Di Stefano Modena
Terra di passaggio tra il Medio Oriente e l’Asia, in Azerbaijan l’uomo si è insediato già 40.000 anni fa. Della sua presenza ha lasciato molte tracce tra gli oltre 6.000 petroglifi della Riserva Statale Qobustan. Situata a una sessantina di chilometri a sud della capitale Baku, la Riserva copre un’area di oltre 500 ettari e testimonia i primi insediamenti umani nel periodo compreso tra l’alto paleolitico e il medio evo. I primi reperti sono stati scoperti nel 1966, e dopo anni di studi il parco è stato riconosciuto Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO nel 2007. Le magnifiche incisioni sono precedute da un museo che ripercorre la storia che illustra l’evoluzione di questa presenza, permettendo di contestualizzare le incisioni.
La caratteristica principale dell’Azerbaijan è il fuoco. Il sottosuolo è infatti ricchissimo di idrocarburi, che da sempre sono parte integrante della sua civiltà. Il gas, che spontaneamente esce dal sottosuolo, crea lo spettacolo della terra che brucia a Yanar Dag, una collina situata nella penisola Abseron 25 km a nord di Baku, da quando l’uomo ne ha memoria. Lo zoroastrismo, la religione monoteistica di origine persiana diffusa a partire dal VI secolo a.C., prevedeva che i fedeli pregassero alla presenza di un fuoco, simbolo dell’energia del creatore. Un simile luogo non poteva che essere considerato sacro, e quindi qui sorse un importante tempio zoroastriano, quello di Ateshgah, letteralmente “casa del fuoco”. La sua fondazione risale ad un periodo compreso tra il 224 e il 651 d.C. ma, purtroppo, lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi sottostanti fin dall’800 ha abbassato la pressione e fatto spegnere le fiamme che per secoli hanno bruciato il gas che spontaneamente fuoriusciva dal terreno, tanto che nel 1883 il tempio fu abbandonato. Quello che possiamo visitare oggi è una ricostruzione, che però ci illustra il suo sviluppo dall’inizio dei tempi. Nel 1998 il tempio è entrato nella lista dei siti del patrimonio mondiale dell’UNESCO.
Gli idrocarburi sono la grande ricchezza dell’Azerbaijan e rappresentano tra il 30%-50% del PIL e il 90% delle esportazioni. Il simbolo di questa ricchezza è celebrato nella capitale, Baku, da iconici grattacieli, le Flame Towers, tre edifici a forma di fiamma, che svettano dall’alto della città e nella notte si illuminano come lingue di fuoco. Progettati dallo studio di architettura statunitense Hellmuth, Obata and Kassabaum (“HOK”) sono stati costruiti tra il 2007 e il 2012. Le tre torri, la più alta delle quali raggiunge i 190 metri di altezza, ospitano uffici, abitazioni residenziali e un hotel.
La ricchezza generata dall’esportazione del gas e del petrolio è ben visibile nei grattacieli e negli avveniristici edifici che si affacciano sulla baia del Mar Caspio che bagna Baku.
Per far conoscere il paese in tutto il mondo, dal 2017 tra le strade di Baku si svolge il Gran Premio dell’Azerbaijan. Questo evento di portata mondiale è celebrato da un grande monumento posto all’interno del circuito cittadino, che alterna lunghi e larghi vialoni rettilinei con strette vie che scorrono a ridosso della Città Vecchia, chiamata anche Città Murata.
Per quanto questi luoghi siano da sempre abitati dall’uomo, la città di Baku è stata fondata solo nell’885 d.C., diventando la capitale del khanato dello Shirvanshah dopo la distruzione a causa di un terremoto nel XII secolo dell’antica capitale, Shamakhi. Il centro storico di Baku è un dedalo di viuzze, tra le quali si aprono edifici di particolare interesse. Il complesso degli Shirvanshah, la cui costruzione fu iniziata nel 1411, include il palazzo, la tomba, la moschea del minareto, il mausoleo, la cisterna e le terme. Era la residenza dei sovrani, e al suo interno sono conservate armi tappeti, abiti e altri oggetti di uso quotidiano che fanno immaginare come fosse ricca la vita dell’epoca.
