di Antonio Bordoni.

          

E’ rispuntata di nuovo  l’ipotesi Lufthansa presentata dai nostri media come se fosse una concreta realtà. E ancora una volta Carsten Spohr, ceo della compagnia è intervenuto per precisare quanto già detto in varie occasioni ovvero che Lufthansa non ha affatto intenzione di mettere soldi in questa Alitalia.  Ciò significa che la strada per la rivale americana Delta Air Lines che da tempo si è impegnata per 100 milioni di euro per il 10% della nuova Alitalia sembra decisamente spianata. La compagnia tedesca non vive giorni felici; proprio in questo periodo è alle prese con gli scioperi del sindacato indipendente Ufo e prevede un 2020 alquanto complesso sia per le fatture sul carburante che per la competizione con le low cost sul 60% delle rotte da Vienna che potrebbe costringerere la sua controllata Austrian a mandare a casa 700-800 dipendenti.  Eurowings — la divisione low cost — continua a volare in rosso e potrebbe rivedere i profitti solo nel 2021.  Infine per ridurre le spese, Lufthansa, ha annunciato che non comprerà più 14 Boeing 777X.

Ma a parte i problemi contingenti attraversati dal gigante tedesco, i suoi “no” sul caso Alitalia potrebbero celare ben altri motivi.  Effettivamente la sua strategia potrebbe essere quella di guadagnar tempo, una strategia  del tutto comprensibile e coerente.

Ipotizzando che la cordata italo-americana (Ferrovie dello Stato, Atlantia, Delta) dovesse andare in porto, non sono pochi coloro che già ipotizzano che nel giro di un paio d’anni per la newco con ogni probabilità la situazione tornerebbe a essere critica e, quando ciò avverrà, un ribussare alla porta di Lufthansa farebbe si che quest’ultima potrebbe imporre le sue condizioni trovando i tagli agli esuberi già fatti dagli altri e con pretese da parte del governo italiano decisamente ridimensionate.

Il piano è del tutto logico per una società che si è sempre distinta per non fare mai il passo più lungo della gamba.

Accantonata per il momento l’ipotesi Lufthansa, svanita la partecipazione di easyjet, non sentendosi più parlare  dell’avance fatta da Avianca e dell’iniziativa proposta da due comandanti Alitalia che invitavano i dipendenti a partecipare ad un management buyoutAlitalia si ritrova al punto di partenza ovvero ad una ipotesi di nazionalizzazione con la maggioranza del capitale detenuta dallo Stato.

In Paesi “normali” il fatto di per se di una compagnia di bandiera con maggioranza azionaria pubblica non costituisce motivo di scandalo.  In Finlandia la compagnia di bandiera Finnair  è controllata dal governo per il 55,8 per cento e  ha chiuso anche il 2018 in profitto con 169 milioni di euro di profitto  e con utili raggiunti anche  nel triennio precedente.

In Portogallo la TAP è controllata al 50 per cento dal governo portoghese, a Malta è il governo maltese che controlla la compagnia di bandiera Air Malta e fuori dell’Europa potremmo trovare ancora tanti altri Paesi i cui governi hanno la maggioranza azionaria nel loro vettore nazionale di riferimento.

Non si deve credere che il termine “Paesi normali” sia esageratamente provocatorio: a dimostrare il contrario basterebbe solo citare il fatto che non è mai avvenuto nella storia dell’aviazione commerciale che una compagnia dopo 29 mesi di commissariamento debba ancora conoscere quale sia il suo destino.

La verità è che Alitalia prima di venir venduta doveva essere risanata.  Se tu vuoi che qualcuno sia interessato a comprare devi proporre un prodotto “sano” altrimenti non sarai certo tu venditore che potrai imporre le tue condizioni, ma saranno piuttosto i compratori che le imporanno a te.

Le offerte di acquisto che non arrivano sono dovute alla non osservanza si questi principi.

Quando Lufthansa da mesi ripete che non è interessata a questa Alitalia lancia un messaggio chiaro:  è sbagliato ricercare un  acquirente in queste condizioni. Si peggiora ancor di più la situazione pretendendo pure di mettere paletti del tipo la forza lavoro non si tocca.

Nel maggio 2017 nell’istanza di ammissione all’amministrazione straordinaria indirizzata al  MISE, i vertici di Alitalia facevano presente come fra le cause della crisi attraversata  vi fosse anche la “Indipendenza della compagnia” la quale  a differenza di altri network carriers non ha posto in essere in passato aggregazioni con altri operatori, conservando al contrario l’indipendenza sul mercato.

Un anno dopo  nel luglio 2018 nella relazione che i commissari hanno presentato sulla loro gestione si può leggere quanto segue: Sul mercato vi sono anche alcuni vettori tradizionali nazionali (come TAP, SAS e Finnair) che, pur non avendo perseguito processi di aggregazione, hanno comunque consolidato il loro business grazie ad una attenta gestione aziendale e ad una strategia di alleanze e partnership che ha consentito loro di rafforzare i rispettivi network.

Queste considerazioni esternate da personaggi non estranei alla gestione di Alitalia fanno capire come si è ben a conoscenza del fatto che pur essendo rimasti indietro nel gioco delle aggregazioni, vettori “indipendenti” che non hanno voluto fare massa con altre aerolinee, sono riusciti ad ottenere risultati positivi.

Chi nel passato ha guidato Alitalia non è stato in grado di fornire questi illuminati indirizzi alla compagnia, indirizzi però che a posteriori vengono riconosciuti come validi.  Oggi a fronte dell’ennesimo fallimento del suo rilancio, non sappiamo far altro che attendere e prorogare i termini nell’attesa di chi o cosa non è dato sapere.  E’ così che da noi (non) si risolvono i problemi,  è per questo motivo che in Europa tutti gli altri vettori dichiarano profitti tranne noi. Non abbiamo saputo farla volare con profitto, non sappiamo nemmeno farla fallire in modo decente.

 

Tratto da www.aviation-industry-news.com