di Antonella Pino d’Astore.

Il poeta latino Decimo Giunio Giovenale, nato ad Aquino intorno al 60 a.C., scriveva: “…appena fuori dal pandemonio che è Roma, che pace lungo la via Latina e nella valle del Liri!

“…Là si può comprare una casa, per quanto a Roma si paga una soffitta. Là si può avere un orto con un pozzo e un po’ di pecore. Là, padrone di una zolla di terra, ti senti un uomo”. E’ la Ciociaria, millenario ponte geografico tra la Capitale e Napoli, che comprende la provincia di Frosinone e alcuni comuni delle province di Roma e Latina. Il nome deriva dalle “cioce“, antichissime calzature portate una volta da suoi pastori, fatte di un solo pezzo di cuoio, fermato al piede da stringhe, anch’esse di cuoio e avvolte fino al polpaccio, a sua volta rivestito da una fascia di tela bianca.

La Ciociaria che vediamo adesso è quella che ha preso forma nei primi secoli del Medioevo, con l’opera civilizzatrice delle Abbazie Benedettine e lo splendore della Città dei Papi. Partendo da Roma diretti a Fiuggi, l’invito è di abbandonare l’autostrada per lasciarsi sedurre dal paesaggio che costeggia la pista ciclabile, passando per i comuni di Paliano, Serrone, Piglio e Acuto.

Una volta da qui passava il treno

17 km immersi nel verde, tra boschi e antichi borghi, tra vigne, ulivi e centri storici medioevali: il percorso della pista ciclabile è un felice esperimento di recupero ambientale. Smantellata nel 1983, la ferrovia a scartamento ridotto collegava la Ciociaria a Roma. Dopo un ventennio di lavori, si materializza la deliziosa pista che parte dalla campagna di Paliano e pian piano sale a mezza costa per arrivare a Fiuggi.

L’anello, che nei punti di maggior altitudine raggiunge i 600 metri, è alla portata di ogni ciclista, non presenta ripide salite. Fuori dal circuito autostradale, strada facendo, un cartello, incorniciato da una folta vegetazione, indica Collepardo, un grazioso centro di origine medioevale, che offre diverse attrattive naturalistiche. Nelle Grotte dei Bambocci le stalattiti e le stalagmiti hanno forme simili a figure umane.

Il Giardino Botanico “Flora Ernica”, istituito dal WWF nel 1985, ospita piante che crescono spontaneamente tra rocce, boschi, prati, radure, acquitrini. Ma il viaggio, che sia in auto, in bici, in moto, a piedi, prosegue. E infine, alle pendici dei Monti Ernici, dall’alto dei suoi 747 metri, ecco il profilo di Fiuggi, magnifico borgo medioevale, perfettamente conservato. Gli antichi romani l’apprezzarono come luogo di cura e benessere per il corpo e lo spirito, grazie alle sue acque termali; d’altra parte, le doti dell’acqua “che rompe la pietra” erano ben conosciute nel 1549 anche da Michelangelo.

Le Terme del Lazio: dall’acqua puro benessere

Nel 1911, con la nascita del Grand’Hotel di Fiuggi e della Fonte di Bonifacio VIII, Fiuggi, da piccolo centro agricolo pastorale, grazie anche a un clima delizioso, si trasforma in luogo ideale per rigenerarsi e divertirsi. Il sommo Pontefice insieme al grande Michelangelo furono i primi fruitori dell’acqua e ne trassero “grande giovamento”.

E poi vennero qui Papa Pio X, Giovanni Giolitti, Benedetto Croce, Alcide De Gaspari; più recentemente, Andreotti, Fellini, Gorbaciov e Adriano Celentano. Spiega il prof. Renato Del Monaco, direttore sanitario Terme di Fiuggi: “Le acque svolgono un’importante azione sul metabolismo e sono un efficace rimedio contro la calcolosi e le infezioni delle vie urinarie. La produzione e l’imbottigliamento di acqua termale s’integrano con l’offerta di oltre 10.000 posti letto e per questo possiamo parlare di Territorio Termale. La comunità europea ha preso come modello ideale il nostro sistema di termalismo”.

A Fiuggi, città capitale del Termalismo, la parola d’ordine è puro benessere; e sono tanti gli hotel adiacenti agli stabilimenti termali che offrono squisita ospitalità e trattamenti spa. Come il Silva Hotel Splendid, immerso nel castagneto, dove è possibile coniugare benessere, vacanza e lavoro; è un albergo che sintetizza perfettamente avanguardia e raffinata eleganza, in un’atmosfera calda e avvolgente. L’Hotel aderisce al gruppo “Italy Bike Hotel” e offre ai ciclisti un deposito sicuro con piccola officina per la bicicletta e molti altri servizi.

Il Lazio, si sa, è un bacino naturale ricco di acque termali di storica tradizione. E infatti, ecco Ferentino, sulla via Casilina, km 76, dove sorgono le Terme Pompeo, stabilimento che sfrutta la storica sorgente Bagni, un tempo Acquapuzza, conosciuta già ai tempi dei Romani. Ambrogio Pompeo volle il primo stabilimento nel 1854. Oggi il complesso è in grado di assicurare un benessere globale attraverso la cura e la prevenzione di molte patologie, ma anche trattamenti beauty e nuovi servizi.

