Dal 27 ottobre 2023 al 7 aprile 2024 il Museo degli Innocenti accoglierà la prima mostra a Firenze dedicata ad Alphonse Mucha, il più importante artista ceco, padre dell’Art Nouveau e creatore di immagini iconiche.
Alphonse Mucha nasce a Ivančice, nella Repubblica Ceca, nel 1860.
Fervente patriota e sostenitore della libertà politica dei popoli slavi, si dedica all’arte e nel 1887 si trasferisce a Parigi dove affina le sue arti e incontra la donna che cambierà per sempre la sua vita, Sarah Bernhardt, l’attrice più bella e famosa dell’epoca, che affida a Mucha la sua immagine rendendolo popolarissimo.
Nasce il mito delle “donne di Mucha”, e le aziende se lo contendono per reclamizzare i propri prodotti, dando vita alle intramontabili campagne pubblicitarie come quella del cioccolato Nestlé, dello champagne Moët & Chandon, e ancora delle sigarette, della birra, dei biscotti e dei profumi.
Mucha però non dimentica l’impegno patriottico e sociale. Nel 1910 torna a Praga e si dedica per quasi venti anni a quello che è considerato il suo più grande capolavoro, l’Epopea slava, opera colossale composta da venti enormi tele in cui racconta i principali avvenimenti della storia slava.
Mucha morirà a Praga nel 1939.
Tra fine Ottocento e inizio Novecento Parigi era considerata il centro del mondo dell’arte. È la cosiddetta Belle Époque, c’è un grande entusiasmo, e Alphonse Mucha, anche grazie all’incontro con Sarah Bernhardt, diventa il più famoso e conteso artista dell’epoca. Le sue opere, le sue illustrazioni, i poster teatrali e la nascente pubblicità sono accessibili a tutti. Nasce con lui una nuova forma di comunicazione: la bellezza di fanciulle in fiore, ritratte in una commistione unica tra sacro e profano, voluttuose e seducenti figure, rappresentate con uno stile compositivo unico, sono diventate caratteristiche del famoso “stile Mucha”. Le sue immagini diventano subito famose in tutto il mondo, il suo stile è il più imitato, la potente bellezza delle sue donne entra nell’immaginario collettivo di tutti.
“Un tuffo straordinario nell’Art Nouveau attraverso le opere di uno degli artisti più iconici e imitati – ha detto la vicesindaca e assessora alla Cultura Alessia Bettini –, ma anche un modo per ripercorrere le istanze dei popoli slavi di cui Mucha fu portatore per tutta la vita. Un importante collegamento anche con il nostro Galileo Chini, uno dei protagonisti dell’Art Nouveau in Italia.”
Con il patrocinio del Comune di Firenze e dell’Ambasciata della Repubblica Ceca, la mostra è organizzata in collaborazione con la Fondazione Mucha e In Your Event by Cristoforo ed è curata da Tomoko Sato in collaborazione con Francesca Villanti.
La mostra vede come sponsor Generali Valore Cultura, partner Mercato Centrale Firenze, I Gigli, Samsonite e Unicoop Firenze, mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale, media partner QN La Nazione, educational partner Laba, technical support Mucha Trail e Prague City Tourism.
Con la mostra Alphonse Mucha. La seduzione dell’Art Nouveau riparte anche il progetto “L’Arte della solidarietà” realizzato da Arthemisia con Komen Italia, charity partner della mostra.
Unire l’arte con la salute, la bellezza con la prevenzione: è questa l’essenza di un progetto che vede il colore rosa della Komen Italia fondersi con i capolavori esposti nelle mostre.
Nel concreto, una parte degli incassi provenienti dalla vendita dei biglietti di ingresso della mostra verrà devoluta da Arthemisia per la realizzazione di specifici progetti di tutela della salute delle donne.
Con questa partnership Komen Italia chiude ottobre, mese della prevenzione, e si prepara al grande evento nazionale per festeggiare il suo 25esimo anno della “Race for the cure” il prossimo maggio 2024.
LA MOSTRA
Il percorso dell’esposizione, tematico e cronologico, presenta oltre 170 opere: manifesti, libri, disegni, olii e acquarelli, oltre a fotografie, gioielli, opere decorative, che permettono al visitatore di approfondire la complessità e l’eclettismo di Alphonse Mucha accanto a un nucleo di opere italiane che raccontano il contesto dell’evoluzione dello stile Art Nouveau in Italia.
