E’ questo più o meno il tenore dei titoli che il 14 giugno scorso primeggiavano su tutti i quotidiani italiani, anzi qualcuno si è spinto a dire che le compagnie aeree made in Italy rischiano l’estinzione. Origine delle poco rassicuranti notizie la conferenza stampa tenuta il giorno prima presso l’Enac dal presidente Vito Riggio e dal direttore generale Alessio Quaranta in occasione della presentazione del Rapporto 2011 sulle attività svolte dall’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile.

Troppe tasse sul settore? Certamente si; Tariffe low cost troppo basse? Può darsi.  Anche se sono stati questi i due capri espiatori con cui se la sono presa i nostri mass media, le spiegazioni sul perché le compagnie italiane non splendono per risultati positivi, hanno ragioni ben più profonde.

Chiunque è addentro al settore sa bene che le tasse “dovrebbero” essere uguali per tutti i vettori, e per quanto riguarda le tariffe troppo basse vendute dai vettori low cost, è pur vero che annunci di compagnie italiane che avvisavano l’avvio di collegamenti low cost ve ne sono stati a volontà, inclusa Alitalia con la sua smart carrier, quindi al di la dei proclami di facciata di facile effetto,  crediamo sia necessario essere meno superficiali sulle ragioni del disastro aviazione Italia, un disastro che tuttavia – è questo un primo dato da ponderare – vede il traffico aeroportuale passeggeri in continua crescita: nel 2011 sono assommati a quasi 148 milioni i passeggeri transitati sugli scali italiani, un incremento del 6,5 per cento rispetto ai 139 milioni del 2010. I 148 milioni di passeggeri sono stati ottenuti con un totale movimenti aeromobili di 1.450.000 unità.

Quindi abbiamo passeggeri che usano il mezzo aereo da/per l’Italia in aumento, ma compagnie aeree nazionali che rischiano l’estinzione.  Dove e cosa si è sbagliato? Crediamo infatti possano sussistere pochi dubbi sul fatto che siamo in presenza di uno spontaneo karakiri ovvero di qualcosa di deleterio causato da noi stessi.

Ad altra conclusione non si può giungere ricordando che solitamente  quando un Paese dispone di un consistente bacino di traffico i primi che ne dovrebbero trarre vantaggio sono i vettori nazionali.  Ricordiamo le cifre che circolarono nel periodo antecedente l’avvio della nuova Alitalia-Cai;   in quella occasione ci fu spiegato che LH in Germania controllava il 73 per cento del traffico, Air France in Francia arrivava a toccare l’85,5 ; ebbene per quale motivo da noi l’Alitalia che pure negli anni passati era stato uno dei principali vettori mondiali era arrivata a ridursi a cifre ben inferiori facilitando così l’invasione dei vettori stranieri?

Questa è una prima riflessione da fare ricordando fra l’altro che il periodo del dimagrimento e del taglia-rotte è occorso anche negli anni della deregulation europea quando ogni compagnia aerea, Alitalia compresa, avrebbe potuto aprire collegamenti in paesi UE senza più il vincolo dei bilaterali. Ma il particolare più importante da ricordare sotto questo aspetto è  l’assurdità che si è  perpetrata tramite la fusione con Air One.

Infatti, dopo averci sommerso di chiacchiere sulla necessità di recuperare quote di mercato e di traffico – e le cifre che sopra abbiamo ricordato si inserivano in questo contesto – la compagnia che ne è uscita e l’offerta immessa sul mercato sono state  addirittura di dimensioni più contenute di quelle che separatamente i due vettori riuscivano ad offrire.

