Nel nostro libro “Dagli imperi dei cieli agli imperi degli scali” abbiamo voluto mettere in evidenza il ruolo non più passivo detenuto dagli aeroporti e la loro volontà di incentivare e veder aumentare il traffico, piuttosto che stare alla finestra attendendo nuovi clienti. È una politica divenuta abituale da quando la privatizzazione è entrata nel settore aeroportuale. Ciò ha significato che lo scalo, al pari dell’aerolinea, ha tutto l’interesse a veder aumentare il numero dei passeggeri che transitano in esso, ma ovviamente per raggiungere questo obiettivo bisogna in primo luogo assicurarsi che vi siano vettori disposti ad atterrare in quell’aeroporto. Per quanto possa apparire insolito, abbiamo letto di scali che prima hanno aperto i battenti e poi si sono messi alla disperata ricerca di aerolinee che volessero aprire un qualche servizio su di essi. Così come può apparire strano leggere di bandi lanciati da aeroporti, di nuovo indirizzati alle aerolinee, per sollecitarle all’apertura di nuovi servizi. È un ribaltamento di ruoli al quale è difficile abituarsi. L’aeroporto è il luogo ove arrivano e partono i voli delle compagnie aeree; dovrebbero essere quest’ultime che si danno da fare per scoprire se atterrare in un determinato scalo comporta il procurarsi quel traffico con cui riempire i posti dei velivoli. E invece avviene che gli aeroporti oggigiorno si danno da fare più delle aerolinee per catturare passeggeri. Nel caso Malpensa-Alitalia è accaduto che il vettore non voleva aprire determinati collegamenti intercontinentali che invece “Malpensa” reclamava. In questo esempio appare con tutta evidenza l’inversione dei ruoli che si è venuta a determinare. Ma così come si stanno evolvendo le cose nel campo dei trattati che definiscono i collegamenti aerei, vi sono novità che sembrano offrire nuove prospettive a favore degli aeroporti. Il 30 marzo 2008 è stata una data decisamente importante per il trasporto aereo commerciale, anche se pochi hanno sottolineato l’avvenimento. In quella data è entrato in vigore il primo accordo aereo commerciale tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti; un esempio di open skies treaty. L’accordo in pratica unifica e riunisce i singoli bilaterali siglati da ognuno dei 27 stati UE con gli Stati Uniti e dietro questa semplice notizia vi sono oltre quattro anni di negoziati che si sono conclusi a Bruxelles il 3 marzo 2007 con la successiva firma a Washington avvenuta il 30 aprile 2007. Nuovi orizzonti ora sono disponibili per le compagnie aeree e per gli scali. Quando nell’anno 2004 Air France e Klm annunciarono il loro merger, una delle prime delicate questioni che si pose fu quella relativa al mantenimento dei diritti di traffico derivanti dagli accordi bilaterali, siglati dal governo olandese a favore di Klm, tenendo conto che quest’ultima di fatto veniva acquisita nell’orbita del vettore francese. Fu un gioco d’azzardo nel senso che l’acquisizione venne portata avanti puntando sul fatto che quanto prima gli accordi bilaterali stipulati dai singoli membri UE sarebbero stati sostituiti da accordi pan-europei nei confronti delle Nazioni extra-UE. E così è stato. Il fatto che questo primo accordo sia stato concluso con una controparte rappresentativa di una delle direttrici più lucrose del traffico aereo, quella del Nord Atlantico è, anche questo, un significativo successo del nuovo capitolo dell’aviazione civile. Ma non è tutto oro ciò che luccica. Al di la delle mirabolanti cifre che i survey puntualmente in occasioni come queste sono soliti “sparare” come 3 milioni di passeggeri in più solo per quest’anno, 26 milioni nei prossimi cinque anni, passeggeri che risparmierebbero nello stesso periodo dai 6 ai 12 miliardi di euro, 72.000 nuovi posti di lavoro che si creerebbero, rimane il nodo saturazione aeroportuale, per non citare il fatto poi che molti di quei soldi che si dovrebbero risparmiare sulle tariffe abbassate grazie all’aumentata concorrenza, saranno dirottati sul versante delle tasse corollarie al biglietto aereo la cui lievitazione sembra non conoscere sosta alcuna.

