antonio-bordoniE così Ryanair ha piazzato l’ordine record per 175 nuovi aerei alla Boeing dei quali, da quel che è dato sapere, un centinaio verranno usati per la crescita della flotta significando un totale di oltre 400 aerei in servizio per il 2018.

Quasi non credevamo ai nostri occhi quando leggendo la notizia sulla stampa abbiamo notato che qualche giornalista si è spinto a dire che ora finalmente il sorpasso su Alitalia avverrà sul serio.  Se qualcuno è davvero convinto che i problemi dell’aviazione civile consistano in dispute di tal genere vuol dire che vive nel mondo delle nuvole e bene farebbe a tornare a terra.

E’ infatti opportuno ricordare che sia il numero del parco velivoli sia il numero passeggeri trasportati non sono indicatori che possono convalidare le fortune delle aerolinee, ne tanto meno sono esplicativi della loro solidità finanziaria.  Le compagnie statunitensi ad esempio per decenni sono state ai vertici mondiali sia per l’una come per l’altra graduatoria eppure, chi prima chi dopo, la maggior parte di esse o ha chiuso, o è stata assorbita, o è entrata in Chapter 11.

Più aerei in flotta  certamente vogliono significare nuovi servizi e maggiori frequenze, questo senz’altro.  E su quali aeroporti si riverseranno questi nuovi collegamenti? Di certo poiché stiamo parlando di Ryanair non vi è dubbio che si tratterà sempre e soltanto di cosiddetti aeroporti “secondari” quelli preferiti dal vettore irlandese per assicurare i rapidi turn-around caratteristica primaria dei suoi servizi e per altri motivi anche.

Entrando nel merito dei reali problemi pendenti, dobbiamo sottolineare che due sono gli argomenti nei quali Ryanair  è stata chiamata a confrontarsi.  Il primo riguarda i rapporti con i suoi dipendenti, il secondo riguarda i sussidi che essa riceve.  Per quanto riguarda il primo punto circola voce che in Europa saremmo alla vigilia di radicali cambiamenti in quanto sarebbe prossimo l’avvio di un nuovo accordo siglato con i dipendenti che fra l’altro prevede aumenti salariali. Nel mondo sindacale si è sicuri che per lo staff del vettore irlandese  si stia aprendo un nuovo scenario che vede il personale meno isolato e più tutelato dal punto di vista delle rivendicazioni;  di certo quello che si può dire è che i costi del personale che nel bilancio al 31 marzo 2012 avevano raggiunto la cifra di 415 milioni di euro saranno destinati a salire nei prossimi anni.

Per quello che più da vicino ci riguarda ricordiamo che in Italia è stato varato il decreto soprannominato anti-Ryanair che vede l’applicazione della normativa italiana per  i lavoratori residenti in Italia che prestano servizio per l’aerolinea irlandese.  Apparentemente tutto sembra indicare che le politiche fin qui adottate in diversi Paesi europei nei confronti di Ryanair subiranno drastici cambiamenti che significheranno maggiori costi per l’aerolinea irlandese.

Sul fronte invece dei cosiddetti sussidi a parte le notizie che ogni tanto appaiono sulla nostra stampa di aeroporti che cercano di fare collette pur di avere i servizi di Ryanair,  del clamoroso annuncio di cui si  è parlato la scorsa estate ancora nulla trapela. In quella occasione una notizia proveniente dal giornale belga L’Echo ripresa anche  dall’agenzia Reuters avvertiva che l’associazione delle compagnie europee (AEA) aveva presentato  alle autorità comunitarie un documento che denunciava i sussidi avvertendo che senza di essi nell’anno fiscale 2011/2012 il vettore irlandese avrebbe chiuso in perdita di 305 milioni di euro anziché dichiarare un utile di 503 milioni.

E qui entriamo nello scottante argomento del circolo chiuso, del classico serpente che si morde la coda circa i rapporti che legano Ryanair alle autorità locali. “Salta la base Ryanair, RYANAIR - AEREO-500l’investimento è troppo costoso” quante volte avete letto sulla nostra stampa titoli di siffatto tenore?  Ebbene da questi titoli traspare in tutta evidenza un particolare a dir poco inquietante e cioè che il vettore più che essere interessato ad offrire voli a comunità che ne hanno bisogno e che li reclamano, impianta collegamenti laddove ci sono da incassare fondi dalle autorità locali. Non so se ci si rende abbastanza conto del significato di una tale politica.

Una linea aerea dovrebbe comprare velivoli perché aumenta la domanda, perché da indagini di mercato risulta che su una certa direttrice vi è un potenziale traffico da sfruttare, ma tutto ciò dovrebbe essere slegato dall’argomento sussidi in quanto l’aerolinea dovrebbe generare il suo revenue dalla vendita della biglietteria. Però a valutare titoli come quello ricordato viene il legittimo dubbio che gli aerei vengano comprati in prima battuta per incassare soldi dalle amministrazioni che controllano gli scali e in seconda battuta per offrire nuovi collegamenti aerei.  Gli aeroporti, lo sanno tutti, vengono  erroneamente definiti privatizzati ma in realtà sono controllati da società pubbliche; con lo stringersi della cinghia cui ormai tutti sono sottoposti, enti pubblici in prima battuta, quanto potrà durare questa politica di sborsare fondi per  mantenere aperti aeroporti che altrimenti chiuderebbero? E quanto saggio è, continuare a comprare nuovi velivoli basandosi su un tale concetto?

Antonio Bordoni