Chi non ricorda le cinque libertà dell’aria? L’aviazione civile è nata e cresciuta grazie ad esse. I vari modi in cui una compagnia aerea si poneva nel portare traffico verso uno o più Paesi stranieri erano compendiati in cinque semplici clausole che hanno fatto la storia dell’aviazione civile. Oggi, contrariamente a quanto si potrebbe pensare tenendo conto della liberalizzazione, le regole che governano i diritti di traffico sono diventate nove, secondo alcuni addirittura dieci. Ma l’aspetto più interessante che è venuto cambiando ed ha creato non poca confusione agli addetti ai lavori, è quello relativo alla clausola “ownership-and-control”.
Questa clausola è venuta ad assumere sempre maggiore valenza con l’espandersi di un aspetto che in questi ultimi tempi ha riguardato le compagnie aeree, un aspetto che negli anni passati nessuno si sarebbe immaginato fosse stato mai messo in discussione: l’appartenenza di una compagnia aerea a cittadini o società aventi la stessa nazionalità del vettore.
L’acquisto di una compagnia aerea da parte di un vettore straniero che arrivi a controllare il 100% del suo capitale sociale è appunto ciò di cui stiamo parlando. La tendenza è dilagata un po’ ovunque ma specialmente in Europa grazie al fatto che la EU è stata la prima regione ad aver abolito la restrizione sulla nazionalità ai propri vettori.
E’ grazie a ciò che oggi una Lufthansa può controllare al 100% una Air Dolomiti, una Swiss, una Austrian Airlines, una BMI e si accinge a salire dal 45 al 100 per cento anche in Brussels Airlines.
Gli economisti non vedevano l’ora che ciò avvenisse in quanto per loro, in base ai precetti della globalizzazione, era ovvio che un italiano potesse acquistare una compagnia americana o che gli americani fossero liberi di acquistare un’Alitalia, ma l’aviazione civile –come abbiamo più volte evidenziato- è un settore tutto particolare ed ecco pertanto che non tutti governi, Usa in testa, sono d’accordo nel cedere il controllo di un vettore statunitense ad una entità straniera.
Ma in quei casi in cui il vettore è “passato” di proprietà ed è stato ceduto a una società straniera, il problema più grande era quello riguardante gli accordi bilaterali.
Quando due Paesi stipulavano un agreement per i servizi aerei era previsto che ognuno dei due Paesi designasse il vettore che era autorizzato a esercitare i diritti sulle rotte stabilite. Condizione essenziale era però, e nel passato questo particolare era scontato, che il vettore scelto avesse ovviamente la nazionalità del paese che firmava l’accordo.
Se ad esempio la Stato elvetico firmava un accordo con Singapore, la compagnia che da Zurigo o Ginevra volava su Singapore doveva essere di nazionalità svizzera, mentre da Singapore in Svizzera avrebbe dovuto volare una compagnia battente bandiera di quel Paese asiatico.
Ma venendo ai nostri tempi la liberalizzazione dei cieli ha fatto si che un bel giorno Lufthansa ha acquistato la compagnia di bandiera elvetica acquisendone il controllo azionario e a quel punto, tornando al nostro esempio, Singapore avrebbe potuto dire ai dirigenti del vettore svizzero, mi dispiace, ma l’accordo bilaterale non è più valido dal momento che la Swissair (oggi Swiss) non è più una compagnia svizzera.
Non si trattava di fare dispetti, ma semplicemente di far rispettare le clausole sottoscritte dell’accordo.
Ora in merito all’argomento una prima osservazione che si può fare è che la globalizzazione ha avvantaggiato i Paesi economicamente più robusti, i quali hanno iniziato a fare acquisizioni a pieno ritmo, mentre i Paesi con le economie meno salde sono divenuti terra di conquista.
E’ stato questo un progresso? Dal nostro punto di vista, o meglio dall’ottica dell’utente, la risposta non può essere che negativa dal momento che le cinque compagnie acquisite ad esempio da Lufthansa, nei tempi ante-deregulation erano cinque vettori ognuno dei quali era libero di applicare la propria tariffa, mentre oggi chiaramente questa è determinata dall’owner, ovvero da chi le controlla.
Un secondo aspetto che merita di venir sottolineato è quello commerciale. Se è del tutto accettabile che nell’odierno scenario mondiale una società italiana acquisisca partecipazioni azionarie in una compagnia francese, o viceversa, e anziché “eliminare” il concorrente, continui a farlo operare sotto il suo brand originale, appare tuttavia evidente che è del tutto ipocrita sostenere che la concorrenza ne viene avvantaggiata.
Ricordiamo che la deregulation è stata varata per favorire l’entrata di nuovi attori, ma sfidiamo chiunque a sostenere che una Lufthansa che controlla al 100% cinque vettori di altre nazioni i quali prima operavano come vettori indipendenti, costituisca un progresso della concorrenza tariffaria.
E Lufthansa è solo un esempio dei tanti vettori che detengono la ownership di altre aerolinee.
