E per fortuna che fanno parte della stessa alleanza e sono membri di SkyTeam. Sinceramente proviamo imbarazzo a commentare la commedia che è sul palcoscenico ormai da un decennio
Non si trovano aziende, fondi, cittadini italiani o cavalieri bianchi che hanno intenzione di comprare Alitalia ma ogni qualvolta si avvicina il momento che qualcuno dall’estero si fa avanti iniziano scaramucce e schermaglie per dire no all’acquirente. Il discorso è sempre lo stesso, anzi possiamo ben dire che va peggiorando: Alitalia non si svende allo straniero. Ma la corretta domanda che ci si dovrebbe porre è la seguente: cosa abbiamo fatto nel frattempo per cercare di aggiungere valore a questa azienda? Il continuo e inarrestabile ricambio ai vertici ad esempio è un segnale di migliorata salute? I bilanci hanno nel frattempo chiuso con profitti? Le risposte le conosciamo tutti.
Ed ecco anche riapparire immancabilmente, come le lumache dopo la pioggia, in contemporanea alle doglianze per le offerte di acquisto le lamentele dei nostri aeroporti i quali si rimettono in mezzo e avvertono che se Alitalia va con quella compagnia, quel certo aeroporto andrà in serie B, allora meglio scegliere un altro vettore, così quell’aeroporto avrà un futuro più roseo…. Insomma siamo esattamente a confrontarci con gli stessi problemi e stiamo ripetendo gli stessi errori fatti nel passato quando avevamo trovato l’acquirente, avremmo potuto chiudere il caso, non l’abbiamo fatto, per poi a distanza di anni fare il pianto del coccodrillo: “ma allora sarebbe stato meglio venderla prima”.
Ironia della sorte vuole che alla guida di Alitalia, in un momento in cui si solleva un coro unanime di preservare l’italianità della compagnia, vi è Gabriele Del Torchio ex società Ducati la quale nell’aprile 2012 è stata venduta all’Audi germanica. In quel frangente i giornali italiani titolavano tutti con la frase “ un altro gioiello dell’imprenditoria italiana va all’estero”. E questo dei gioielli italiani che finiscono oltre i confini è un altro triste capitolo il quale tuttavia si inquadra perfettamente a quanto sta accadendo all’azienda Italia nel suo complesso.
Mentre si leggevano queste notizie venivano intanto resi noti i risultati Gennaio-Giugno 2013; Alitalia ha archiviato il semestre con una perdita netta di 294 milioni di euro, aumentata rispetto ai 201 milioni dell’analogo periodo 2012, scontando anche 50 milioni di accantonamenti straordinari di cui 47 milioni legati al contenzioso fiscale sulle societa’ irlandesi facenti capo all’ex Gruppo Air One. Ricordiamo che il 2012 si era chiuso con un risultato netto di meno 280 milioni di euro. E con questi risultati come pretendere che le offerte di acquisto siano allettanti? E come meravigliarsi se non si trovano capitani coraggiosi nostrani?
Noi ricordiamo perfettamente, e se volete possiamo rintracciare fonte, giorno, mese ed anno, in cui già 10/15 anni orsono i nostri politici dichiaravano “prima di venderla dobbiamo risanarla” e ciò in quanto si sapeva benissimo che vendere la compagnia nei momenti di magra equivaleva a svenderla.
Ebbene se nel frattempo la picchiata è continuata dobbiamo smetterla di esternare stupore se le offerte di acquisto sono improntate al ribasso. A voler essere obiettivi e coerenti, così come stanno andando le cose, si dovrebbe riconoscere che a tutt’oggi ancora non è giunto il momento di mettere sul mercato Alitalia, e invece –pur sapendo la realtà dei suoi conti- si prendono contatti con eventuali acquirenti, salvo appunto arricciare il naso alle offerte.
Chi si è fatto avanti per un eventuale acquisto o partecipazione? Dagli Emirati Arabi Uniti (Abu Dhabi) si fa avanti Etihad, dalla Cina la Hainan Airlines un grande vettore privato, si rifà inoltre il nome di Aeroflot e non poteva mancare dulcis in fundo la Lufthansa la quale, a quel che si dice, sarebbe dietro l’angolo a vedere come si evolvono le relazioni fra l’asse Roma-Parigi. In realtà sarà difficile che qualcuno faccia serie proposte finchè Air France, che controlla il 25 per cento del pacchetto azionario, non avrà chiarito in un modo o nell’altro le sue intenzioni.
Detto ciò sarà comunque il caso di venire all’attualità dei giorni odierni. In pratica dopo aver appreso il cosiddetto piano di risanamento proposto dai cugini francesi il cda della nostra compagnia ha approvato una ricapitalizzazione di 100 milioni, una goccia rispetto all’ammontare che servirebbe, ma che chiaramente va vista come una prova di forza verso quello che è stato definito “il diktat di Parigi”.
Il particolare significativo è che Air France, primo socio, ha votato contro l’aumento-light; questo avveniva il 26 settembre scorso ma nei giorni successivi sono apparse smentite con Parigi che ha precisato che sarebbe invece pronta a partecipare all’aumento di capitale. Come è noto si è molto parlato anche di una entrata in campo delle ferrovie di Mauro Moretti ma anche questa soluzione è poi sfumata.
Sull’ argomento ferrovie va ricordato che in questo settore la parte del leone la sta facendo la società francese Sncf la quale oltre ad avere una partecipazione azionaria del 20 per cento sulla rivale di Frecciarossa, la Nuovo Trasporto Viaggiatori di Montezemolo, ha chiuso il 2012 con un profitto pari a 383 milioni di euro: anche nelle ferrovie, e non solo nei cieli, i conti francesi vanno meglio di quelli italiani. Poi è spuntata l’ipotesi Fintecna la quale essendo una società della Cassa Depositi e Prestiti ricondurrebbe la soluzione a un “veicolo pubblico” un fattore questo che sembrerebbe essere un requisito sine qua non affinchè le banche assicurino un loro intervento.
Poi infine si è giunti all’offerta fatta da Poste Italiane e l’assemblea dei soci di Alitalia ha deliberato, il 14 ottobre, all’unanimità l’aumento di capitale di massimi 300 milioni da offrirsi in opzione ai soci in proporzione alla quota di capitale posseduta. Lo si legge in una nota Alitalia.
Tuttavia è bene avvertire i lettori che così come accaduto cinque anni orsono, siamo al punto in cui nello scrivere articoli su Alitalia si rischia di venir superati dall’evoluzione quotidiana degli sviluppi.