di Antonio Bordoni.

 

Ormai il caso Alitalia andrebbe studiato non dal punto di vista dei bilanci, del numero passeggeri trasportati, degli aerei che compongono la flotta e di altri fondamentali dell’industria aerea. Il caso  è divenuto un fenomeno globale,  un caso antropologico e filosofico e come tale va analizzato e studiato, per dirla con un termine in voga è divenuto un “case study”.

Non stiamo esagerando, non sono pochi gli amici e conoscenti sparsi in altre nazioni che  ci chiedono con somma meraviglia e stupore:  ma è vero che l’Alitalia  è ancora in amministrazione controllata?  Oppure,   ma da voi il Chapter 11 non prevede tempi determinati per la soluzione del caso? O ancora,  come fa una compagnia aerea a continuare a volare dopo così tanto tempo che è entrata nella procedura di protezione?

Ma a Bruxelles non dicono niente dei fondi che ogni tanto erogate a suo favore?

Ebbene si, dobbiamo esserne fieri, il caso Alitalia costituisce oggetto di meraviglia nel mondo, senz’altro prima o poi ci sarà qualche università che dedicherà al fenomeno uno studio mirato affinchè tutti ne possano trarre utili insegnamenti. Senza ombra di dubbio si può affermare che quanto sta accadendo alla nostra ex compagnia di bandiera costituisce a tutti gli effetti un record mondiale degno di venir inserito nel Guiness dei primati sotto la voce Quale compagnia aerea ha avuto il periodo di crisi più lungo nella storia dell’aviazione commerciale? E magari con l’aggiunta di …e ha continuato a volare tranquillamente divenendo anche la compagnia aerea più puntuale?

Il citato Chapter 11, per chi non lo sapesse, altro non è che una norma della legge fallimentare statunitense di cui hanno usufruito non poche compagnie aeree statunitensi, utilizzata per ristrutturare  società con gravi dissesti finanziari.  Il Chapter 11 è una procedura di riorganizzazione e non di liquidazione, il cui scopo è  quello di risanare l’impresa.  La United Airlines e la Delta Airlines tuttora operative sono due recenti esempi di vettori che hanno positivamente sperimentato l’efficacia di tale normativa.

Ma forse tenuto conto delle notizie non certo allegre che in questi giorni apprendiamo su Air Italy,  la seconda compagnia aerea italiana dopo che qualcuno ha fatto sparire AirOne nello stomaco senza fine di Alitalia, sarebbe il caso di allargare la visione e formulare una domanda ancor più mirata: come ha fatto  l’Italia a ridursi ad essere –unico caso nel firmamento europeo- la sola nazione che non dispone di un vettore aereo in salute?  E ciò malgrado stiamo parlando di un Paese dal quale tutti gli altri vettori che vi operano traggono traffico e utili? Ecco, questa domanda potrebbe costituire un altro interessante “case study”.

Quando compagnie aeree, siano esse pubbliche o private, vanno tutte a finire male crediamo sia il caso di porsi qualche domanda e ciò diventa un obbligo se, guardandosi attorno, si vede che negli altri paesi la situazione è completamente differente: passeggeri che aumentano e bilanci in nero.

Ma attenzione a non farsi trarre in inganno, i ricercatori che vorranno dedicarsi allo studio del fenomeno Alitalia non dovranno iniziare la loro ricerca da maggio 2017 allorchè l’assemblea dei soci Alitalia, approvò l’istanza di ammissione all’amministrazione straordinaria e il Ministero dello sviluppo economico contestualmente nominò Luigi Gubitosi, Enrico Laghi e Stefano Paleari amministratori straordinari. Ciò non sarebbe corretto, in quanto ben prima di quella data Alitalia era già  in crisi, In tal senso è inevitabile che lo stupore per la sopravvivenza di Alitalia è destinato a crescere.

