L’occupazione femminile non rappresenta il dato più incoraggiante del nostro Paese, mentre on assoluta controtendenza il Turismo, l’unico settore dove le donne trovano maggiore spazio, che sembra tra i più promettenti anche per il futuro e che può pertanto rappresentare un punto di partenza per un esame attento sulla discriminazione di genere nel mondo del lavoro.
In tale ottica si inquadra il primo Osservatorio Permanente per le Pari Opportunità presentato questa mattina a Roma da Ebnt, l’Ente Bilaterale Nazionale del Turismo.
L’occupazione femminile in calo in tutta Italia, seppure con significative differenza tra nord e sud, inferiore a quella maschile e con redditi e “posizioni” generalmente più bassi. Eppure sul lavoro delle donne si può puntare come acceleratore dell’anelata ripresa economica, soprattutto se tutelato e promosso con interventi concreti in abbinamento a quelli in vigore dal 28 giugno atti a rilanciare l’occupazione giovanile con finanziamenti, sgravi fiscali ed incentivi, anche in vista di Expo 2015.
“Questa iniziativa – afferma il presidente Ebnt Alfredo Zini – dev’essere considerato un cantiere aperto in cui coinvolgere anche altre categorie. Il ruolo del Turismo va riposizionato nel piano programmatico per il rilancio dell’economia, affidando alle donne cariche ed incarichi più qualificati per evitare quello schiacciamento delle carriere che emerge dalla ricerca.”
Secondo l’Osservatorio, la componente lavorativa femminile nel Turismo è del 60%, anche se con importanti differenze – circa il 20% – tra nord e sud. Positivo anche il fronte della contrattualizzazione, soprattutto nelle grandi imprese, dove le donne risultano assunte a tempo indeterminato per l’88,8% contro il 78,5% degli uomini, anche se per le prime si ricorre molto più spesso a contratti a tempo parziale e alla collaborazione coordinata e continuativa.
I valori tuttavia cambiano salendo di livello: a ricoprire ruoli quadro e dirigenziali sono infatti soltanto il 36,7% e il 33,8% delle donne, con picchi al ribasso nel Mezzogiorno e nella grandi imprese in genere. Tale dato non dovrebbe tuttavia stupire se messo a confronto con quello relativo alle richieste, da parte delle aziende, di personale in possesso di titoli di studi superiori: oltre il 40% per gli uomini, meno del 25% per le donne, a dispetto, peraltro, dell’importante contributo qualitativo, oltre che quantitativo, che queste apportano al settore. Alle donne, quindi, si offrono ancora oggi posti di lavoro di livello inferiore.
“Bisogna riorganizzare la società e capire come impostarla – spiega la vice presidente Ebnt Lucia Anile – Si deve puntare su un discorso di contrattazione integrativa che rimuova le disuguaglianze e le discriminazioni di genere. Una maggiore partecipazione delle donne al mondo del lavoro comporta una maggiore crescita economica ed un miglioramento dei rendimenti aziendali. La ricerca basata su dati dell’Isfol, l’Istituto per lo Sviluppo della Formazione Professionale dei Lavoratori, e dell’Osservatorio Permanente del Mercato del Lavoro presso Enbt, analizzata ed illustrata dal professor Andrea Ceccarelli dell’Università degli Studi di Teramo, è stata promossa con l’obiettivo di sollecitare interventi concreti per una migliore e più giusta collocazione della donna nel mondo del lavoro.