Questa mostra vuole mettere in luce oltre al suo talento, il grande lavoro di ricerca e riflessione che ha accompagnato l’evolversi della sua arte, senza mai perdere di vista l’attaccamento alla sua terra d’origine, per la cui indipendenza lotterà tutta la vita.
Mucha credeva che l’arte non dovesse limitarsi a essere piacevole alla vista: doveva comunicare un messaggio spirituale, elevare gli spettatori e soprattutto parlare a tutte le persone.
Quando giunse a Parigi, l’incontro con la grande Sarah Bernard nel 1895 e la realizzazione del suo primo manifesto per la commedia Gismonda lo rese famoso da un giorno all’altro. Da quel momento ideò tutti i manifesti per gli altri spettacoli di Sarah Bernard, da quello per La Dame aux Camélias, La Samaritaine, Medea fino a La Princesse Lointaine, scritto per la famosa attrice da Emond Rostand. Il manifesto, che ebbe grandissimo successo, ispirò poi Alphonse Mucha per la realizzazione della copertina della versione romanzata della stessa opera, dal titolo Iilsée. Princesse de Tripoli (1897).
Tutti questi manifesti sono esposti in mostra, come pure quello ideato per pubblicizzare le cartine per le sigarette JOB, considerato l’immagine iconica della“donna alla Mucha”: figura di una donna sensuale contrastata dal monogramma JOB sullo sfondo. L’arabesco creato dai suoi capelli e dalle spire di fumo che si alzano dalla sua sigaretta crea un ricco effetto decorativo. Qui Mucha introduce un motivo bizantino, simile a quello dell’affiche per Gismonda, con una cornice ispirata ai mosaici che aggiunge un tocco di solennità alla composizione finale.
L’arte prodotta in serie lo attraeva, perché poteva raggiungere e ispirare più persone. Nei manifesti per profumi, birra, biscotti, biciclette e sigarette, ha reso meno netta la barriera tra belle arti e arte commerciale, tra commercio e filosofia.
Nel 1894 venne aperto a Parigi il Salon des Cent dal poeta Léon Deschamps, editore dell’influente rivista d’avanguardia La Plume. Scopo del salone era quello di promuovere le opere di artisti vicini alla pubblicazione bimestrale, inclusi Jules Chéret (1836–1932), Eugène Grasset, Toulouse-Lautrec, Georges de Feure (1868–1943) e i Nabis. Mucha, invitato da Deschamps a unirsi al gruppo nel 1896, come regalo di debutto e a dimostrazione della propria gratitudine, disegnò il manifesto della ventesima esposizione ospitata dal salone. L’anno seguente a Mucha fu concesso ampio spazio al Salon des Cent, dove ebbe modo di esporre l’incredibile numero di 448 opere.
Durante l’elaborazione dell’affiche per la mostra, nei suoi motivi decorativi Mucha incorporò vari elementi moravi, come il tradizionale copricapo ricamato indossato dalla ragazza e la corona di margherite, che rievoca i pascoli della madre patria. Inoltre, la giovane tiene in mano una penna e il disegno di un cuore sovrastato dall’incrocio di tre ghirlande (una di spine, una di fiori e una di frutti) allude al destino del proprio paese natale.
In corrispondenza dell’esibizione dedicata alle opere di Mucha presso il Salon des Cent, fu pubblicata un’edizione speciale della rivista La Plume perché fungesse da catalogo. Come si può vedere in mostra, la copertina fu disegnata dallo stesso Mucha e poi riutilizzata in molti numeri successivi della pubblicazione. La Plume si organizzò quindi per trasformarla in una mostra itinerante, poi portata a Vienna, Praga, Monaco, Bruxelles e New York, promuovendo l’artista sul palcoscenico internazionale.
In ragione della sua fama, a Mucha fu presto commissionato di disegnare vari manifesti pubblicitari e tra questi quello della Bicicletta Perfecta, prodotta da un’industri britannica. Nel manifesto esposto, la composizione è dominata da una figura femminile con lunghi capelli scompigliati dal vento, mentre della bicicletta se ne vede solo parte della ruota e del manubrio, a cui la ciclista si sta appoggiando. Con il suo sguardo sicuro e diretto, rappresenta il nuovo ideale di donna, che si gode il senso di libertà ed euforia.
