Testo di Stefano Modena, foto Kiribati National Tourism Office -Dicembre 2023

 

L’isola di Kiritimati è la prima a festeggiare il Capodanno quando in Italia sono solo le 11.00 e ancora si sta preparando il cenone. Posta sull’equatore è una delle 33 isole che compongono uno degli stati insulari del pacifico, Kiribati. Così, almeno una volta l’anno questo lontano paese diventa famoso e compare nei servizi delle tv di tutto il mondo.

Kiribati si estende per una lunghezza equivalente a quella degli Stati Uniti, ma ha una superficie di terre emerse pari alla provincia di Lecco, una delle più piccole dell’Italia. È composto da tre arcipelaghi – le isole Gilbert, le isole della Fenice, le isole della Linea o Sporadi equatoriali, – e un’isola, Banaba. Furono scoperte dagli occidentali tra il 1500 e il 1600, anche se erano già abitate da più di 2000 anni. Nel 1820 l’ammiraglio estone in servizio alla marina russa Adam Johann von Krusenstern, le diede il nome del capitano Thomas Gilbert, che le avvistò nel 1788 nel suo viaggio verso l’Australia. I cittadini di Kiribati sono 120.000, di cui circa la metà vivono nella capitale, Tarawa Sud.

Acque cristalline con sabbia bianca e palme sulle spiagge fanno di Kiribati uno dei luoghi più belli e selvaggi che si possano immaginare, anche perché la sua distanza da qualunque altro posto al mondo – 2.000 km a Sud delle Hawaii e 1.500 km. a nord delle Fiji – lo protegge dal turismo di massa. Per quanto il governo stia cerando di incentivare il turismo, resta un posto lontano e difficile da raggiungere, con alcune isole totalmente disabitate.

Dopo essere stato un protettorato e poi una colonia inglese, Kiribati è diventato uno stato indipendente nel 1979, dandosi una costituzione repubblicana. Dal 1999 è riconosciuto a pieno titolo come membro dell’ONU. Il parlamento “Maneaba ni Maungatabu”, letteralmente “Casa comune della montagna sacra”, è ospitato in una peculiare costruzione della capitale, Tarawa Sud. Ogni quattro anni si svolgono le elezioni per eleggere i 45 deputati del parlamento che poi scelgono una rosa di candidati tra cui viene eletto, a suffragio universale, il presidente.

Manaeba, il “posto degli uomini”, è una struttura tipica di queste isole, costituito da un grande tetto di foglie appoggiato su una struttura di legno. Per tempo immemorabile è stato il luogo in cui la comunità si radunava, da cui anche il nome del parlamento. È considerato un luogo sacro, e tuttora è un ritrovo per ogni tipo di attività comune, danze e riunioni.

La danza è una delle espressioni fondamentali di tutte le popolazioni e anche a Kiribati non poteva mancare. Pur avendo molto in comune con altri balli del pacifico, soprattutto per quanto riguarda il movimento delle anche, ha una sua tipicità nei gesti. I ballerini tendono le braccia e muovono la testa come la fregata, un tipo di gabbiano tipico di queste isole rappresentato anche nella bandiera. Una caratteristica resa ancora più evidente dal fatto che alcuni balli si svolgono da seduti, come se l’uccello fosse adagiato sull’acqua. Per quanto a prima vista possano sembrare molto simili, ci sono otto stili principali di danza che differiscono per i costumi indossati dai ballerini, il numero di partecipanti al ballo, la musica, le posizioni e i movimenti. La danza è da sempre anche un’espressione rituale, un tributo ad alcuni spiriti, non solo uno spettacolo. Essendo una cosa seria in certe occasioni il sorriso durante la danza viene considerato volgare, e quindi da evitare.

Il pesce è una delle risorse economiche più importanti nell’economia di Kiribati, sia per le licenze che vengono date alle flotte pescherecce di vari paesi, inclusi quelli europei, sia per lo sfruttamento turistico. I prezzi per una gita variano dai 300 ai 600 euro, e consentono di avere a disposizione una barca per un’esperienza unica, da cui si può tornare con pesci di dimensioni enormi.

Se non siete amanti di questo sport potete comunque approfittare per fare immersioni, snorkeling, bird watching o semplicemente nuotare in queste acque meravigliose.