E’ davvero paradossale annotare come negli anni del dopoguerra, quando un vettore principale controllava una aerolinea di un paese emergente, nella maggior parte dei casi si trattava di colonie che iniziavano ad acquistare l’indipendenza fondando un proprio vettore controllato però dal “colonizzatore” ; ebbene oggi, dispiace annotarlo, siamo tornati allo stesso scenario, basta soltanto prendere atto di come alla colonizzazione politica, molto più subdolamente, si è venuta sostituendo una colonizzazione da parte del paese economicamente più dotato.
Ed è grottesco annotare come questi cambiamenti sono occorsi fra le lodi e le benedizioni di chi ci aveva promesso più concorrenza.
Precisato quanto sopra torniamo al problema degli accordi bilaterali alla luce del fatto che una compagnia una volta era svizzera, ma oggi non lo è più. E’ chiaro che quando le autorità elvetiche firmavano accordi con altri Paesi per attivare servizi aerei, lo facevano in nome e per conto della (o delle) compagnie aeree svizzere. Ma se la compagnia designata è controllata al 100% dalla Lufthansa, ovvero una società avente un’altra nazionalità, la clausola dell’ownership-and-control non viene rispettata.
Cosa fare in simili frangenti? Per i servizi fra aeroporti della UE non ci sono problemi, quest’ultimi invece nascono con scali di Paesi extra-UE.
La soluzione attualmente fattibile per chi si trova in questa fattispecie è quella di sostituire la “vecchia” clausola della nazionalità con quella nuova del Principal Place of Business, il cui significato crediamo non abbisogni di alcun chiarimento.
Sempre tornando al nostro esempio dal momento che la Swissair (o altro vettore elvetico) ha la sua base principale di attività sui due scali di Ginevra e Zurigo i servizi da/per quei Paesi con i quali sono stati firmati accordi ove, la vecchia clausola è stata sostituita con la nuova, non hanno difficoltà ad accettare i servizi di una compagnia svizzera pur controllata da una società straniera.
Ma le cose non sono così semplici come si può credere.
Nell’anno 2004 l’ICAO inviò un formulario (A35-WP64) a tutti gli Stati aderenti ove veniva fra l’altro posta la seguente domanda:
“When designating your airline to operate the agreed services under an air services agreement, do you require it to be substantially (or majority) owned and effectively controlled by nationals of your country?”
Come al solito non tutti gli Stati risposero, ma di quelli da cui giunse risposta, 29 risposero affermativamente e 17 negativamente. Altra domanda sull’argomento riguadava se nella trattativa con la compagnia straniera veniva accettato il criterio tradizionale che vedeva la compagnia controllata effettivamentre da nationals della nazione di appartenenza, e a questa domanda 40 Stati risposero affermativamente.
Ancora, il 27 settembre 2004 venne presentato all’Icao un documento sottoscritto da 11 Stati (Argentina, Brasile, Fiji, India, Giappone, Mongolia, Pakistan , Filippine, Repubblica di Korea, Arabia Saudita e Vietnam) ove fra l’altro si faceva notare quanto segue: “we strongly believe that nobody should insist that other States, whether in a direct or indirect manner, change their view of air carrier ownership and control”
Insomma quello che appare chiaro è che non sono pochi gli Stati che sembra non gradiscano interferenze altrui quando si tratta di decidere sullo status delle “loro” compagnie aeree. D’altra va pure detto che se qui da noi in Europa vi è questa parvenza di abbattimento delle frontiere, sostenuta soprattutto dalla moneta unica, non si può pretendere che tutti i Paesi del mondo siano disposti ad adottare a casa loro le nostre leggi e regolamenti.
Un’ultima annotazione va fatta sull’argomento. Le nuove teorie sulla possibilità di acquisizione da parte di stranieri fatte a casa nostra, o viceversa, vengono spacciate per innovative e moderne, mentre chi – di fronte ad esse – storce il naso sarebbe retrogrado e fuori tempo, ma qualcuno allora dovrebbe spiegarci per quale motivo il giorno 19 marzo del 2011, ovvero solo pochi giorni orsono, la stampa nazionale abbondava di notizie di questo tenore: “Su Parmalat minaccia francese” ; “il nostro governo studia una legge antiscalata per proteggere le imprese strategiche italiane” ; “l’obiettivo è mantenere l’indipendenza e l’italianità”…”.
Allora come la mettiamo? Accademicamente ci vengono a raccontare che bisogna professare una certa nuova dottrina, ma poi all’atto pratico ne prendiamo le distanze e la sconfessiamo? Per favore fateci capire in questa storia da che parte sta il cattivo e chi è il buono. Per quanto ci riguarda una cosa ci è ben chiara: in questo nuovo mondo economico che ci vorrebbero far digerire, chi vince sono in pochi, chi perde sono in molti e fra questi ci siamo tutti noi.
Antonio Bordoni
Sono perfettamente d’accordo con quanto espresso in questo articolo, lavoro da 30 anni nel settore aereo ed ho visto per brevi periodi situazioni di maggior concorrenza con vantaggi per il cliente (es. voli domestici italiani operati da AZ ed AP), ma nel lungo termine prevale il vettore economicamente più forte tornando a condizioni di monopolio.