

Passando poi al successivo articolo due, questo chiarisce che utente dell’aeroporto è la compagnia aerea (“qualsiasi persona fisica o giuridica che trasporti per via aerea, posta e/o merci, da e per l’aeroporto considerato”), mentre per diritti aeroportuali si devono intendere i “prelievi riscossi a favore del gestore aeroportuale e pagati dagli utenti dell’aeroporto” ovvero dalle compagnie aeree anche per tutte quelle operazioni che si riferiscono a passeggeri e merci.

Circa i prelievi riscossi dalle aerolinee a favore del gestore aeroportuale,  in questa sede ci sia permessa una breve parentesi per ritornare ad una nostra datata osservazione, dove facevamo presente che i vettori agendo quali intermediari degli incassi di cifre che poi rigirano ai gestori, ben potrebbero pretendere una commissione, o aggio,  per queste transazioni. Essi infatti, tenendo presente non solo la movimentazione di cassa fatta  in nome e per conto del gestore ma anche perchè ogni eventuale sbaglio si trasformerebbe in voce passiva, sono in definitiva i veri responsabili del corretto incasso di questi importi.

L’articolo 3 tratta della non discriminazione nell’applicazione dei diritti aeroportuali fra gli utenti dell’aeroporto e a tal proposito non si può non ricordare come la Convenzione di Chicago (articolo 15) già trattava l’argomento. Nuovamente, come già avvenuto nel caso delle ETS,  annotiamo come la normativa della UE finisca per sovrapporsi a quella internazionale diramata da altri organismi.

L’articolo 4 è quello, a parere dello scrivente, più deludente in quanto viene toccato un argomento che meritava ben altre considerazioni che non quelle trattate.  Ci riferiamo alla “rete aeroportuale” la quale nella definizione fornita dalla Direttiva viene intesa come “un gruppo di aeroporti gestiti dallo stesso gestore aeroportuale”. Ebbene in tale fattispecie  l’articolo prevede che “gli Stati Membri possono autorizzare il gestore aeroportuale di una rete aeroportualr a introdurre un sistema di tariffazione aeroportuale comune e trasparente da applicare all’intera rete”,  ma si perde l’ennesima occasione per chiarire come, dall’ottica delle finanze dei vettori, sarebbe estremamente utile che laddove vi è un sistema aeroportuale fosse resa obbligatoria la concorrenza fra scali e non la loro concessione al medesimo gestore.

I successivi articoli trattano poi quello che è stato il vero e proprio argomento di scontro fra Ibar/Assaereo e gestori ovvero la trasparenza delle tariffe e l’autorità di vigilanza indipendente. Annotano le associazioni delle compagnie aeree come occorra “costituire una autorità di sorveglianza indipendente…il tentativo del governo di attribuire queste funzioni ad un dipartimento dell’Enac, costituisce un palese conflitto di interessi tra il controllore ed il controllato, disattendendo totalmente il senso della direttiva stessa”.

Infine una ultima annotazione critica; dopo aver parlato a più riprese circa i sistemi di tariffazione “comuni”  la direttiva si apre alla differenziazione dei servizi in particolare: “l’ammontare dei diritti aeroportuali può essere differenziato in funzione della qualità e dell’estensione di tali servizi e dei relativi costi o di qualsiasi altra motivazione oggettiva e trasparente” (art.10).  Ebbene non ci meravigliamo affatto che dovendo recepire una siffatta direttiva la nostra legge applicativa abbia alla fine finito per essere anch’essa un capolavoro di machiavellismo.

Antonio Bordoni