E con la nuovissima app MuseOn da scaricare in sede, che funziona senza wi-fi, si visita la collezione permanente e si rimane aggiornati sulle attività museali

 

Per il Museo d’Arte Cinese ed Etnografico di Parma la quarantena è finita: è pronto. Pronto a spalancare di nuovo le sue porte, con le precauzioni e gli adeguamenti necessari, da martedì 19 maggio, dopo un periodo di due mesi di letargo forzato, dove è rimasto un po’ sospeso come tutti noi.

Voluto nel 1901 dal fondatore dei missionari saveriani e grande visionario San Guido Maria Conforti – allora vescovo di Parma -, proclamato santo nel 2011, rappresenta un contenitore artistico e documentario di eccezionale importanza per la città e non solo, frutto di un lungo percorso storico.

Per alcuni decenni i Saveriani operarono esclusivamente sul territorio cinese e fu proprio ai missionari presenti in Cina che il Conforti si rivolse, chiedendo loro di inviare periodicamente a Parma oggetti significativi di arte e vita locali.

Dagli anni Sessanta il museo si arricchì di materiale di natura etnografica proveniente da altri paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, divenendo testimonianza della vita e cultura di tre continenti. Accanto alla collezione fatta di terrecotte, porcellane, paramenti, statue, dipinti, fotografie, oggettistica varia e monete rare provenienti dall’Estremo Oriente, sono infatti esposti ad esempio oggetti del popolo Kayapò, un piccolo gruppo indio dell’Amazzonia che rappresenta le tante minoranze depositarie di un immenso bagaglio di valori. Ristrutturato nel 2012, le sue modernissime sale ospitano ora la mostra temporanea “Mode nel mondo: i vestiti raccontano la vita dei popoli” (fino al 31 dicembre 2020): un vero e proprio atlante dell’abbigliamento che si dispiega lungo il percorso museale.

I visitatori potranno così tornare ad apprezzare questa esposizione che dall’apertura a fine gennaio aveva fatto registrare tante visite. Dalla Cina abiti liturgici della tradizione taoista: Qipao (l’abito tradizionale femminile) e Fengguo, nati per difendersi dal vento delle steppe, accompagnati da ricchi abiti di corte. Saranno presenti anche le calzature femminili tipiche del grande impero, le scarpette con tacco a zoccolo, oltre all’ornamento nuziale: collare in tubolare a sezione rettangolare la cui faccia superiore rappresenta due draghi (simbolo di fertilità maschile).

Dall’Indonesia, scialli della cultura Batak dell’isola di Sumatra e abiti maschili tradizionali. E ancora, dal Giappone, giacche Haori rigorosamente di seta, con gli stemmi di famiglia “mon”, parasole di bambù e carta giapponese dipinta, Kimono femminili e Obi per donne sposate; dal Sudan, zucchetti, scarpe e babbucce tribali; dal Ghana, tessuti cerimoniali in seta della tribù Ashant; dal Burkina Faso un abito tradizionale composto di tunica e pantaloni; dal Bangladesh il Burqa delle donne musulmane bengalesi e parure di gioielli; dal Camerun le collane Kweyma KJella e le cavigliere di alluminio decorate a testa di uccello. Vasto il repertorio proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo.

Vasto e inquietante. La mostra ospiterà gli elementi di abbigliamento tradizionale che costituiscono il corredo classico, l’emblema di appartenenza, della misteriosa società “segreta” iniziatica “Bwami”. Ci saranno i copricapo maschili nkumbu e sawamazembe, i muzombolo femminili, decorati con piume e bottoni, fasce decorate con le conchiglie-moneta conosciute come Cauri, gonnellini in fibra vegetale, bandoliere mukoma, fasce pettorali e diademi. Sorprendente l’angolo dedicato alle popolazioni amazzoniche: non mancherà nulla del corredo  decorativo del popolo Kayapò.

Grazie all’abbigliamento e agli ornamenti è facile intuire, in qualsiasi popolo, l’appartenenza a una tribù, uno stato sociale, un’etnia. L’abbigliamento è una vera e propria forma di comunicazione codificata e facilmente interpretabile a livello sociale. E al Museo d’Arte Cinese di Parma sarà possibile leggere tante storie impreziosite dai busti sartoriali in lino e manichini bimbo realizzati da Bonaveri, leader mondiale nella creazione di manichini d’eccellenza.

Tutti i pezzi in mostra appartengono alla collezione del Museo, ma molti di essi non sono mai stati esposti.

Durante la visita dovrà essere indossata la mascherina (a chi fosse sprovvisto verrà fornita dal Museo) e dovrà essere mantenuta una distanza minima di due metri tra un visitatore e l’altro. Ogni locale sarà poi dotato di dispenser per la sanificazione delle mani. In questa prima fase per le visite guidate si accetteranno gruppi di massimo cinque persone e non si terranno i laboratori per bambini.

Il Museo in questa fase si arricchisce di un nuovo strumento per la trasmissione del sapere. Ai visitatori verrà infatti offerta la possibilità di intraprendere un viaggio tra le collezioni, mediante l’impiego dell’app MuseOn. Facilmente scaricabile sul proprio dispositivo (smartphone o tablet) una volta arrivati al museo, funziona comodamente senza l’utilizzo del wi-fi, e permetterà di vivere una visita guidata personalizzata, tra schede didattiche, audio e video, per favorire l’incontro tra il visitatore e le molteplici culture del mondo che il Museo ospita, permettendo inoltre di rimanere aggiornati sulle iniziative future.

Gli orari d’apertura saranno i soliti, da martedì a sabato: 9-13 e 15-19. La domenica 11-13 e 15-19.

Per informazioni più dettagliati e per rimanere aggiornati si può contattare il numero 0521 257337 o visitare il sito www.museocineseparma.org

 

Per informazioni:

Museo d’Arte Cinese ed Etnografico, viale San Martino, 8 – 43123 Parma

Tel: 0521 257337

Sito web: www.museocineseparma.org

E-mail: [email protected]

Orari: da martedì a sabato dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 19. La domenica dalle 11 alle 13 e dalle 15 alle 19.