Vito Riggio, presidente dell’Enac, nell’anno 2007 dichiarò che “Alitalia è clinicamente morta”: non c’è che dire, il caro estinto non finirà mai di stupirci se passati 13 anni da quella affermazione è ancora operativo. Ecco perché non crediamo sia esagerato affermare che il caso dovrebbe essere materia di ricerche universitarie. Continuare ad operare per decenni pur perdendo soldi  è un qualcosa che ben merita uno studio approfondito; il paziente andrebbe portato addirittura in patologia per farne la vivisezione.

Quando il presidente dell’Enac fece quella dichiarazione era il periodo della privatizzazione di Alitalia, altra grande impresa da ricordare.  Per decenni i responsabili che si sono susseguiti ai vertici della ex compagnia di bandiera avevano sempre dichiarato che prima di effettuare qualsiasi operazione di vendita, Alitalia avrebbe dovuto essere risanata. Il motivo era ovvio e scontato. Ebbene, quando in chiusura del 2006 il governo annunciò l’avvio della privatizzazione, Alitalia attraversava uno dei suoi peggiori momenti finanziari. Addirittura poche settimane prima dell’annuncio della privatizzazione il premier Romano Prodi aveva dichiarato (altra affermazione storica) “L’Alitalia vive il momento più difficile della sua storia. La situazione è completamente fuori controllo e non vedo paracadute”  era l’11 ottobre 2006, e il primo dicembre il governo condotto dallo stesso Prodi decideva di mettere in vendita Alitalia. Quindi non solo il momento sbagliato in quanto l’Alitalia  era in condizioni economiche disastrate, ma anche esternazioni di dichiarazioni delle quali si sarebbe potuto fare a meno, soprattutto se si sapeva che la si voleva privatizzare e si era alla ricerca di nuovi soci.

Cosa significhi “privatizzazione” crediamo sia ben noto: fuori la politica dalla conduzione del vettore. L’interferenza del mondo politico, una delle grandi piaghe che ha accompagnato l’agonia di Alitalia, avrebbe dovuto cessare, era questa la grande opportunità che si sarebbe potuta offrire all’eventuale acquirente. Ora si comparino questi propositi di principio con quanto si poteva leggere sulla stampa nei mesi che accompagnarono la presentazione delle offerte: “il significato dell’eventuale intervento di Mps, roccaforte della finanza rossa, andrebbe oltre l’aspetto tecnico. Potrebbe essere letto come un avallo politico dai Ds alla cordata di Toto. L’imprenditore di Chieti è accreditato da mesi dell’appoggio di Massimo D’Alema, ministro degli esteri” (Il Sole 24 Ore 10 maggio 2007). O ancora : “l’elenco degli ammessi si chiude con l’Unicredit di Alessandro Profumo, banchiere vicino all’esecutivo (Ds e Romano Prodi) il quale è quindi in competizione con il suo concorrente Corrado Passera, a.d. di Intesa, vicino insieme al presidente Giovanni Bartoli soprattutto al premier Romano Prodi. Passera finanzia il piano Toto, ben visto anche dai Ds. Gode di ottime relazioni nel centro-sinistra anche Carlo De Benedetti, vicino soprattutto al sindaco diessino di Roma Walter Veltroni e al vicepresidente Francesco Rutelli” (Il Sole-24 Ore 14 febbraio 2007).

Era così che si avviava la privatizzazione di Alitalia. Ricercatori che vi avviate allo studio del fenomeno in questione, ricordatevi questi passaggi, ecco come si deve avviare una privatizzazione, è così che si debbono ricercare i candidati: uno vicino ad un certo schieramento politico, un altro che faccia da contro-altare per l’altro schieramento…

Sinceramente con queste premesse c’è qualcuno che ancora si meraviglia se, venendo al giorno d’oggi, Lufthansa avverte di essere interessata a ciò che rimane del nostro vettore purchè il “pubblico” (traduzione: il mondo politico) sia fuori dall’azionariato della nuova compagnia?

 

Tratto da www.aviation-industry-news.com