di Antonio Bordoni

 

 La contestata formula  della “flag of convenience” che per secoli ha caratterizzato i commerci marittimi, sembrerebbe aver avuto il suo debutto nell’aviazione civile.

Nel corso degli anni su questo escamotage non pochi i commenti critici cui esso è stato oggetto :

“Nel 1955, le imbarcazioni con bandiera statunitense trasportavano il 25 percento del tonnellaggio mondiale servendosi di 1072 navi.  Oggi le compagnie di navigazione USA contano per il solo 2 per cento del tonnellaggio mondiale con 167 navi. La caduta è la diretta conseguenza  del forum shopping, un processo che vede gli armatori  registrare e dare la bandiera alle loro navi di quel paese che offre dal punto di vista imprenditoriale le leggi fiscali e salariali più favorevoli”  (1)

 

Ma meglio dei numeri riferiti ad una nazione pensiamo che la definizione che viene fornita su wikipedia sia decisamente più istruttiva:

“Con il termine bandiera di comodo (o anche bandiera ombra o bandiera di convenienza) si indica l’insegna di una nazione che viene issata da una nave di proprietà di cittadini o società di un’altra nazione. In questo modo, il proprietario della nave può spesso evitare il pagamento di tasse e ottenere una registrazione più facile; la nazione che fornisce la bandiera riceve soldi in cambio di questo servizio. La Federazione Internazionale dei Lavoratori del Trasporto (ITF) mantiene una lista di nazioni che usano le proprie bandiere a questo scopo.

La pratica è malvista quando (come avviene di solito) l’impiego della bandiera di comodo avviene per ottenere una registrazione più facile della nave; le altre nazioni, con requisiti più vincolanti, non gradiscono la perdita di guadagni, e la sicurezza e le condizioni di lavoro dell’equipaggio possono soffrirne.

Le navi in navigazione sventolano una bandiera nazionale detta “insegna”. In base a convenzioni del diritto internazionale, la bandiera sventolata da una nave determina la fonte di diritto che deve esserle applicata, indipendentemente da quale corte ha giurisdizione personale sulle parti. Una “nave con bandiera di comodo” è una nave che sventola una bandiera di una nazione diversa da quella del proprietario.”  (2)

 

Nella storia ormai centenaria del trasporto aereo commerciale non vi sono stati casi di compagnie aeree che si sono servite di tale procedura per fornire una bandiera “di comodo” ai propri velivoli, anzi possiamo affermare che almeno fino a pochi anni fa, ogni nazione era fiera di avere la sua compagnia di bandiera e gli addetti al settore sanno bene quanta resistenza ancora vige nel permettere l’acquisto di una propria compagnia di bandiera da parte di un altro Stato.  A causa di ciò il mondo finanziario continua a lamentarsi e a sorprendersi di quanto avviene nell’industria aerea commerciale e il ritornello è più o meno sempre lo stesso: mentre in tutti i settori commerciali e finanziari una azienda straniera può acquisire il controllo di una società di un altro paese, l’industria delle aerolinee è ancora governata da regole sulla proprietà e controllo che vietano a investitori stranieri di assumere il controllo di aerolinee “nazionali”.  Per la moderna finanza un fatto del genere rimane una incomprensibile anomalia e i guru della globalizzazione non si accontentano affatto dei merger che avvengono in casa fra vettori della stessa nazionalità; vogliono di più in particolare sul fronte delle acquisizioni cross-borders.  Personalmente non crediamo che dubbi e resistenze sull’argomento siano davvero  difficili da comprendere:   chi può immaginare una compagnia a stelle e strisce controllata da capitale interamente straniero?  O chi, ad esempio, potrebbe immaginare una British Airways interamente controllata da capitale russo? E che senso avrebbe se una aerolinea come la Emirates fosse interamente posseduta da capitale di uno Stato europeo?  Se si dovesse giungere a questo, tanto varrebbe azzerare  il concetto di bandiera e di nazionalità.

 

Ma nel febbraio 2014  è accaduto qualcosa che ha fatto gridare allo scandalo.  Infatti è stato allora che l’Irlanda ha concesso il Certificato di Operatore irlandese alla compagnia NAI, Norwegian Air International, con sede ad Oslo.  Da quel momento la compagnia ha potuto operare, fra mille polemiche, voli a lungo raggio. Ricordiamo che essendo la Norvegia fuori della UE non avrebbe potuto beneficiare della “libera circolazione” garantita ai vettori comunitari.

Fin qui non vi era ragione di meravigliarsi, ma furono altri i particolari che fecero scendere sul sentiero di guerra i sindacati e non solo essi per la verità.  L’ ALPA, Air Line Pilots Association International, con un suo comunicato fece presente che “by flagging in Ireland, for instance, NAI expects to be able to use flight crews employed under contracts governed by the laws of various Asian countries, including Singapore and Thailand. This scheme runs counter to not only the letter and spirit of the U.S.-EU Air Transport Agreement, but to the public interest as established in the U.S. aviation statutes.”  (3)

Aspetti fiscali, contrattualistica e condizioni di lavoro sono quindi i temi sensibili che inducono gli imprenditori a far uso di tale espediente. 