Tutte le donne che Mucha rappresenta nelle sue opere, sono fluide, bellissime e leggere, ma lo sguardo è sempre diretto e forte, segno di un’emancipazione, che in quegli anni inizia a manifestarsi.
È lo sguardo di una donna nuova, che rivendica il diritto di una libertà e dignità che fino ad allora le è stata negata. È l’inizio della modernità, di cui Mucha, pur con un linguaggio influenzato dai Preraffaelliti di Hans Makart, dalle xilografie giapponesi, dalla bellezza della natura, dalla decorazione bizantina e da quella slava, si fa portavoce.
Nel 1896, mentre lavorava a un manifesto per il lancio del profumo Rodo, Lance Parfum Rodo, gli fu anche richiesto di creare l’etichetta e la scatola della fragranza. Lo stesso anno Mucha cominciò a collaborare con un famoso produttore di biscotti francese, Lefèvre-Utile (LU), arrivando a realizzare diverse grafiche per i materiali pubblicitari della società, nonché la decorazione di una latta per biscotti e di alcuni incarti.
Come si potrà vedere nelle opere e oggetti sopra citati, Mucha integrò intenzionalmente vari richiami tra le confezioni e i manifesti da lui realizzati tramite la riproduzione della stessa donna in qualità di “personaggio” associato ai prodotti, oppure riutilizzando lo stesso stile per i caratteri delle scritte. Così facendo, presentava gli articoli tramite messaggi visivi coerenti che ne aumentavano la visibilità sul mercato, una strategia ancora oggi ampiamente adottata dagli artisti grafici.
Nel 1899 Mucha ricevette l’incarico per il prestigioso champagne Moet & Chandon di creare le grafiche di tutta la pubblicità di due tipologie di champagne, note come Imperial e White Star. Il primo fu commercializzato con il nome di Crémant Impérial, nonché come Dry Imperial e Grand Crémant Impérial, sempre qui esposti.
Mucha realizzò i design come coppia, ricorrendo allo stesso formato verticale lungo e al suo stile inconfondibile per entrambi i prodotti. Incluse la figura di una donna e di un motivo circolare ma, trattandosi di due champagne diversi, li presentò tramite immagini femminili differenti.
Un altro manifesto disegnato per PLM (Chemins de Fer de Paris à Lyon et à la Méditerranée), Monaco・Monte-Carlo, proponeva un viaggio di sedici ore da Parigi a Monte Carlo a bordo di un treno di lusso. La ragazza raffigurata è colta a fantasticare dei piaceri che l’attendono presso il luogo di vacanza. La gioia evocata dall’esperienza turistica è sottolineata dalle sontuose ghirlande e dall’incurvarsi degli steli di fiore, che sembrano alludere alle ruote e ai binari del treno, così come dal panorama costiero mediterraneo che completa lo sfondo.
Pur prendendo ispirazione per le sue raffigurazioni dalle caratteristiche ornamentali di un’ampia selezione di stili e culture, incluse quelle di origine celtica, egiziana, greca, islamica, giapponese, ebraica, gotica, rococò e bizantina lo stile Mucha si è evoluto in modo organico dalle sue radici slave.
A partire dal 1896 cominciò a integrare nei suoi disegni elementi decorativi tradizionali della sua madre patria. In mostra il celebre calendario Champenois del 1898, la cui composizione include una giovane donna dall’aria sognante con un meraviglioso abito ricamato d’ispirazione slava, intenta a sfogliare le pagine di un libro di design decorativi. Il suo profilo spicca sullo sfondo creato da un’aureola (simbolo, per Mucha, dell’armonia universale) decorata con un motivo floreale elaborato.
Mucha riteneva che l’arte e la civiltà bizantine costituissero la culla spirituale della cultura slava. Nelle sue opere integrò una grande varietà di motivi decorativi ispirati all’arte bizantina, come mosaici, icone e sontuosi esemplari di abiti e gioielli come si può vedere dalla coppia di pannelli decorativi esposti Têtes Byzantines: Blonde e Têtes Byzantines: Brunette.
Ispirato anche da motivi celtici realizzò nel 1902 sempre altri due pannelli: Il brugo delle scogliere e Il cardo delle spiagge, dove le fanciulle rappresentate indossano nel primo abiti popolari bretoni, nel secondo il tipico abito nero e copricapo bianco della Normandia, entrambi però condividono nella composizione e decorazione la continuità culturale con le radici celtiche.
