Uno sguardo a 360 gradi sullo odierno stato delle aerolinee mondiali mostrerebbe una variegata situazione incredibilmente contraddittoria. Si potrebbe riscontrare che vi sono compagnie che godono di ottima salute, compagnie che alternano “alti e bassi”, e compagnie in stato di fallimento: ve ne è insomma per tutti i gusti.
Ma da una industria che da sempre è stata caratterizzata  da uno stretto legame di interfaccia a livello internazionale, non ci si dovrebbero attendere segnali più univoci sul suo stato di salute?
La domanda è pienamente legittima anche perché, in un momento storico caratterizzato dalla globalizzazione e dall’abbattimento “verbale” di numerose frontiere, si avrebbero mille ragioni per ritenere corretto che il comparto in questione debba offrire una fotografia del suo stato di salute più omogenea e meno contraddittoria, rispetto a quanto avvenuto invece in periodi passati.
Negli anni d’oro dell’industria aerea commerciale i vettori, o andavano tutti male o andavano tutti bene. Rientravano sotto quest’ultima tipologia la gran maggioranza dei vettori mondiali, rientravano sotto la prima aerolinee che erano temporaneamente interessate da fenomeni “locali” che affliggevano in modo negativo le loro operazioni.
La situazione tuttavia nel suo complesso si poteva definire alquanto omogenea, volendo con ciò intendere che aldilà di limitate contingenze che riguardavano specifiche aree geografiche, l’industria aerea nella sua generalità riusciva a fornire risultati tutto sommato univoci.
Viceversa se oggi noi ci soffermiamo ad esempio sul solo continente europeo, troveremo già in questo ristretto ambito una variegata situazione, con vettori in buona salute ed altri in pessime condizioni. Stesso appunto può essere tranquillamente fatto per l’area del sud est asiatico.
Prendendo atto di questo scenario, si deve quindi ritenere che i risultati economici delle aerolinee mondiali risultano oggi essere slegati da fattori logici, o sussiste piuttosto un qualcosa che è sfuggito alle maglie degli analisti?
Volendo porre la domanda in maniera più diretta: perché nella medesima area geografica alcune aerolinee ottengono risultati più che convincenti, mentre altre languono ed alcune hanno dovuto addirittura chiudere i battenti?
Si può davvero tutto ricondurre a un riduttivo e semplicistico motivo di cattiva conduzione?
Quanto di seguito andremo ad esporre, avvalorerebbe l’idea che vi sono altri motivi che sovrastano l’eventuale abilità di conduzione del management.
Il link economia nazionale-vettore di bandiera
Quante volte è stato detto che i vettori di bandiera sono gli ambasciatori delle nazioni all’estero?
E se la nazione, economicamente parlando, attraversa un periodo di declino, è possibile che questo evento negativo influisca con l’andamento economico della propria aerolinea di bandiera?
Molti segnali sembrerebbero indicare che questo rapporto esiste.
A gennaio di quest’anno, in pieno clima di crisi per il nostro vettore di bandiera e con una Ryanair tirata in ballo in ogni occasione potevamo, in un articolo che niente aveva a che vedere con le linee aeree, leggere queste osservazioni:  “l’Irlanda si distingue per il suo forte dinamismo che la sta portando ad avvicinarsi al gruppo leader; ecco il risultato concreto di una politica a lungo termine di orientamento al valore intangibile da parte di una nazione un tempo fra le più povere d’Europa…..l’Italia arriva non soltanto ultima ma staccata di vari ordini di grandezza da tutte le altre; è questo il punto, non soltanto il nostro Paese risulta sempre ultimo, ma tanto nel contesto europeo che in quello G-7, non abbandona mai gli ultimi posti della classifica su ciascun indice…l’implicazione di questi dati è precisa e incontrovertibile: siamo di fronte ad un’emergenza nazionale….” (1)
Scorrendo queste parole non si poteva fare a meno di riandare con la mente alle fortune del vettore irlandese Ryanair, cui si contrappone il drammatico momento attraversato dall’Alitalia.
Un Paese che si distingue per il suo dinamismo in termini economici e di attrattiva di investimenti, un Paese quindi che si trova in quella tanto agognata “ripresa” di cui tutti parlano, vede nascere al suo interno una Ryanair presa a modello da tutto il mondo; in Italia, all’opposto, troviamo un vettore di bandiera in piena crisi e da tempo ormai i giornali pullulano di servizi che parlano il declino del sistema Italia. Una pura e semplice coincidenza?
Ad agosto del 2004 uno studio della Banca Mondiale (www.worldbank.org) comparando i dati di 130 Paesi sulle opportunità offerte alle imprese, metteva in luce i problemi del Paese Italia che, volendo sintetizzare, consistevano in complicazioni burocratiche eccessive e costi per le imprese alle stelle. A gennaio 2005 su un quotidiano romano, si poteva leggere “baruffe a parte, rimane il fatto che la crescita italiana è inferiore a quella continentale, che pure è modesta, e che i nostri conti pubblici sono troppo influenzati da misure una tantum…” (2)
Allarmi di questo tenore sono da tempo all’ordine del giorno e quello da noi riportato è solo uno fra i tanti esempi a disposizione.