Spingersi nella parte più meridionale del Lazio, dove il fiume Garigliano separa il Lazio dalla Campania, significa aver raggiunto il traguardo e il meritato premio: le Terme di Suio, situate in una frazione di Castelforte. Le acque sulfuree, a una temperatura compresa tra 15° e 65°, sono una gioia per la pelle, per l’apparato locomotore, respiratorio, uditivo e genitale-femminile. Insomma, le Terme del Lazio costituiscono un vero e proprio patrimonio da riscoprire e da vivere. I siti termali della Regione s’inseriscono in un contesto variegato e ricchissimo di risorse sia naturali sia artistiche sia fanno sicuramente pensare alla “vacanza attiva”.

 

Il borgo, il castello, i fantasmi: i luoghi di Celestino V

Fumone è in alto, tanto in alto sopra la valle che fu per secoli avamposto inespugnabile del Papato e dello Stato della Chiesa contro i Saraceni e i Normanni. Siamo a ben 783 metri di altezza, immersi in un’aria leggera e frizzante con ai piedi i colli Albani e la valle del Sacco. Fumone ebbe sempre grande valenza difensiva per la sua posizione alta e perché posto ai confini dello stato Vaticano: “Se Fumone brucia, tutta la campagna trema!”.

E proprio i Papi lo resero famoso nel bene e nel male visto che il superbo castello, che apparteneva agli avi di Bonifacio VIII, fu utilizzato come prigione d’èlite. Il prigioniero più celebre fu Celestino V, il papa del “gran rifiuto” di Dante, imprigionato fino alla morte nella rocca di Fumone dal suo nemico Bonifacio VIII. Tuttavia, per volere di Dante, i due papi condivisero la stessa collocazione nel girone dell’inferno dantesco.

Il castello perse la sua aria tenebrosa nel 1600 quando i marchesi Longhi lo rimaneggiarono magnificamente aggiungendo il giardino pensile. Ma la leggenda ha voluto restituire un’aria di mistero al castello: qui dimora il fantasma della marchesa Emilia Caetani, disperata per la morte drammatica dell’unico figlio maschio, avvelenato con l’arsenico dalle sorelle maggiori, preoccupate per la perdita dell’eredità.

Ma non è l’unico fantasma: non hanno pace neanche le anime delle povere fanciulle, uccise, pare, dal marchese che nell’esercitare il diritto “ius prime nocte”, giudicandole non più vergini, le scaraventava giù dal pozzo del castello. Oggi la rocca è privata ma visitabile. La pietra viva delle alte torri merlate ritorna in tutto il borgo antico, tra vicoli stretti, passaggi a volta e antiche case dai tetti rossi. Chissà se tra antichi drappeggi e ricco mobilio è ancora possibile udire flebili lamenti…

 

Percorso di gusto tra le colline ciociare

Nel Lazio meridionale percorsi tra città fortificate e grandi abbazie isolate, perse tra larici e faggi, fondate da frati eremiti, attirano visitatori ispirati dalla fede e dal fascino della storia, ma anche per l’aspetto più mondano delle tradizioni legate ai piaceri della buona tavola. Sapori antichi, semplici, sublimati dalle contaminazioni culinarie delle regioni confinanti: formaggi, salumi di montagna, pizze rustiche, fettuccine, abbacchio e capretto. Tra i primi piatti non sono da meno gli gnocchi, i cannelloni, il famoso timballo ciociario “alla Bonifacio VII” e le minestre, come sagne e fagioli, pasta e patate, pasta e ceci. I secondi vedono in prevalenza carne di maiale, di abbacchio, di pollo e di coniglio. I dolci sono in prevalenza da forno come il ciambellone, la pigna, le ciambelle sciroppate o al vino, le crostate con la marmellata fatta in casa o con la ricotta, i tozzetti con le nocciole, i famosi amaretti di Guarcino, e i torroncini di Alvito. Ogni angolo della Ciociaria, ogni vicolo, ogni borgo, nasconde segreti culinari che si traducono in delizie e delirio dei sensi. Il vino ciociaro, rosso, secco, rubino, regna incontrastato sulle tavole: ha il nome di Cesanese (doc), Hernicus Passerina del Frusinate (igt), Campo Novo Cesanese del Piglio (docg). Acuto, una delle capitali del Cesanese doc, domina la valle del Sacco e ospita l’azienda agricola “Le Valli”; la struttura immersa nel verde sovrasta un’ampia vallata verdeggiante. All’interno un tripudio di prodotti biologici e formaggi, richiesti anche da vari ristoranti della zona, come “Le Colline Ciociare” di Salvatore Tassa. Il ristorante è segnalato su numerose guide (Gambero Rosso, Espresso, Michelin) a ragion veduta: un ambiente accogliente ed elegante, con pavimento in cotto originale del Settecento, una selezione curata per un’ottima cantina e una cucina sublime.

“In ogni piatto ripropongo profumi, sensazioni e aspetti che la natura locale m’ispira; ciò viene creato solo con l’essenziale…” afferma con orgoglio lo chef Salvatore Tassa. È proprio il caso di affermare che in Ciociaria si mangia bene e si beve meglio.

 

 Antonella Pino d’Astore