Lo sport è un evento festoso intorno al quale la popolazione si ritrova. Anche se non hanno mai vinto nessuna medaglia, gli atleti di questo piccolo paese prendono parte alle Olimpiadi dal 2004. Agli ultimi giochi, quelli di Tokio, hanno gareggiato tre atleti – due uomini una donna – in tre discipline: atletica leggera, judo, e sollevamento pesi. Ma a Kiribati si praticano anche altri sport, profondamente legati alla storia di questo popolo. La canoa, te uaia mwakei, è un elemento fondamentale della cultura del pacifico. Le popolazioni che risiedono in queste isole le hanno raggiunte con mezzi molto simili a quelli attuali migliaia di anni fa.

Lunghe e strette, le canoe di Kiribati sono dei capolavori di ingegneria che permettono di sfrecciare sul mare utilizzando la forza del vento. Ogni anno nel Giorno dell’Indipendenza i migliori velisti si sfidano in una grande regata nelle acque di Tarawa Sud. Lontanamente imparentato con le arti marziali la lotta, te boo rabwata, è uno sport dove oltre alla forza fisica è fondamentale quella mentale.

Vince chi riesce ad atterrare l’avversario o almeno a farlo toccare per terra con il ginocchio o la mano, ma non è consentito dare calci, pugni o colpire gli occhi. Contrariamente a quanto accade in sport analoghi non ci sono categorie di peso, per cui è normale che si affrontino anche atleti di stazza molto diversa.

L’oreano è un altro degli sport tipici di Kiribati. In questo gioco due squadre si affrontano tirandosi una palla dal peso variabile tra i 2 e i 5 kg. Un team lancia la palla e l’altro deve prenderla al volo, evitando che cada per terra. Questo sport, fatto di forza, potenza, abilità e “parolacce”, è tra quelli praticati durante il “Te Runga”, il principale evento sportivo nazionale che si tiene ogni 2 anni.

La guerra non ha risparmiato neanche queste isole paradisiache. Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale furono occupate dai giapponesi e poi riconquistate dagli americani. Della sanguinosa battaglia che si svolse tra il 20 e il 23 novembre 1943 restano ancora i ruderi dei cannoni che i soldati dell’Impero del Sol Levante avevano schierato a difesa dell’isola. Gli americani utilizzarono questo sbarco come prova generale di altri scontri che avrebbero dovuto sostenere, e i giapponesi fecero vedere quanto la cosa sarebbe stata difficile, resistendo fino all’ultimo uomo. La battaglia si concluse con la vittoria americana, costata quasi 1.300 morti e più di 2.300 feriti, e l’annientamento del contingente giapponese, che registrò 4.690 caduti. Solo 17 uomini, per lo più feriti, sopravvissero e si consegnarono agli americani.

L’ecosistema di Kiribati è tra i più fragili e minacciati dai cambiamenti climatici del mondo. La sua altezza, di soli 2 metri sul livello del mare, lo rende uno dei primi paesi al mondo che potrebbero scomparire nell’arco di pochi decenni, tra il 2050 e il 2100. Per prepararsi a questo disastro annunciato il governo di Kiribati ha già cominciato a lavorare ad un piano d’evacuazione che prevede lo spostamento in massa della popolazione nelle isole Fiji, a Viti Levu, dove ha comprato un terreno di 25 chilometri quadrati.

Per cercare di resistere sulla propria terra quanto più a lungo possibile il governo ha messo in moto una serie di attività finanziate dal Kiribati Adaptation Program, un fondo supportato dalla World Bank, dalle Nazioni Unite, dal Giappone e dall’Australia. Per evitare che il mare si porti via la poca terrà che c’è, la popolazione è impegnata in una poderosa opera di piantumazione delle mangrovie. La caratteristica principale di queste piante è di vivere sommerse dall’acqua di mare, con delle radici accessorie che elevano il tronco al di sopra dell’acqua. Questa pianta oltre a ostacolare l’erosione del terreno da parte delle onde, favorisce la creazione di un particolare ambiente che da rifugio a molte specie.

Lontano da tutto e da tutti Kiribati è uno degli ultimi paradisi al mondo, un luogo che ognuno dovrebbe contribuire a proteggere ogni giorno, evitando consumi e sprechi che qui hanno un impatto diretto e immediato.