Prima dell’unione con Air One (anno 2008) le due compagnie avevano trasportato complessivamente 25.400.000 passeggeri, mentre al 31 dicembre del 2011 il numero passeggeri è stato inferiore attestandosi a 24.600.000

Perché quindi mostrarsi sorpresi del “declino” dei nostri vettori?  In un nostro precedente articolo (“La semestrale di Alitalia” 11/8/2011) annotavamo quanto segue: In una intervista rilasciata lo scorso aprile (La Repubblica, Affari & finanza 18/4/11, “non vendo Alitalia ai francesi, ma non dovete lasciarci soli”) il presidente Roberto Colaninno ha dichiarato che “la concorrenza non la si fa con gli aerei ma con gli aeroporti” una ben strana dichiarazione tenendo conto che Alitalia ha ora una flotta ridotta a 150 aerei (dal comunicato della semestrale al 30/6) mentre negli anni passati con una flotta che arrivava quasi a toccare i 200 velivoli essa aveva trasportato cifre ben più elevate di passeggeri, valga per tutti il 2005 con 26 milioni di pax e una flotta di 188 velivoli (da sola, senza Air One).

Non si capisce quindi come oggi che AZ ha meno aerei e trasporta meno passeggeri, gli stessi aeroporti possano costituire un problema al suo sviluppo.

Allora tirando le somme e parlando di compagnie aeree italiane che rischiano l’estinzione, una prima considerazione da porre è dove e cosa poteva diventare Alitalia con la sua continua politica di tagli e riduzione di flotta e rotte.

Attenzione che qui non si sta criticando la razionalizzazione e ammodernamento della flotta, assolutamente necessario, ma semplicemente  vogliamo ricordare, che l’odierna industria del trasporto aereo è caratterizzata da consolidamenti che lasciano  ben poco spazio  ai vettori che rimangono isolati.

E spingendoci oltre su questo aspetto ci si potrebbe ancora chiedere quanto sia stato saggio far saltare l’accordo con il gruppo AF-KL nel 2007/2008.

Andando poi a parlare dei vettori low cost, infinite volte in Italia è stata annunciata la nascita di un vettore tricolore low cost. E per quale motivo questi vettori non sono riusciti a coprire tutte quelle rotte nostrane divenute terra di conquista delle low cost straniere?

Anche in tal caso a chi vogliamo dare la colpa? Le low cost non necessariamente devono essere straniere, possono tranquillamente essere vettori italiani, purtroppo nessun nostro vettore, compresa la smart carrier di Alitalia che ha annunciato di volersi dedicare al low cost, è riuscita a riconquistare il terreno guadagnato dagli stranieri.

Nell’anno 2007 l’annuario dell’Enac forniva una tabella ove il traffico nazionale veniva ripartito fra vettori italiani e stranieri. Ebbene i primi avevano trasportato 26.2 milioni di passeggeri, i secondi 2 milioni. Ora se andiamo all’annuario dello scorso anno (2011) apprendiamo che 22.5 milioni di passeggeri hanno volato con vettori battenti bandiera tricolore e 9 milioni con vettori stranieri. In calo i primi, in netto aumento gli altri. Trattando del non decollo delle nostre low cost, due sono le attenuanti che possiamo trovare a loro supporto.

La prima è che di certo la telenovela delle indagini sul personale delle basi Ryanair delle quali non si riesce a vedere la parola fine è a dir poco scandalosa; la seconda riguarda la storia dei sussidi aeroportuali. Entrambi questi due aspetti non possono non ricollegarsi al discorso sulle “tasse troppo alte”.

Premesso infatti che le tasse che gravano sui vettori non fanno discriminazioni, sono uguali per tutti,  è pur tuttavia scontato che se un vettore gode di trattamenti particolari, di fatto è come se pagasse meno tasse.

Ancora altra anomalia tutta italiana è rappresentata dall’assenza di un piano nazionale degli aeroporti in grado di definire una pianificazione del sistema aeroportuale, un piano da tempo annunciato e troppo in ritardo anche se finalmente questa estate esso dovrebbe finalmente veder la luce.

In sua mancanza  il numero degli aeroporti è venuto crescendo ampliando il rischio di sovrapposizione dei mercati di riferimento e contribuendo senz’altro anch’esso a far del nostro Paese terra di conquista.

Antonio Bordoni