“Successo”; “soddisfazione” ; “svolta” : davvero ormai del pudore rimane ben poca traccia.
Il 23 ottobre scorso quando governo, confindustria e sindacati hanno firmato l’accordo sul TFR, giornali e telegiornali hanno fatto la gara sull’uso dell’aggettivo più roboante, per descrivere la portata dell’avvenuta intesa.
Come spiegheremo, le cose non stanno proprio così, e per i lavoratori si tratta dell’ennesima batosta per le loro tasche e per il loro futuro.
Facciamo un “riassunto delle puntate precedenti” in quanto se non si ha chiara l’immagine di ciò che avveniva fino all’introduzione della riforma, non si può percepire in tutta la sua portata l’impatto delle novità introdotte.

La situazione prima della riforma

Tutti i lavoratori disponevano di due distinti strumenti su cui poter contare: il Trattamento Fine Rapporto Lavoro (TFR), e la pensione.
Il TFR, detto anche liquidazione, veniva corrisposto alla cessazione del rapporto di lavoro, e viene accantonato su base annuale sommando gli stipendi dell’anno e dividendo il loro totale per 13,5
In termini tecnici si tratta in pratica di un salario differito, e l’accantonamento era solo figurativo, in quanto pur riportando la cifra a bilancio, di fatto gli importi rimanevano sul conto corrente dell’azienda.
Se la liquidazione quindi viene percepita nel momento in cui cessa il rapporto di lavoro, ben differente era il percorso della pensione.
Quest’ultima si avvale di un contributo mensile trattenuto sulla busta paga del dipendente (solitamente 8,89%), con l’aggiunta di un sostanzioso contributo, anch’esso mensile, a carico dell’azienda che si aggira intorno al 28% della contribuzione. La somma delle due percentuali vengono versate mensilmente all’Inps, e tramite esse veniva a costruirsi la pensione che il dipendente avrebbe poi percepito al momento in cui maturavano i tempi, tenendo conto dell’età anagrafica e del numero degli anni dei versamenti.
Si trattava quindi di due ben distinti strumenti cui il lavoratore poteva contare. Il primo copriva i momenti delicati di transizione fra un impiego e l’altro, il secondo atto ad assicurarsi una tranquilla “terza età”.

Nascono i primi problemi di cassa pensionistica

Sul chiudersi degli anni ’80 per i dipendenti che avevano iniziato a lavorare nell’immediato dopoguerra, maturarono le condizioni per richiedere l’erogazione del trattamento pensionistico.
In pratica l’Inps dopo aver incassato per 35 anni quelle percentuali di cui sopra, avrebbe dovuto iniziare a restituire quanto spettante per legge ai lavoratori. E’ in questo periodo che inizia una commedia a dir poco deprecabile.
Guarda caso, ci si accorse che dopotutto non era giusto andare in pensione “così presto”; furono varate “le finestre” per posticipare per quanto possibile il momento dell’erogazione; si arrivò a varare una legge in base alla quale, chi maturava il diritto pensionistico, nel caso  avesse continuato a lavorare,  avrebbe visto il suo stipendio aumentare (il cosiddetto “superbonus”)…si fece di tutto insomma per cercare di posporre il pagamento di quanto spettante. Ma il particolare più irritante di tutti, fu quello di far circolare la notizia che le pensioni di questi dipendenti le avrebbero dovute pagare i giovani con le trattenute sui loro stipendi: una enorme bugia dal momento che questi dipendenti con i loro trentacinque anni di versamenti – da tutti ben conosciuti come fra i più alti del mondo – la loro pensione se la erano strapagata abbondantemente.
La verità piuttosto risiedeva altrove, ed era evidentemente che con questi fondi tutto si era fatto, fuorché pensare alle pensioni che prima o poi, si sapeva, avrebbero iniziato a maturare.

Perché non usare il TFR?

Nel frattempo la globalizzazione avanzava, e qualcuno deve essersi reso conto che con queste percentuali a carico delle nostre aziende, quest’ultime non avrebbero potuto assolutamente reggere il confronto con le società concorrenti straniere le quali, in quanto non gravate di tale fardello, potevano immettere sul mercato prodotti a prezzo più basso. Nasce così il termine “cuneo” di cui tanto oggi si sente parlare; con la riduzione del cuneo infatti si intende abbattere gli oneri contributivi e fiscali che rendono le aziende italiane non competitive nel contesto internazionale.
La riforma previdenziale non era più differibile, ma questa si sarebbe dovuta attuare senza aumentare ulteriormente le aliquote contributive, sia a carico dei dipendenti come delle imprese. Ed ecco allora venir fuori l’idea di costituire i fondi pensionistici usando il Trattamento Fine Rapporto.
Una tale soluzione se pur evitava di mettere mano alle aliquote, va però ad intaccare un qualcosa che apparteneva pur sempre ai dipendenti.
Rammentato quanto sopra, in cosa consiste il tanto decantato “grande successo” alla fine ottenuto con la firma dell’accordo? E’ il vecchio escamotage di aver aperto la trattativa affermando che la nuova norma si sarebbe applicata alle aziende di dimensioni dai 10 dipendenti in su ed aver, alla fine, spuntato che si sarebbe invece applicata “solo” a quelle dai 50 in su. Ma la sostanza sul contenuto, ossia il fatto che, tutto o parte del TFR, sarebbe stato deviato dalla liquidazione alla costituzione dei fondi integrativi pensionistici, rimane assolutamente invariata.
Non solo, ma per la cronaca dobbiamo pure ricordare che anche senza attendere decreti legge o riforme, nulla impediva ai dipendenti, di farsi una polizza integrativa pensionistica per proprio conto, in aggiunta alla pensione obbligatoria Inps. Quindi, in buona sostanza, tutta la novità consiste esclusivamente nel fatto che ora lo Stato intende usare la liquidazione (soldi dei lavoratori) per costituire i fondi pensione.
E torniamo così al punto focale dell’intera vicenda: poiché con le polizze assicurative “libere” ognuno si sarebbe scelta la sua compagnia privata, ma non certo l’Inps, con questo nuovo indirizzo normativo lo Stato è sicuro che parte del TFR confluirà alle casse dell’Inps. Emblematica quanto inquietante, una dichiarazione attribuita a Montezemolo all’indomani della firma dell’accordo: le risorse che scaturiranno dal trasferimento del Tfr all’Inps dovranno essere utilizzate per finanziare le infrastrutture urgenti e indispensabili per il paese” (Il Sole 24 Ore, 25 ottobre 2006).