La Torre della Vergine, insieme alle moderne Flame Towers, è uno degli edifici più noti di Baku. Il suo interno è un viaggio nel tempo che parte dalle origini della città fino ad arrivare ai nostri giorni. Si può così scoprire che una volta la riva del Mar Caspio era molto più vicina alla Città Vecchia, e qui era stato costruito un possente bastione difensivo. Sull’origine del nome non c’è un consenso unanime, ma due teorie fanno riferimento a una donna – figlia o sorella del Khan di Baku – che rinchiusa nella torre si suicidò gettandosi nel vuoto. Un’altra, invece, fa riferimento al fatto che non sia mai stata conquistata. In ogni caso dopo sette piani di scale si arriva su una terrazza da cui si gode uno splendido panorama su tutta la città. L’intera Città Murata, il palazzo degli Shirvanshah e la Torre della Vergine nel 2000 sono stati iscritti nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco.
Davanti alla Città Vecchia si apre il lungomare che affaccia sul Mar Caspio. A poca distanza si trova “Little Venice”, una curiosa miniatura di Venezia costruita nel 1960 e ampliata nel 2012. Su una superficie di 10.000 mq. sorgono due grandi isole e altre più piccole collegate da ponti. Un piccolo porto ospita alcune gondole (spinte da motori elettrici), a bordo delle quali è possibile navigare tra i canali. Ristoranti e bar alla moda completano questo strano angolo di Baku.
Decisamente più consono al luogo, e più interessante, è invece il Museo del Tappeto dell’Azerbaigian, inaugurato nel 2014. Il tappeto è uno degli elementi caratteristici della cultura azera, e dal 2010 è diventato Patrimonio culturale UNESCO. L’edificio ha la forma di un tappeto arrotolato e, oltre a tappeti di varie epoche storiche, ospita mostre, conferenze e un centro di ricerca e formazione.
Poco fuori dalle mura si trova la Moschea Bibi-Heybat, conosciuta anche come “Moschea di Fatima” dal nome che le diede Alexandre Dumas quando la visitò a metà dell’Ottocento. La moschea fu costruita alla fine del XIII secolo nel luogo dove sorgeva la tomba di Ukeyma Khanum, discendente di Maometto e figlia del settimo imam sciita. Demolita nel 1936 dai bolscevichi nel corso di una campagna antireligiosa, è stata ricostruita negli anni ’90 in base a fotografie scattate prima della sua distruzione. Ancorché l’Azerbaijan sia un paese laico, la moschea è considerata un importante riferimento spirituale per i musulmani.
Spostandosi verso la periferia si incontra il Centro Culturale Heydar Aliyev, intitolato al padre dell’attuale presidente della repubblica, a sua volta presidente dal 1993 al 2003. Heyder Aliyev è visto come il padre della patria, ritratto in grandi cartelloni sparsi per tutta la repubblica. La sua carriera era cominciata in epoca sovietica. Scalando molte posizioni era arrivato a ricoprire la carica di Presidente del KGB dell’Azerbaijan, di Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista Azero e poi membro del Comitato Centrale del PCUS. Era riuscito a mantenere il potere anche dopo il crollo dell’URSS, diventando presidente del nuovo stato e instaurando una repubblica presidenziale. Il Centro è stato disegnato dall’architetta britannico-irachena Zaha Hadid, che per questo progetto ha vinto il premio “Design of the year” nel 2014, è posto alla sommità di una collinetta, circondato da un vasto parco verde e grandi cascate, ed è diventato uno dei luoghi più iconici di Baku. In netto contrasto con le forme grige e rigide dell’architettura sovietica, il complesso è bianco e ha una forma fluida, praticamente sempre curva e in continuo cambiamento. Nei suoi 57.000 mq si alternano esposizioni, si svolgono eventi e conferenze.
Ma l’Azerbaijan non è solo Baku e, lasciata la capitale, la modernità lascia il posto a paesaggi molto diversi. A poca distanza dal confine con la Russia si trova Khinalug, un paese situato sulle montagne del Caucaso a 2.000 metri d’altezza. Gli abitanti, un paio di migliaia di persone, sono discendenti della popolazione dell’antica Albania caucasica, un’area a cavallo tra l’attuale repubblica russa del Daghestan e l’Azerbaijan, parlano una propria lingua e hanno costumi e tradizioni uniche. Nei dintorni, inclusi nel Parco Nazionale di Shahdag, si scorgono sconfinate distese di prati subalpini e alpini completamente disabitate in cui pascolano grandi greggi di pecore.
