In determinati settori fondamentali, lo Stato non dovrebbe passare la mano ai privati
L’ossessione del nostro tempo prende il nome di privatizzazione. In teoria una politica su cui tutti sembrano concordare come qualcosa di positivo, in pratica tutta da valutare. Vi ricordate i black out elettrici della California dell’anno 2001? In quello Stato era stata privatizzata l’energia elettrica e le nuove compagnie che erano sorte aveva pensato bene di smantellare le centrali che risultavano sotto-utilizzate. I profitti per le corporation aumentarono in quanto i costi di produzione si erano abbassati, senza che peraltro si fossero visti vantaggi sulle fatture degli utenti, ma il “generale”inverno attuò la sua vendetta e a fronte di freddi polari vi fu un’impennata di richiesta di energia elettrica che salì fino a eccedere la capacità produttiva. Fu così che i californiani si dovettero abituare a frequenti black out come da decenni non se ne registravano. Tempo fa un controllore del traffico aereo di fronte alla moda di privatizzare anche gli enti di controllo del traffico aereo confidò che la privatizzazione degli ATC (Air Traffic Control) avrebbe significato che gli enti delle varie nazioni sarebbero entrati in concorrenza fra loro, e dichiarò che quello di introdurre la “logica dell’affare” in un lavoro che richiede attenzione e concentrazione, ma non certo fretta, non era certo una decisione positiva.
Sono esempi che mostrano come non sempre quello che sembra positivo, lo è. In merito alle privatizzazioni, i quotidiani finanziari dello scorso 6 maggio, riportavano una interessante notizia. Il governo di Wellington, in Nuova Zelanda, annunciava la ri-nazionalizzazione della rete ferroviaria nazionale. Le ferrovie della N.Z. erano state privatizzate nel 1993; allora lo Stato le aveva passate ad un consorzio statunitense guidato dalla società Wisconsin Central. Ma dopo qualche anno il bilancio della società risultava disastrato in profondo rosso. Lo Stato allora rilevò “la rete” e una quota della Tranz-Rail passò in mano ad una nuova società la “Toll Holding” che avrebbe dovuto versare un canone per l’uso della rete ferroviaria. Vi erano stati problemi anche su questo fronte e allora il ministro delle finanze Michael Cullen decideva per il ricontrollo delle ferrovie sborsando 665 milioni di dollari neozelandesi, qualcosa come 330 milioni di euro.
Il ministro Cullen non è nuovo ad operazioni del genere. Nell’anno 2001 aveva fatto riacquistare allo Stato la compagnia di bandiera Air New Zealand la quale, in linea con quanto avveniva ovunque, era stata privatizzata nel 1989. Dietro a queste privatizzazioni e riacquisti si cela la presa d’atto che in Nuova Zelanda, almeno per quanto riguarda il trasporto pubblico, lo Stato svolge un miglior compito rispetto al privato. Inevitabile a questo punto il riaprirsi delle discussioni su un tema mai sopito: quanto è opportuno che lo Stato si ritiri di fronte a servizi i quali rivestono il carattere della pubblica utilità?
In Nuova Zelanda non vi è una opprimente burocrazia o uno Stato che non funziona, eppure si è deciso per il ritorno al passato. Solitamente per spiegare la ritirata dello Stato dal settore dell’aviazione si è soliti dire che i privati riescono con più facilità e celerità ad assicurare le innovazioni che un settore in continua evoluzione come quello dell’aviazione civile, richiede. Prendiamo atto allora che non sempre è così. Abbiamo più volte ricordato come il trasporto aereo non significhi soltanto permettere le vacanze e gli svaghi, ma sia anche una questione di mobilità dei cittadini. Ebbene dare in mano ai privati un mezzo di trasporto che si rivolge a queste due differenti utenze vuol dire dimenticarsi dei secondi per dare la priorità ai primi.
Se il controllo di una aerolinea viene affidato in mani private, la prima cosa che avverrà è il taglio delle rotte non produttive fra cui vi potrebbero essere quelle che la compagnia statale assicurava per collegare le diverse parti di un Paese, anche su rotte in perdita. La prova più evidente di quanto affermiamo è data dagli oneri di continuità territoriale, ossia dai sussidi che lo Stato elargisce ai vettori privati per far si che essi mantengano attive le rotte atte a fornire i collegamenti fra determinate zone del Paese e le principali città. A questo punto forse più che privatizzare le compagnie di bandiera, si trattava di permettere la nascita di compagnie private che si affiancassero a quelle di bandiera per attuare da un lato la concorrenza, ma dall’altra assicurare il mantenimento di tutti i collegamenti necessari alla mobilità nazionale a cui un privato ben difficilmente è interessato.
Di fatto nel settore dell’aviazione civile il ritiro dello Stato non ha riguardato solo le compagnie aeree, coinvolgendo anche quello degli aeroporti. Anche qui gli inconvenienti non sono mancati. Il più eclatante quello della proliferazione a dismisura dei campi di aviazione aperti al traffico commerciale, fino ad arrivare al lancio di bandi pubblici per invitare le aerolinee ad aprire collegamenti sui “nuovi” scali; ossia mettere a nuovo un aeroporto “sperando” che qualche linea aerea – fra le tante – sia disposta ad atterrarvi. L’incongruenza di un tal modo di operare è evidente, ma così va oggi il mondo. Insomma lo Stato è in ritirata su parecchi fronti; una ritirata non sempre condivisibile che diversi hanno attuato più per una questione di emulazione, che non seguendo un piano strategico che rispondesse a reali e impellenti necessità. Quello che lascia perplessi è il fatto che in determinati settori fondamentali, lo Stato non dovrebbe passare la mano ai privati, non fosse altro perché a fronte delle tassazioni cui sottopone i suoi cittadini la fornitura dei servizi essenziali deve rimanere un suo compito primario.
Rapportando queste considerazioni alle estenuanti trattative per la vendita di Alitalia, potrebbe sorgere il dubbio che forse da noi qualche genio dall’occhio lungo avesse previsto questa controtendenza in atto, e ritenere inutile privatizzare il vettore di bandiera: lasciamolo in mano pubblica così non ci sarà bisogno di alcun riacquisto… Ma poi osservando le immagini che ci giungono dalle strade di Napoli ci rendiamo conto che la nostra è solo una pia illusione…
Antonio Bordoni