Le stagioni fu il primo set di pannelli decorativi prodotto da Mucha, pubblicato per la prima volta nel 1896 e destinato a trasformarsi immediatamente in una delle sue serie più popolari.
Nei quattro pannelli Mucha personifica le stagioni in diversi tipi di donne simili a ninfe, contornate dai quattro paesaggi stagionali. Il grande successo della serie ha portato alla realizzazione di molte varianti, tra cui il Calendario qui esposto che integra tutti e quattro i pannelli in una singola cornice ornamentale.
L’artista ceco realizzò anche un secondo set di pannelli raffiguranti i quattro momenti in cui è divisa la giornata: La Mattina, col volto fresco, è circondata da un bosco primaverile; Il Giorno vivace si gode un momento su una spiaggia estiva, la malinconica La Sera è persa in contemplazione tra il fogliame autunnale e, infine, La Notte riposa in una radura invernale illuminata dalla luce lunare Tutti i pannelli, in formato verticale identico, sono decorati con squisiti motivi floreali inseriti nell’arco a sesto acuto delle cornici, che rievocano l’architettura delle finestre in stile gotico.
In mostra si trovano anche alcune delle numerose litografie dei lavori realizzati dall’artista per la stampa di tessuti e carte da parati, prodotte in Francia e nel Regno Unito, oltre a una serie di esempi ornamentali, riprodotti sia per L’ Album de la Décoration (Album delle decorazioni) pubblicato a Parigi nel 1900, sia in Combinaisons ornementales (Combinazioni ornamentali) pubblicato nel 1901 da Librairie Centrale des Beaux-Arts, Parigi, come libro in folio composto da sessanta litografie, oltre che di Mucha, di George Auriol (1863–1938) e Maurice Pillard Verneuil (1869–1942).
Documents décoratifs (Documenti decorativi) invece del solo Mucha è stato pubblicato nel 1902 da Librairie Centrale des Beaux-Arts, Parigi, come libro in folio composto da settantadue litografie. Mucha concepì il volume come manuale per artigiani, designer e studenti di belle arti, e presentava tutti gli aspetti del suo processo artistico. Non solo includeva dei campioni di design pronti all’uso per produttori ma anche una varietà di disegni che mostravano agli artisti l’intera procedura di stilizzazione, trasformando gli studi realistici ispirati al mondo naturale in motivi decorativi che potevano essere applicati ai prodotti.
I tre disegni mostrati qui sono stati preparati per Figures decoratives (Figure decorative), pubblicato nel 1905 come complemento del precedente Documents décoratifs. Il libro in folio composto da quaranta litografie si concentra sul tema dell’utilizzo del corpo umano come fonte di motivi decorativi ed esplora le figure di donne, ragazze e bambini in una varietà di pose integrate in cerchi, triangoli, rettangoli e molte altre forme geometriche.
Tra le molteplici attività di Alphonse Mucha, è da ricordare anche il suo interesse per la fotografia, che iniziò a metà degli anni ‘80 del XIX secolo, mentre studiava presso l’Accademia di belle arti di Monaco.
A Parigi acquistò la sua prima fotocamera e iniziò a utilizzarla finché non divenne una parte importante del suo processo creativo. Durante la seconda metà degli anni ‘90 del XIX secolo, per Mucha la fotografia cominciò ad assumere la connotazione di diario e quaderno degli appunti visivo, completando le sue bozze e i suoi disegni.
Le immagini dei modelli di studio costituiscono una grossa parte delle numerose fotografie scattate durante questo periodo e che qui si possono vedere in numerosi esempi. Spesso Mucha non lavorava coi modelli orientandosi sulla base di un piano specifico per un progetto preciso, ma si lasciava guidare dall’istinto, improvvisando una varietà di pose. Più avanti, avrebbe utilizzato molte di queste immagini per integrare i suoi studi o come fonte d’ispirazione per design e dipinti.
Mentre lavorava al design dei gioielli e degli espositori per Georges Fouquet (1862–1957) in vista dell’Esposizione di Parigi, Mucha si vide commissionare, sempre da Fouquet, le decorazioni del nuovo negozio, situato in rue Royale 6 e aperto nel 1901. Per questo compito, Mucha si occupò non solo degli interni, di cui si possono ammirare alcuni suoi disegni, ma anche della facciata dell’arredo, dell’illuminazione e di un’ampia selezione di oggetti ornamentali.