Lo scorso giugno, in una intervista apparsa su Air Press (3) Angel Mullor, uno dei dirigenti Iberia,  annotava quanto segue: ” quello che blocca Alitalia sono le continue e costanti interferenze politiche. Proprio nei giorni scorsi mi è capitato di leggere la dichiarazione di un ministro, credo dell’Agricoltura, il quale ha affermato che nessun piano che prevede esuberi potrà essere attuato. Un ministro dell’agricoltura! Senza interferenze politiche nella gestione, Alitalia ce la può fare. Così come ce l’ha fatta Iberia”.
E la performance dell’Iberia è una parabola che molti in Italia dovrebbero studiare, specialmente coloro che non perdono occasione ad aprire la bocca per dare consigli su come far uscire l’Alitalia dalla crisi.
Su queste colonne a ottobre 2004 abbiamo parlato delle affinità che legano i due vettori ed abbiamo mostrato un raffronto fra i conti economici del vettore iberico e di Alitalia, dai quali si poteva evincere che a parità di revenue prodotto, era sul versante spese che le strade differivano e facevamo notare come non era quello del personale che necessitava di interventi d’urgenza.
E’ da annotare altresì come i cosiddetti “eventi esterni” tante volte tirati in causa a giustificazione dei mediocri risultati ottenuti dal nostro principale vettore, abbiano riguardato anche altri vettori in maniera paritaria e a tal proposito Xabier de Irala, presidente e CEO di Iberia, così commentava in una intervista, i risultati più che positivi ottenuti dal vettore di bandiera iberico:” the external events that have been happening and disturbing the airline industy. Nevertheless we have been either doing a good job or we have been fortunate and we have coped in a decent way”.
Una modestia davvero eccessiva tenuto conto che l’Iberia -come  faceva notare ATW nel proseguio del testo- is the only network carrier in Europe, and may be one of the only(legacy) cariers on a global basis that have been able to achieve eight consecutive years of profits”. (4)
Come nel caso Irlanda, vogliamo ricordare il trend positivo fatto registrare dal Paese-Spagna in questo ultimo decennio? Ed anche qui, vogliamo parlare di una nuova coincidenza?
“Negli ultimi dieci anni la Spagna è entrata con forza fra i protagonisti della modernizzazione europea. Ha lanciato un piano di grandi opere pubbliche… presto inaugurerà il raddoppio dell’aeroporto madrileno….” (5)
Ed è ancora per puro caso se la Spagna -insieme a Germania, Francia e Regno Unito- il 18 gennaio, al contrario dell’Italia, era presente al varo di quell’Airbus 380 che tutti i commentatori hanno visto come il rilancio del primato europeo su quello Usa?
Senza voler tirare la questione troppo per le lunghe, è evidente come – a nostro parere-  esista una precisa correlazione fra lo stato di salute di una nazione e quello attraversato dalle sue principali aziende, e forse questo principio generale trova la sua più appropriata applicazione proprio nel caso di quelle che una volta erano le cosiddette compagnie di bandiera.
La lezione che si può trarre, per chi vuol capire, è alquanto evidente.  In una economia ove prevale il concetto di privatizzazione, le aziende debbono raggiungere il profitto con propri mezzi, e per fare ciò esse debbono assolutamente ottimizzare le loro risorse ovvero mezzi, personale e finanze. Messe di fronte a questi obiettivi esse, o soccombono, o diventano  -per usare un termine di moda- aziende “virtuose”. Chi, in questo scenario, continua ad operare con il peso delle interferenze politiche, che vuol dire sistemare e occupare persone non in base alla loro capacità ma in base all’appartenenza ad una determinata “corrente”; avere personale in eccesso rispetto alle reali necessità in quanto bisogna sistemare amici e parenti dei “potenti”; mantenere attive rotte politiche, e cose similari,  ha due soli possibili sbocchi: o la chiusura, o gli aiuti di Stato.
Se quest’ultima soluzione viene adottata come trampolino in vista di una decisiva e radicale trasformazione, ben venga; ma se così non fosse e se si tratta solo di prolungare uno stato comatoso, in tal caso sarebbe più opportuna l’eutanasia.
E tutto ciò se è ancora eludibile in determinate aree geografiche, non lo è più in Europa ove i vincoli comunitari permettono poche scappatoie.
Le proteste avanzate alla UE da parte di numerosi vettori low cost, e non, nei confronti del piano di ristrutturazione presentato dal nostro governo nel tentativo di rilanciare Alitalia, ne sono la prova più evidente.
In un successivo nostro articolo esporremo un’altra teoria circa il trend negativo attraversato dai vettori di bandiera nazionali che non si contrappone, ma si integra, a quanto esposto in questo intervento.

Antonio Bordoni

(1)    Il Sole-24Ore, 8 gennaio 2005, “Le carte vincenti dell’economia”
(2)    “Resta al palo il sistema-paese” , Il Messaggero, 13 gennaio 2005.
(3)    Air Press, 7 giugno 2004, pagg 957 e seg.
(4)    Air Transport World, June 2004, “Iberia reborn” pagg. 22 e seg
(5)    Il Sole 24 Ore, 20 gennaio 2005, “Esempi spagnoli e autobus di Trieste”.