La NAI “Norwegian Air International” è una compagnia di proprietà norvegese la quale tuttavia ha la Certificazione di Operatore IRLANDESE pur non volando da scali di quest’ultima nazione;  assume equipaggi basati a Bangkok, quindi TAILANDESI i quali vengono reclutati tramite una agenzia di impiego di SINGAPORE, ad essi pertanto si applicano le labour laws vigenti in quel Paese, ricordando comunque che solo per il fatto di essere una compagnia irlandese la NAI può beneficiare delle aliquote fiscali e contributive notoriamente più basse di quelle vigenti in altri paesi.  E’ grazie a questi intrecci che la compagnia può offrire tariffe, almeno sulla carta, più competitive rispetto a quelle che dovrebbe applicare se tutto il suo personale fosse invece assunto in NORVEGIA. (4)

Una sorpresa viene comunque analizzando il bilancio (5) , infatti qui si può trovare il dettaglio della nazionalità dei 5.796 impiegati della compagnia:

 

Norvegia            1.835

Spagna              1.209

U.K.                  945

Svezia                520

Singapore/Bangkok     246

USA                   391

Danimarca             324

Finlandia             204

Irlanda                77

Italia                 45

 

Come si può osservare  soltanto 246 dipendenti risultano di nazionalità “Singapore/Bangkok” mentre tutti gli altri, compresi 45 italiani,  sono di nazionalità non sospette. Di fronte a tali cifre crediamo che l’accusa di operare sotto la flag of convenience dovrebbe venir ridimensionata.

 

Ovviamente se la bandiera di comodo dovesse prendere piede, tutti quei vettori che nel corso degli anni hanno denunciato la mancanza del “campo livellato” avranno validi motivi per lamentarsi dell’iniziativa in quanto  le tariffe che una compagnia così congegnata riesce a vendere saranno per forza di cose più basse di quelle offerte dai concorrenti.  (6)

Inoltre, altro particolare da tener presente,  è che il passeggero sarà convinto di volare con una compagnia norvegese (ricordiamo per inciso che Norvegia, Danimarca e Svezia danno vita alla SAS) mentre in realtà volerà con una compagnia il cui equipaggio è un ibrido di nazionalità.

Il DOT statunitense fra mille pressioni ha alla fine approvato il contestato collegamento con gli USA, non estraneo il particolare che la compagnia ha una flotta tutta Boeing di 175 velivoli e ordini per altri cento velivoli, sempre Boeing.  Inoltre in concomitanza con l’ottenuta autorizzazione la compagnia  ha annunciato che avrebbe aperto scuole di pilotaggio negli USA fatto questo che avrebbe permesso l’assunzione di piloti statunitensi.

Sono in molti che sperano in un ripensamento degli Stati Uniti ma per il momento i servizi della NAI sul nord Atlantico fanno si che  la compagnia venga ritenuta il primo vettore low cost sul lungo raggio. E’ accettabile una tale tesi?  In un nostro precedente articolo (7) abbiamo evidenziato come nelle compagnie low cost il 90 per cento del personale sia quello di volo. Poichè la voce “costi del personale” insieme al carburante è la tipologia di spesa che più incide  sul bilancio, una compagnia che operi sul long haul che riesce  a contenere  tale voce potrebbe effettivamente immettere sul mercato tariffe altamente competitive.

Nell’anno finanziario 2016 la NAI ha avuto spese per il personale (“payroll”) pari a 415.500.000 euro contro un totale spese di 2.535.000.000 euro pari ad una incidenza del 16,40%; nel bilancio Ryanair il costo dello staff assorbe il 12,40%.  Alla SAS tale voce incide per il 22%

Rimane però da appurare se l’innovativo modello business di cui si avvale la compagnia incontrerà i favori del pubblico, per il momento la compagnia è arrivata a toccare 29.3 milioni di passeggeri, lo stesso numero di passeggeri portati dalla SAS.

Se ora noi andiamo indietro di una ventina di anni ricordiamo che nel 1995 l’Alitalia di Roberto Schisano per abbattere i costi dei voli intercontinentali aveva preso “in affitto” gli equipaggi australiani della compagnia Ansett ma il tentativo fallì per l’opposizione del sindacato piloti. (8)  Forse i tempi non erano maturi ma, visto il mix fatto oggi dalla NAI, va dato atto a Schisano di aver visto lungo e in un certo senso di aver precorso i tempi.

 

 

Note:

(1) http://www.alpa.org/advocacy/flag-of-convenience

(2) Tratto da wikipedia

(3) come (1)

(4) Usiamo la frase “almeno sulla carta” in quanto è ormai noto che la tariffa di facciata non corrisponderà mai alla cifra finale che il passeggero sarà chiamato a pagare e ciò a causa delle cosiddette “ancillary revenue”

(5) Pagina 37 dell’Annual Report del 2016

(6) Dal sito ITF (International Transport Workers’ Federation) Aviation blog: “First, there are the peculiarities of the airline’s business model. U.S. airlines that fly to the EU use American-based flight crews, and EU airlines that fly to the U.S. use EU-based flight crews. NAI is a Norwegian-owned company that holds an air carrier certification from Ireland, but does not fly to or from Ireland. Nor does it use Norwegian or even Irish flight crews, but rather Bangkok-based crews are hired through a Singapore employment agency and who work under Singapore labor law. This “nation-shopping” model has enabled NAI to artificially lower operating costs by suppressing collective bargaining rights and substantially lowering the wages, benefits and conditions offered to these rented workers as compared to their Norwegian-based counterparts.”  (articolo datato 28 gennaio 2015)

(7) “Una multinazionale dei cieli: WizzAir”

(8) “Detto il Texano per i modi diretti, Schisano si scontrò con i piloti, la categoria più potente all’Alitalia (senza di loro non si vola), per farli volare di più e ridurre i costi, fuori mercato. Schisano noleggiò due Boeing 767-300 Er, nuovi di zecca arrivati da Seattle, ma registrati in Australia, completi di piloti e hostess, con un contratto di wet lease”  Da IlSole24Ore del 5 aprile 2008 “Alitalia, gli sprechi del cargo che ha 180 piloti per 5 aerei”

tratto da: www.aviation-industry-news.com