IL MERCATO UE-USA NEL 2007 (dati AEA)

  • Passeggeri interessati : 55 milioni ;
  • 385 voli giornalieri su entrambe le direzioni ;
  • 235 voli senza scalo (city-pairs) ;
  • 45 aerolinee interessate di cui 8 statunitensi, 26 UE, le rimanenti 11 di altri paesi ;
  • sul fronte Usa sono serviti 32 scali, su quello europeo 53 aeroporti di 19 nazioni : delle 19 nazioni europee, 16 già disponevano di accordi open skies
  • la direttrice più consistente è rappresentata da Regno Unito-Stati Uniti (40% circa dell’intero traffico)

Come avvertivamo anche gli aeroporti sono interessati a queste innovazioni. In teoria, diciamo in teoria perché all’atto pratico bisogna poi vedere chi realmente vorrà svolgere tali servizi, con un accordo del genere la Lufthansa potrebbe ad esempio attivare nuovi collegamenti da Heathrow su destinazioni Usa; cosa che per il momento non è affatto intenzionata a fare nemmeno disponendo del controllo del 30% del vettore britannico bmi, controllo che gli permetterebbe di trovare slot liberi per lo scopo. Fra i pochi esempi di aerolinee disposte ad attivare collegamenti fuori dai propri hub naturali vi è l’Air France che sarebbe intenzionata a svolgere un Heathrow- Los Angeles con Boeing 777, ma il condizionale è ancora d’obbligo. La possibilità più intrigante fornita da questi accordi è che le compagnie UE possono attivare collegamenti da “casa altrui” su paesi terzi, come appunto abbiamo dimostrato con l’esempio Lufthansa-Heathrow. E ovviamente lo stesso discorso vale, all’inverso, per le compagnie a stelle e strisce. Per tutti quegli scali che hanno spazio da offrire ciò apre nuovi orizzonti, anche se con questo specifico accordo le nuove linee sono limitate al traffico con gli Usa. L’American Airlines, pur ammettendo che l’accordo riguarderà in prima battuta lo scalo londinese di Heathrow, è pronta a lanciare un secondo volo giornaliero tra JFK e Stansted, mentre è già pronto per la corrente stagione estiva il lancio del JFK-Malpensa. Lo scalo milanese, sotto la spinta della defezione di Alitalia, in varie occasioni aveva sollecitato la possibilità di disporre di accordi più liberi affinché le compagnie aeree che volessero aprire collegamenti dai suoi aeroporti non fossero state ostacolate da impedimenti burocratici dovuti ad accordi bilaterali tuttora vigenti. Ebbene l’accordo open skies UE-Usa è una prima risposta a questa richiesta. Si allargheranno questi accordi ad altri continenti? Probabilmente si, ma non in tempi brevi. Tutto dipende dalla Commissione Europea e dalla volontà delle altre nazioni di sottoscriverli. Di certo mettendoci nell’ottica dei paesi extra-UE, minore è la “portata” della nazione, minore a nostro avviso è la voglia di finalizzare questi accordi. Si tenga presente infatti che una sua sottoscrizione significa per l’altrui nazione la possibilità per tutti i vettori UE di attivare collegamenti su quella nazione non solo dai loro hub naturali ma anche da ogni altro Stato UE. Da parte sua il vettore di bandiera (o i vettori di bandiera, se più di uno) di quella nazione potrebbe essere libero di scendere su qualsivoglia scalo comunitario, ma comunque solo provenendo dalla propria nazione. Il particolare delicato di questi accordi è che essi hanno origine da un soggetto – la UE – che di fatto significa più Stati e più aeroporti, mentre la controparte non rappresenta a sua volta una comunità di Stati , ma una singola Nazione. Da quel che è dato sapere, non risultano in corso, in altre parti del globo, fenomeni di aggregazione come quello che ha portato alla nascita del cosiddetto Mercato Comune Europeo. E non è certo un caso che la Commissione Europea per questo suo primo “parto” ha avuto quale controparte un Paese confederato a più Stati, con centinaia di aeroporti aperti al traffico commerciale, con più compagnie aeree: un caso decisamente unico che non si riscontra in nessun altro Stato del mondo.

Antonio Bordoni