Di Antonella Pino D’Astore

Quando la vita è scandita dal ciclo del sole, della luna e delle stelle, quando ogni alba è una festa, ogni tramonto è una celebrazione, l’uomo finalmente ricorda le origini dell’umanità, sente il richiamo ancestrale degli elementi che lo hanno generato: terra, sabbia, roccia, vento, acqua. Nella notte dell’emisfero australe, la costellazione dello Scorpione è la più nottambula, quella del Cancro va a letto presto, la Croce del Sud veglia sull’umanità, Giove mostra i suoi satelliti.

In Namibia il silenzio è sconvolgente, si è quasi impreparati, ma è pur sempre una forma di comunicazione che parla direttamente all’anima dell’uomo.Parla di forza della natura, animali liberi e selvaggi, popoli atavici.

Kulala, in lingua Ovambo, significa dormire

Il campo tendato di Little Kulala è situato sul letto prosciugato del fiume Auab; gli scheletri delle acacie sono solo un ricordo del terreno su cui un tempo scorreva l’acqua. Little Kulala, in una riserva privata vicina al Soussuvlei, dista 300 chilometri dalla capitale della Namibia, Windhoek, circa quattro ore di viaggio tra la scarpata montuosa del Deserto Namib a nord e ad est, e le dune ad ovest.

Colore, forma, nutrimento, dinamicità: qui la vita è legata ad un universo di sabbia, un mare di dune, dall’Orange al Kuiseb River.

Il colore varia con il trascorrere del giorno: all’alba le dune sono crema e arancio; al tramonto la sabbia s’infuoca è diventa rosso-viola.

Un leggero vento modifica la cresta e la sabbia cade lungo i pendii: è così che si accumulano le particelle vegetali e i detriti animali, magra fonte alimentare per gli abitanti e per tutte le forme di vita esistente sulle dune.

Nel deserto del Namib, nella parte orientale e nella zona di Soussuvlei, le dune paraboliche o multicicliche, sono le più stabili e anche le più ricche di vegetazione.

Più ad ovest, verso l’Oceano Atlantico, con i venti che soffiano da sud-ovest, la sabbia si dispone in dune trasversali, lunghe, strette e lineari.

In estate, quando i protagonisti sono i venti meridionali, enormi increspature di sabbia caratterizzano la zona di Homeb, nel Namib Desert Park. Le stelle brillano anche di giorno: sono fatte di sabbia e hanno crinali multipli perché i venti spirano da ogni direzione. Le dune più piccole, a collinette, si dispongono sulle distese pianeggianti vicino alle fonti d’acqua; i ciuffetti d’erba sembrano non avere radici.

I “cerchi di fate” tracciati sul terreno sabbioso si prestano a varie spiegazioni scientifiche e no.

Per alcuni, in questi strani circoli un tempo cresceva una pianta, per i più fantasiosi sono le tracce lasciate dai dischi volanti; ma per la guida locale è una sorta di fungo del terreno che impedisce l’attecchirsi della vegetazione.

La sera arriva presto e nel campo Little Kulala, nel rilassante lounge, alla fievole luce dei lumi ad olio e delle candele, i namibiani raccontano il segreto della vita delle Dune di Namib: l’atmosfera si fa sempre più avvolgente e universale, mentre il cielo è solcato da scie luminosissime di stelle cadenti.

Di notte la corrente fredda del Benguela, proveniente dall’Oceano Atlantico, incontra l’aria secca del deserto, origina la nebbia mattutina e l’umidità che favorisce la vita dell’ecosistema.

Il miracolo della vita continua anche sulle coste dell’Oceano, dove il Benguela, ricco d’azoto, favorisce colonie di plancton, fonte di cibo per gli uccelli e i mammiferi marini della costa.

Durante il giorno la sabbia trattiene il calore e crea un caldo rifugio nella fredda notte desertica per coleotteri, scarafaggi, lucertole, serpenti, ragni e scorpioni.

Anche gli struzzi, le zebre, i gemsbok, gli springbok, le manguste, gli scoiattoli di terra, lo sciacallo, il caracal, la iena bruna, abitano le pianure ghiaiose; durante il giorno si avvicinano al lodge di Little Kulala per abbeverarsi alla pozza d’acqua del campo.

L’alba lentamente colora le dune di rosa albicocca: Big Mummy e Big Daddy, svettano alte e imponenti.

Non si può resistere alla piacevole sensazione di rotolare giù, lungo i soffici pendii: quasi dispiace rovinare la raffinata geometria dell’increspatura delle rosse onde sabbiose.

Il paesaggio diventa lunare e spettrale a Deadvlei, una zona di Soussuvlei, con scheletrici tronchi d’acacie in una secca piana.

