Di Stefano Modena

 

Cinquanta anni sono un traguardo importante, ma per OIC Group rappresentano soprattutto un punto di partenza. L’azienda fiorentina – fondata nel 1975 da Annarita Bonamici, pioniera del settore quando la meeting industry italiana era pressoché inesistente – oggi gestisce oltre 500 eventi l’anno in più di 60 Paesi. Un volume che nel 2024 ha sfiorato i 29 milioni di euro di fatturato e che nel 2025 si prepara a raggiungere quota 30 milioni. Il dato colpisce, ma andrebbe interpretato con cautela: nel mercato degli eventi la crescita non è mai garantita, e l’espansione internazionale espone inevitabilmente a rischi legati ai cicli economici e alle evoluzioni tecnologiche. Tuttavia, OIC sembra aver costruito un modello solido, capace di tenere insieme radici locali e proiezione globale.

 

IL VALORE GENERATO SUL TERRITORIO

La ricaduta economica sul territorio è uno degli argomenti più forti della narrazione aziendale. Secondo l’analisi interna condotta sui dati 2023–2025, un quinto dell’indotto nazionale – oltre 7 milioni di euro – resta in Toscana, a beneficio diretto di imprese e professionisti locali. Una quota significativa, reale e stabile nel tempo. Andrebbe però verificata la continuità di questi numeri, poiché tre anni sono un orizzonte utile ma non sufficiente per definire un trend strutturale. Eppure, non si può negare l’impatto, mantenere in Italia una porzione così rilevante della filiera rappresenta un’eccezione nel settore congressuale, spesso orientato a fornitori globali.

UNA LEADERSHIP AL FEMMINILE

L’80% della forza lavoro di OIC è composto da donne, percentuale decisamente superiore alla media nazionale. Non si tratta solo di presenza numerica, ma di ruoli manageriali. Il gruppo è guidato da Irene Serio, figlia della fondatrice, che enfatizza la continuità familiare come valore e come leva di identità. È interessante, però, chiedersi se questo modello possa essere replicato altrove. Un’azienda a forte prevalenza femminile potrebbe anche correre il rischio opposto, quello di costruire, involontariamente, una monocultura interna. Per ora i numeri parlano di stabilità, il 27% dei dipendenti è in azienda da oltre dieci anni, il 30% da cinque a dieci.

 

CERTIFICAZIONI E WELFARE, FORMA O SOSTANZA?

OIC Group ha conseguito due certificazioni chiave: la Uni PdR 125:2022 sulla parità di genere e la ISO 20121 per la gestione sostenibile degli eventi. Bene, ma spesso questi riconoscimenti rischiano di trasformarsi in etichette più che in cambiamenti culturali reali. Qui l’azienda, va detto, prova a dimostrare coerenza tramite pratiche concrete. Settimana da 38 ore, smart working, bonus genitoriali, percorsi di rientro personalizzati dopo la maternità. Sono misure interessanti, ma non rivoluzionarie. Il punto, forse, non è quanto siano innovative, bensì il fatto che siano già operative in un settore ancora restio alla flessibilità.

UN PLAYER GLOBALE CON ANIMA LOCALE

L’impressione finale è quella di un’impresa che ha saputo crescere senza perdere completamente la propria identità territoriale. Firenze rimane il centro nevralgico, non solo simbolico, l’indotto generato, la filiera di fornitori, il capitale umano femminile e qualificato sono elementi che radicano OIC nel suo contesto originario.

Resta da capire se questo equilibrio potrà essere mantenuto in un mercato dove eventi virtuali, AI e sostenibilità cambiano le regole del gioco più velocemente di quanto le aziende riescano ad adattarsi. Ma per ora, i numeri confermano che il modello OIC funziona.

 

L’AUSPICIO FINALE

Quanto pesa ancora la componente familiare nella governance strategica? Come si difenderà il gruppo dalla crescente disintermediazione digitale negli eventi? Come si vede le domande aperte non mancano. Finché non arriveranno risposte concrete, la storia di OIC resterà soprattutto un caso interessante, un’impresa fiorentina nata quando nessuno, in Italia, parlava di turismo congressuale, capace oggi di parlare – e lavorare – con il mondo. Ma se come ci auguriamo OIC ha davvero trovato la formula per coniugare crescita internazionale, impatto locale, stabilità interna e leadership femminile, potrebbe rappresentare una best practice da seguire, nel settore e non solo.