In mostra troviamo anche dei pannelli decorativi prodotti per la Boutique Fouquet che rappresentano quattro pietre preziose personificate da un corrispondente numero di sensuali figure femminili. Con questa serie, Mucha introdusse un nuovo stile compositivo, che incorpora l’idea di palette. Dividendo il formato lungo verticale in due parti, nella sezione superiore rappresentò una donna maestosa seduta, completando la scena con il suo distintivo motivo circolare sullo sfondo; nella parte inferiore, invece, raffigurò dei fiori in stile realistico. Il colore di ciascuna pietra (ocra per il topazio, rosso per il rubino, violetto per l’ametista e verde per lo smeraldo) determina l’atmosfera di ogni pannello e crea un richiamo visivo ai fiori che adornano l’abito della donna.
Durante gli anni ‘90 del XIX secolo, parallelamente alla sua ricerca spirituale alimentata dalle influenze del misticismo, dell’occultismo e della teosofia, Mucha cominciò a interessarsi alla Massoneria, una fratellanza che proclamava di operare per il bene dell’umanità attraverso attività di beneficenza, solidarietà tra persone e la ricerca di valori intellettuali, morali e spirituali più elevati. Condividendone gli ideali, Mucha si unì alla Massoneria il 25 gennaio 1898 presso la loggia del Grande Oriente di Francia di Parigi, l’ordine massonico più antico e importante dell’Europa continentale.
L’influenza dello spiritualismo di Mucha, e soprattutto della filosofia massonica, si manifestò in un lavoro visionario pubblicato sotto forma di libro, Le Pater (Il Padre). Era un manifesto che esprimeva la sua visione personale sul progresso dell’umanità attraverso le parole della preghiera cristiana. Considerato dallo stesso Mucha una delle sue opere migliori, arrivò a esporne sia una copia che i disegni originali all’Esposizione di Parigi del 1900.
In mostra sono visibili alcuni degli studi preliminari, in cui si evidenzia come in questo caso Mucha sia ricorso a uno stile molto diverso da quello che aveva sempre distinto i suoi manifesti. Le Pater segnò il suo inizio come “artista” visionario”.
Alphonse Mucha fu un artista poliedrico. Era infatti capace di cercare fortuna nel mondo del commercio, ma anche di nutrire aspirazioni artistiche alte.
Non solo: la sua ambivalenza si nota anche nel fatto che tanto era moderno nel rappresentare i prodotti dell’industria francese, tanto era legato alla tradizione del suo popolo. Pur avendo vissuto per gran parte della sua vita all’estero, Mucha restò infatti sempre profondamente legato alla Moravia.
Disegnò alcuni manifesti, visibili nell’esposizione, sia per un per il coro degli insegnati moravi, che quello per la pubblicizzazione della sesta (Praga 1912) e ottava edizione (Praga 1926) del festival Sokol, un evento di rilevanza nazionale dedicato allo sport e alle attività patriottiche, a cui parteciparono anche organizzazioni Sokol di altre nazioni.
Di più, in lui non c’era solo un patriottismo filo-ceco, ma più in generale un ideale panslavista che voleva puntare all’unione di tutti i popoli slavi. Anche perché questi popoli erano spesso minacciati da vicini fin troppo aggressivi.
Per questo motivo, quando aveva ormai raggiunto la fama, decise di mettersi all’opera sul progetto che ribattezzò Epopea slava, composta da venti murali dipinti su tele enormi, rappresentando le sofferenze e le conquiste di tutti i popoli slavi nel corso di mille anni di storia.
Il suo obiettivo era quello di dipingere una serie di tele ispirate ai grandi momenti della storia dei popoli dell’est, che potesse servire da monito e lezione per le future generazioni. Un progetto assai ambizioso, che lo tenne occupato – tra viaggi, studi e ricerche – dal 1911 al 1928.