In questo territorio la pioggia cade per pochi minuti, ma a volte si attende per anni; quando il fiume Tsauchab scorre fino a raggiungere la vallata nella Hiddenvlei, orici, antilopi saltanti e struzzi si nutrono di Nara, un frutto simile al melone ricco d’elementi nutritivi e di liquido.

La sconfinata distesa del Namib si apre sul Sesriem Canyon, che con le sue ripide pareti offre fresca ombra per uccelli, animali e piante.

La leggenda dice che i primi visitatori raccogliessero l’acqua dal fiume unendo sei cinghie, “riems” in lingua Afrikaans, dando così il nome al Canyon ormai prosciugato.

Damaraland: sulle tracce degli elefanti

In Namibia piccoli aerei Cessna sorvolano vasti territori, e dall’alto è più emozionante assistere al cambiamento di scenario.

L e dolci ondulazioni delle dune degradano improvvisamente sulla costa dell’Oceano: i raggi del sole creano giochi di luce argentei.

I relitti delle navi del fine ottocento giacciono, spettrali, incagliati sul fondo sabbioso: Skeleton Coast, dove un tempo il mare bagnava ciò che adesso è solo zona desertica.

Come villaggi fantasma, qua e là, si intravedono avamposti con case e mezzi di trasporto abbandonati da temerari cercatori di diamanti. Poi, d’un tratto, ancora la vita: le chiassose otarie giocano tra i gelidi flutti dell’Atlantico. La nebbia rende ancora più inquietante questo angolo di Oceano, che sembra scomparire avvolto nel mistero.

Swakopmund, piccola e intima, riporta alla realtà: fondata nel 1892 durante il periodo della colonia tedesca, la cittadina fu luogo di ritrovo per pescatori e mercanti europei.

Tra negozi, alberghi e vita cittadina, ci si sente un po’ disorientati dopo l’esperienza forte del deserto.

È solo una breve pausa prima di tornare a stretto contatto con la natura.

Una gita in barca permette incontri ravvicinati con i curiosi pellicani e i delfini giocherelloni, mentre un’otaria salta sulla barca: vanitosa si lascia fotografare e accetta sardine per ricompensa. Ancora un volo in Cessna e tra vasti monti e vallate, vicino al letto del fiume Huab, in una zona semidesertica, si materializza Damaraland.

La comunità etnica dei Damara accoglie il visitatore nel campo formato da otto grandi tende con bagno e veranda in un panorama stupendo.

Rosy, di etnia Damara, è la prima donna guida esperta in safari alla scoperta degli elefanti. Al mattino presto parte la spedizione alla ricerca degli elefanti: non è facile, ma Rosy segue e riconosce le tracce lasciate dai lenti pachiderma. All’improvviso, decine di elefanti vagano liberamente sulle colline tra la vegetazione a macchia: il silenzio è d’obbligo, si ascolta solo la natura.

Tra cespugli di euforbia e di eucalipto, rocce di arenaria e quarzo, l’avventura continua con il trekking, fino a raggiungere il villaggio dei Damara.

Durante l’escursione, l’aquila vola bassa, l’orice pascola tranquillo, il passero tessitore continua il suo lavoro indisturbato: non è difficile far parte integrante della natura.

La lingua parlata da due giovani damara è veramente singolare: la lingua schiocca tra i denti ed emette suoni come se prodotti da insoliti strumenti musicali.

L’età della pietra nelle pitture rupestri di Twyfelfontein

Gli artisti erano nomadi, dediti alla caccia e alla raccolta: le prime comunità namibiane dell’età della pietra. I loro diretti discendenti, i Boscimani e i Damara, credevano che incidendo nella pietra arenaria scene di caccia, potevano preservavano gli animali dall’estinzione.

I Boscimani usavano frecce intrise di veleno e imprimevano sulla roccia le impronte degli animali uccisi. Usavano il sangue degli animali per ottenere il colore ocra e il bianco d’uovo per fissare i dipinti sulla roccia, sun rock.

Il colore ocra è un segno caratteristico della pelle degli Himba, un’etnia della Namibia nordoccidentale che per proteggere la pelle dal sole la cosparge con una mistura di argilla ferrosa e burro di capra.

Le comunità Himba vivono in capanne rotonde, ricoperte di argilla e sterco di animale.

Gli Herrero erano molto simili agli Himba ma durante il colonialismo, i dominatori europei imposero a questa etnia un abbigliamento in stile vittoriano, molto colorato e ricco.

Anche se il territorio della Namibia è vasto tre volte l’Italia, gli abitanti sono poco più di due milioni.

Ad un territorio così vasto corrisponde una popolazione molto varia in etnia che si concentra soprattutto nella capitale Windhoek e nella cittadina di

Swakopmund.

Le numerose etnie indigene, gli Herrero, gli Himba, i Nama, gli Ovambo, i Kavango, i Boscimani, i Damara convivono in armonia, pacificamente, perfettamente integrati con la vastità e la varietà della natura in Namibia.

Antonella Pino d’Astore