Percorrendo la M4 da Baku verso Shamakhi, a Maraza, si trova il mausoleo Diri Baba, secondo la leggenda locale un santo. All’interno di una gola, scavato nella roccia nel XV secolo, il mausoleo è un esempio della scuola di architettura di Shirvan. È costituito da due piani collegati da una piccola scala interna e ricoperto da una cupola. Si raggiunge con una comoda scalinata dalla quale, attraverso un piccolo sentiero, si accede ad una serie di grotte dove, muniti di casco, è possibile addentarsi.
Qualche decina di chilometri più avanti, sempre percorrendo l’M4, si arriva Shamakhi, antica capitale dell’Azerbaijan. Più volte distrutta da forti terremoti e sempre stata ricostruita per la sua importanza commerciale legata alla Via della Seta. All’inizio del 700 a Shamakhi si stabilì il comandante arabo Maslam ibn Abd-al Melik e qui fu costruita una delle prime moschee del Caucaso, la moschea Yuma. Costruita nel 743, sopravvissuta a molti terremoti e danneggiata nel corso di eventi bellici, è stata più volte ricostruita e restaurata, l’ultima nel 2009. Appena fuori città, all’interno del locale cimitero, si trova il Mausoleo Yeddi Gumbaz, luogo di sepoltura dei membri delle famiglie reali di Shirvansha. Si tratta di sette cupole, non ancora state restaurate contrariamente a molti altri luoghi, all’interno di ognuna delle quali ci sono splendide tombe, molte delle quali ancora colorate.
Proseguendo sull’M4 e poi sull’M5, la strada che porta verso la Georgia, si arriva Sheki altra importante città sulla Via della Seta. La città era difesa da una fortezza all’interno della quale si trovava la residenza estiva dei Khan di Sheki. Costruita su due piani con tre stanze per ogni piano il palazzo era riccamente affrescato con scene di caccia, battaglie e vasi di fiori. Il 90% dei dipinti visibili oggi sono originali e non hanno mai subito restauri. L’esterno è decorato da disegni ispirati dallo scrittore di origine persiana Nizami Ganjavi, che ritroveremo presto nel nostro viaggio. Fuori dalle mura della fortezza si trovano due splendidi Caravanserragli chiamati “Yukhary” e “Ashaghy”, cioè Superiore e Inferiore, costruiti tra il XVIII-XIX secolo d.C. All’interno trovavano riparo le carovane che percorrevano la Via della Seta che approfittavano degli incontri con gli altri viaggiatori per scambiarsi i prodotti che trasportavano.
A sud di Sheki, sull’altra grande arteria che collega l’Azerbaijan alla Georgia, a metà strada tra Baku e Tblisi, sorge Ganja, la seconda città del paese. Di origine incerta, sembra essere stata fondata dai persiani nel V secolo, mentre altre fonti fanno risalire la sua origine agli arabi che qui si insediarono nell’860. Dopo essere stata conquistata dai russi all’inizio del 1800 fu ribattezzata Elisabetpol, nome che mantenne fino al 1935, per poi diventare Kirovabad fino al 1989, quando riprese il suo nome originale. Nel corso della breve parentesi di indipendenza tra il 1918 e il 1920 fu anche la capitale della Repubblica Democratica dell’Azerbaigian. Poco fuori dalla città si trova la moschea dell’Imam Goy, costruita nel VII secolo intorno al mausoleo del quinto Iman sciita Muhammad al-Baqir. La moschea che vediamo oggi è stata restaurata tra il 2010 e il 2016 e si presenta come un grande e moderno complesso decorato con due minareti e una serie di cupole, pronto ad accogliere una moltitudine di fedeli.
Ganja è anche la città che nel XII secolo ha dato i natali al poeta persiano Nizami Ganjavi che abbiamo incontrato a Sheki. I suoi poemi epico-romanzeschi sono caratterizzati da uno stile realistico e colloquiale, all’epoca una novità nella letteratura persiana. A lui è dedicato un grande mausoleo costruito nel 1947 e restaurato nel 1991, dopo la dichiarazione di indipedenza. Celebrato pure in Iran, Tagikistan e Afghanistan, è celbrato anche in altre città, tra cui Roma, che ospita una sua statua a Villa Borghese.
Al poeta è intitolata anche la principale via di Ganja, lungo la quale si sviluppano le attività commerciali, e scorre la vita di una tranquilla città di provincia.