La domanda è un classico nell’ambiente dell’aviazione civile e per la verità le risposte ad essa non sono mai state univoche. Nel trasporto aereo commerciale da sempre l’importanza di una compagnia aerea è tradizionalmente affidata al suo network. Più destinazioni vengono servite, maggiore è l’importanza di un vettore, se poi le destinazioni toccano capillarmente i cinque continenti si parla di un “grande” vettore a carattere internazionale.
Ma di fatto le aerolinee appartenenti a questa categoria sono davvero ben poche ormai, esse sono in pratica andate scomparendo da quando a partire dagli anni settanta/ottanta grazie alle politiche neoliberiste sono state varate le tre “zioni” ovvero deregolamentazione, privatizzazione, liberalizzazione.
A quel punto le aerolinee tradizionali sono andate in tilt e i voli intercontinentali si sono fatti merce rara prerogativa di poche elette. Forse qualcuno ricorderà come in contemporanea con l’avvio della deregulation fu annunciato che non era più tempo di compagnie elefantiache, quasi che fosse una colpa avere un network che abbracciava il mondo. Eppure siamo stati sempre abituati al fatto che le compagnie aeree non volassero solo sui brevi settori bensì anche su quelli a lungo raggio in altri continenti, e non avevamo certo il sentore che un volo intercontinentale fosse un lusso che poche aerolinee potevano permettersi: più semplicemente vedevamo in ciò il soddisfacimento di una domanda che era del tutto legittima attendersi da una compagnia di trasporti.
Finito l’impero dei vettori globali a stelle e strisce (leggasi Pan American e TWA) nessun vettore statunitense è stato in grado di replicare la vastità della rete intercontinentale di queste due compagnie e per quanto riguarda l’Europa se si esclude il gigante tedesco tutti gli altri, compresi francesi e inglesi, hanno dovuto ricorrere alla formazione di gruppi per poter mantenere la loro rete a lungo raggio. In base alla graduatoria sul revenue prodotto, dietro al gruppo Lufthansa troviamo Air France/Klm e poi IAG (Iberia/British Airways) e qui il cerchio si chiude. Per il resto rimangono solo nostalgici ricordi, come quelli relativi alla rete a lungo raggio di Swissair o quella di una SAS, di una Sabena, e perché no ? Anche quella di Alitalia. Poi c’è il discorso tutto a parte dei vettori del medio oriente i quali continuano a espandere il loro network a lungo raggio ma non poche volte sono stati accusati, in particolari dai vettori europei, di potersi permettere questi ed altri lussi grazie a sussidi governativi, un’accusa sempre rispedita al mittente.
Da queste considerazioni si potrebbe trarre la conclusione che per una compagnia che voglia in tempi rapidi ottenere il profitto le dimensioni globali costituiscano un notevole impedimento. Sull’argomento una graduatoria stilata dalla rivista Usa Aviation Week & Space Technology denominata “Top Performing Airlines (TPA)” vede fra i primi 10 posti compagnie come la Copa, la Hawaiian, la LAN, con la Lufthansa “solo” al settimo posto e giunge alla conclusione che “bigger is not always better”.
Portando queste considerazioni a casa nostra, tutto ciò potrebbe essere visto come qualcosa di positivo per Alitalia? La risposta è purtroppo negativa in quanto pur prendendo atto che non è necessario essere grandi per godere di miglior salute, ciò però non significa che basta essere di dimensioni contenute per stare bene, e i bilanci in rosso di Alitalia ne sono la prova più evidente.
Antonio Bordoni