L’ultima, in ordine di tempo, è di pochi giorni fa. Il 23 febbraio scorso la stampa nazionale diffondeva l’ennesima notizia che, in base ad una indagine della commissione Trasporti, in Italia sono aperti 100 scali, da ben 47 dei quali operano voli di linea; sono troppi e bisogna far qualcosa per razionalizzare l’intero comparto.
E’ da anni che si possono leggere notizie del genere sull’eccessivo proliferare degli scali, ma è da anni altresì che apprendiamo di nuovi aeroporti aperti al traffico commerciale.
E allora, questi aeroporti sono troppi o sono troppo pochi? Bisognerà pure decidersi a dare una risposta operativa che rispecchi la teoria che scaturisce dalle indagini delle varie commissioni che si sono occupate del tema.
Quando, sull’onda delle polemiche che da anni ormai accompagnano l’aumento del traffico a Ciampino, si iniziò a parlare del terzo scalo di Roma e contemporaneamente iniziarono a circolare i nomi di più pretendenti, lo preannunciammo: qui si rischia di far scoppiare un nuovo tormentone del tipo “Malpensa-Fiumicino.”
E così come Alitalia è stata salvata grazie alla coincidenza dei tempi del commissariamento con le elezioni nazionali, puntuale ecco ora riproporsi il caso del terzo scalo laziale in concomitanza con l’avvio della campagna elettorale per le votazioni regionali di fine marzo.
Gli aeroporti quindi, alla pari delle aerolinee, sono divenuti un argomento da cui prendere spunto per accaparrarsi voti, un fatto che potrebbe essere del tutto normale se non fosse per il particolare che in talune occasioni –non intendiamo necessariamente riferirci al caso laziale- forse si rischia di promettere un aeroporto di cui tutto sommato si potrebbe fare a meno.
Ma tornando specificatamente agli scali di Roma, eccoci alle prese con un nuovo casus belli: “Ryanair minaccia, Alemanno perplesso, Viterbo scrive a Matteoli, che ne sarà del low cost a Roma?” Questo il tono degli interventi che abbiamo letto su un quotidiano e che ci accompagnerà nei mesi a seguire.
La situazione aeroportuale di Roma mostra un variegato quanto mutevole scenario. Il 20 gennaio scorso il Sindaco Alemanno, insieme a numerose autorità, ha inaugurato il nuovo terminal dell’aeroporto dell’Urbe. Nell’occasione si è parlato di questo scalo come del City Airport per il traffico business. In realtà, se non ricordiamo male, tutte le volte che si è affrontato il problema dell’eccessivo traffico su Ciampino si è prospettata la soluzione di eliminare il traffico commerciale low cost e di destinare questo aeroporto all’aviazione generale che comprende anche quella d’affari. Ricordando questi due particolari ci si potrebbe porre la domanda: ma non si era detto che Ciampino sarebbe stato destinato all’aviazione generale/executive?
Sullo scalo di Ciampino in particolare, ci sarebbe da scrivere un libro. Sarebbe ad esempio interessante interrogarsi sul perché si è continuato a edificare nelle aree circostanti di un aeroporto che di fatto non è stato mai chiuso al traffico, ma che aveva subito soltanto un calo fisiologico nel momento in cui i voli di linea erano stati spostati su Fiumicino. Rammentiamo inoltre che fin dall’inizio dell’avvenuto trasferimento si è sempre parlato di sistema aeroportuale romano, volendo con ciò intendere che non si è mai avuta l’intenzione di voler escludere lo scalo della Via Appia al traffico commerciale.
Circa il fatto che una compagnia aerea “non vuole” trasferirsi qui bisogna essere chiari. Se le autorità aeronautiche lo vogliono, qualsivoglia aeroporto può essere interdetto al traffico aereo commerciale, in qualsiasi momento. L’unica accortezza che si deve avere è che la chiusura deve riguardare tutti i vettori e non mettere in atto quelle discriminazioni che potrebbero portare a ritenere che la chiusura ha favorito qualcuno e danneggiato altri, come avvenne ad esempio anni addietro per Linate chiusa a tutti, meno che a Alitalia.
Chiarito ciò va detto che per quanto riguarda Fiumicino questo è un aeroporto intercontinentale di notevoli dimensioni che al contrario di quanto accade a Parigi, Londra e Francoforte che sono la base operativa di aerolinee nazionali dalla flotta elefantiaca, ospita un cosiddetto vettore di bandiera di dimensioni alquanto contenute. Ciò significa che esso è sotto utilizzato e che pertanto potrebbe ospitare ancora non pochi collegamenti.
Ed è in questo scenario che arriviamo al novembre 2007 quando “Mentre nella Tuscia risuonano le campane a festa per l’annuncio del ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi che il terzo scalo aeroportuale del Lazio si farà a Viterbo, a Latina e Frosinone, gli altri due capoluoghi candidati ad ospitare lo scalo, rullano i tamburi di guerra e si annunciano battaglie, ricorsi e manifestazioni di piazza. “ (Latina24Ore.it)
In quella data infatti venne deciso per Viterbo, quale nuova località ove eventualmente trasferire il traffico low cost di Ciampino.
E a questo punto, puntuali come i funghi dopo la pioggia, come ben sappiamo si sono aperte le polemiche, in quanto lungi dall’aver preso una posizione netta e definitiva, sono iniziati a fioccare i “ma” e i “se” complici da una parte la distanza dalla capitale e i collegamenti, ma soprattutto la presa di posizione contraria della principale compagnia low cost ovvero Ryanair.
Noi in questa sede non cadremo nella trappola della polemica Viterbo si o Viterbo no, ma vorremmo invece esternare alcune considerazioni di carattere generale.
Innanzitutto, essendo reduci dal caso Malpensa-Fiumicino (che fra l’altro ancora cova sotto le ceneri) riteniamo sia stato alquanto inopportuno aprire un nuovo fronte avvertendo che nel Lazio vi erano tre località papabili; forse sarebbe stato più logico operare la fase di ricerca in low-profile e limitarsi a dare l’annuncio solo a scelta avvenuta. E questo -tutto sommato- riguarda solo un aspetto di “forma”. Ma il problema concreto si pone a livello nazionale, ed è dato dal fatto che la scelta di aprire un aeroporto dovrebbe venir decisa non tenendo conto di appelli locali del tipo “a noi l’aeroporto serve” magari avendo a mente l’aspetto occupazionale della città ad esso più vicina, quanto piuttosto ricordando come uno scalo deve inserirsi nel contesto di una rete nazionale di trasporti e logistica che va ben oltre le mere esigenze locali. Un aeroporto non è opera di poco conto, specialmente dal punto di vista dell’impatto ambientale, e non può certo soltanto riguardare la sola città più vicina ad esso: un aeroporto è una struttura che copre le esigenze di mobilità di una intera regione o più precisamente di quella che in gergo tecnico viene individuata come la sua catchment area.
E’ tenendo presente questi fattori, e non altri, che si dovrebbe decidere se e dove aprire al traffico commerciale un nuovo scalo.
Antonio Bordoni