Dal 1° Gennaio 2007

Avendo chiaro lo scenario che ci lasciamo alle spalle, vediamo ora cosa accadrà in pratica dal prossimo gennaio 2007.

La riforma non riguarda il TFR maturato nel passato; ma solo quello che deve ancora maturare (TFR maturando).

Per le aziende con meno di 50 dipendenti, il personale ha la possibilità – se così vuole- di versare a un Fondo Pensione il TFR maturando. Se di parere contrario la quota non andrà all’Inps ma resterà in azienda.
Per le aziende con più di 50 dipendenti, in caso di scelta tacita, il dipendente verserà al fondo pensione di categoria il 100% della quota finora confluita nel TFR. Chi invece non vorrà destinare il suo TFR allo strumento di previdenza complementare, deve farne esplicita richiesta, e la sua quota – proprio perché non destinata a fondi specifici – confluirà all’Inps. In pratica avverrà che tutte le imprese, con più di 50 dipendenti, dovranno destinare all’Inps i fondi non affluiti alla previdenza integrativa.
Con la precisazione che per tale opzione varrà la regola del “silenzio/assenso” volendo con ciò significare che per coloro i quali nei sei mesi iniziali (Gennaio-Giugno 2007) non esprimeranno alcun parere, il TFR andrà automaticamente ai Fondi pensione.

In particolare l’accordo prevede che tutto il TFR che resterà alle aziende con più di 50 dipendenti verrà trasferito a un fondo speciale della Tesoreria istituito presso l’Inps.
Per tutte le aziende che perderanno la gestione del TFR, sia che questo vada ai fondi pensione, sia che questo al fondo speciale Inps, scatteranno le compensazioni sulla riduzione del cuneo fiscale.

Quello che appare chiaro da tutta questa manovra, è che il Trattamento Fine Rapporto Lavoro, che rimaneva nelle casse delle aziende, verrà per buona parte messo in circolazione: le previsioni parlano di due terzi fuori, un terzo dentro. Queste le cifre delle stime:

Quota complessiva  del TFR sul tavolo: 18.933 miliardi di euro;

▪ 6915 miliardi pari al 36,6% dovrebbero andare ai fondi pensione;
▪ 6009 miliardi pari al 31,7% dovrebbero andare al fondo speciale Inps;
▪ 6009 miliardi pari al 31,7% dovrebbero rimanere nelle casse delle aziende.

La domanda che dovrebbe sorgere spontanea è quanto sia opportuno togliere liquidità alle nostre aziende, quando tutti concordano sul fatto che esse non attraversano un momento facile, e ciò di cui abbisogna il paese è appunto la ripresa del mondo produttivo. E qui subentra il solito gioco del togli e dai, nel senso che quello che ti tolgo con il Tfr  ti permetto di compensarlo con la riduzione del peso fiscale. Alla fine prevalgono sempre le scelte più complicate e tortuose.

I nodi da sciogliere

I particolari operativi si conosceranno meglio con le circolari ministeriali che sicuramente usciranno da qui al 31 dicembre, e a quel punto si potranno fornire suggerimenti più mirati. In attesa quindi di tornare sull’argomento in uno dei prossimi numeri, mettiamo in luce alcuni aspetti aggiuntivi..
Il decollo effettivo della previdenza integrativa è indubbiamente legato anche all’aspetto fiscale. A fronte di un incremento previsto del 20 per cento sulla tassazione generale delle rendite finanziarie, bisognerà vedere se il fisco si accontenterà di lasciare all’11% l’aliquota attualmente prevista per la tassazione sui rendimenti annui delle forme pensionistiche.
E’ un nodo da sciogliere che sicuramente influirà non poco sulle scelte, e a cui i lavoratori faranno bene a prestare attenzione.
Altro punto delicato è quello dei tempi ristretti. C’è pertanto chi suggerisce di far partire le decisioni operative, ossia i trasferimenti, soltanto a partire dal settimo mese, cioè da luglio 2007, in modo tale da sfruttare in pieno il semestre di silenzio/assenso previsto dalla normativa. In tal modo ogni partecipante (azienda, lavoratori, promotori) avrebbe più tempo per operare al meglio.
Quando tutto sarà chiaro poi, a fare la differenza nella scelta fra le varie opzioni disponibili sarà il fattore età del lavoratore.
A tal proposito, ad esempio, già possiamo anticipare che per quei lavoratori a cui mancano pochi anni per andare in pensione, conviene senz’altro lasciare il TFR all’interno dell’azienda, ossia usare il TFR  come liquidazione alla cessazione del rapporto. E’ per tutti gli altri, quindi soprattutto i giovani, che si porrà il dilemma della scelta.

Antonio Bordoni