Alla fine, riuscì a completare venti tele, che donò alla città di Praga in occasione del decimo anniversario della formazione della Stato Cecoslovacco. Parlò delle sue idee dietro quest’opera: “Volevo parlare a modo mio all’anima della nazione, ai suoi occhi, che trasmettono pensieri istantaneamente alla coscienza. Una foto, credo, agisce in modo aggressivo. Senza ostacoli, penetra attraverso gli occhi dello spettatore nella sua anima… Sedotto dalla sua forma esteriore, si fermerebbe davanti ad essa, e forse ne cercherebbe il contenuto e il significato, trovandone infine l’essenza – Bellezza o Verità – per la quale un’opera d’arte si crea… Lo scopo del mio lavoro era costruire, creare ponti; perché dobbiamo tutti nutrire la speranza che l’umanità si unisca, e quanto più facile sarà tanto più si capiranno. Sarò felice se toccherà a me aver contribuito con le mie modeste forze a questa comprensione, almeno nella nostra famiglia slava”.
Ma ormai erano passati trent’anni dal suo momento di massimo successo, e l’Europa era profondamente cambiata.
A complemento dell’esposizione, una sezione a cura di Francesca Villanti, offre uno sguardo sullo sviluppo del nuovo linguaggio artistico nel nostro Paese. Un omaggio al fiorentino Galileo Chini (1873-1956), uno dei protagonisti dell’Art Nouveau in Italia, e alla città che ospita la mostra.
Pur con un leggero ritardo, anche l’Italia abbraccia la necessità di dar vita a un modello stilistico e iconografico capace di interpretare la modernità contemporanea. La fanciulla eterea, dai movimenti aggraziati e armoniosi, più volte immortalata da Mucha, diventa il simbolo dello stile Liberty – declinazione italiana dell’Art Nouveau – nel manifesto disegnato da Leonardo Bistolfi per la Prima Esposizione Internazionale d’Arte Decorativa Moderna Torino del 1902, la manifestazione che sancisce l’ingresso ufficiale dell’Italia sulla scena europea.
Tra gli artisti che partecipano all’Esposizione di Torino, spicca Galileo Chini che aderisce ai principi innovatori del Liberty a partire dalla fine degli anni ‘90 del 1800.
L’artista fiorentino, viaggiando da sempre in tutta Europa, è profondamente attento agli sviluppi artistici e partecipa alle principali esposizioni internazionali, dove ha modo di confrontarsi con realtà differenti, di percepire lo spirito innovativo del nuovo e rivoluzionario linguaggio. Chini, pur restando testimone della tradizione antica, capace di cogliere gli stimoli, di elaborarli e declinarli con uno stile personale, diventa pioniere nella sperimentazione di forme audaci e innovative, rielabora con grande maestria le linee del passato arricchendole con le linee sinuose che dominano i principi di rinnovamento e di modernità espressiva dell’Art Nouveau.
Tra questi principi dettati dall’Art Nouveau e dalle secessioni mitteleuropee, ciò che affascina maggiormente l’artista toscano è la possibilità di estendere l’esperienza dell’arte a tutti i campi della vita quotidiana, come Mucha e artisti coevi condivide la convinzione della necessità di diffondere la bellezza a tutti gli strati sociali e di annullare il pregiudizio tra arti “maggiori” e “minori”.
Chini si dedica con grande fervore all’arte della ceramica, tanto che nel 1896 fonda l’Arte della Ceramica, una piccola fabbrica a Firenze che in breve tempo si fa interprete del gusto moderno, aggiornando i materiali tipici della sua manifattura secondo i dettami estetici del nuovo linguaggio.
Nelle opere pittoriche di quegli anni, pur conservando ancora tracce di una formazione simbolista, è evidente il fascino che le suggestioni moderniste esercitano sull’artista fiorentino.
Il tema del pavone, molto diffuso nell’Art nouveau, è un motivo iconografico che ha affascinato molti artisti modernisti fin dagli esordi, a partire dalla Peacock Room realizzata da James Whistler in Inghilterra o la decorazione di Alphonse Mucha nella gioielleria Fouquet a Parigi. Questo tema diventerà anche uno dei soggetti più frequenti nell’arte di Chini, soprattutto nella ceramica. In mostra appare in Allegoria della Pittura, un’opera su tela del 1895, nel Bozzetto per piatto-pavone (1899 ca.) e, tra le sue stupende ceramiche esposte, anche in Vaso con occhi penna di pavone (1919-1925).
Chini continuerà a rielaborare la figura del pavone nel corso degli anni, partendo dalla rappresentazione in chiave naturalistica delle prime opere fino ad arrivare a trasformarlo in un puro motivo ornamentale come dettaglio dell’occhio della coda piumata.