“ROMACCADEMIA. Un secolo d’arte da Sartorio a Scialoja”: dal 21 ottobre al 21 novembre 2010 il Complesso del Vittoriano ospita una mostra che vuole ricostruire la storia di questa grande e gloriosa Accademia nelle sue tappe fondamentali, attraverso un percorso espositivo articolato sulle figure più rilevanti di artisti e maestri che vi insegnarono. Tra gli altri, Sartorio, Cambellotti, Guttuso, Maccari, Fazzini, Monachesi, Montanarini, Mafai, Ceroli e Scialoja.
Gli artisti-maestri selezionati sono una cinquantina con circa 110 opere tra dipinti, progetti decorativi, acquerelli, disegni, incisioni e sculture, provenienti da musei, collezioni private e da eredi di artisti, in massima parte conservati in sedi romane, con molti inediti di grande qualità.
L’Accademia di Belle Arti di Roma, presieduta da Cesare Romiti e diretta da Gerardo Lo Russo, promuove la mostra realizzata grazie al contributo dell’Assessorato all’Istruzione, diritto allo studio e formazione della Regione Lazio e della Direzione Generale per l’Alta Formazione artistica e musicale del Ministero dell’Istruzione e dell’Università.
La mostra, curata da Tiziana D’Acchille, Anna Maria Damigella e Gabriele Simongini, è organizzata e realizzata da Comunicare Organizzando di Alessandro Nicosia e sarà inaugurata mercoledì 20 ottobre alle ore 18.30 presso il Complesso del Vittoriano.
La mostra
Se è vero che oggi, da più parti della società civile, si sta levando con decisione la richiesta di una maggiore attenzione al nostro sistema didattico, questa mostra può offrire proprio l’esempio di quali risultati d’eccellenza e di quanti grandi insegnanti di qualità abbiano arricchito un’istituzione di alta formazione artistica come l’Accademia di Belle Arti di Roma lungo un secolo.
Come scrive Gabriele Simongini nel suo saggio in catalogo, ciò che fa la forza di un’Accademia nel tempo è “quella trasmissione ininterrotta di esperienze che trova il suo emblema anche nei tanti studenti che poi sono diventati docenti nello stesso istituto nonché artisti significativi (da Mario Mafai a Marcello Avenali e Lorenzo Guerrini, solo per ricordarne tre). Come ha notato Alfred Kroeber, uno dei fondatori dell’antropologia culturale, ‘una caratteristica generale della cultura è la sua apertura, la sua ricettività: la cultura dell’oggi è sempre in gran parte ricevuta dall’ieri. Questo è quel che significa tradizione o trasmissione, è il passaggio, la “consegna”, da una generazione all’altra.’ Ancora e tanto più oggi le Accademie di Belle Arti rappresentano questo valore di continuità in contrapposizione ad una “cultura” del nuovo ad ogni costo fondata sulla scissione tra l’operare dell’artista e il sapere accumulato da secoli di storia dell’arte.”
La mostra è articolata in tre sezioni: 1) 1874-1936 – “Dallo storicismo alle correnti del Novecento”, a cura di Anna Maria Damigella; 2): 1934-1975 c. – “La linea figurativa”, a cura di Tiziana D’Acchille; 3) 1945-1975 – “Astrattismo, realismo e dintorni”, a cura di Gabriele Simongini.
Nella sezione di apertura della mostra un “omaggio” è dedicato a Filippo Prosperi, che del Regio Istituto di Belle Arti (la denominazione Accademia subentra negli anni venti) fu direttore dall’anno in cui iniziò a funzionare, il 1874, fino al 1901, riqualificando l’insegnamento del disegno e promuovendo il rinnovamento dei criteri didattici. Artista quasi dimenticato, è documentato da un gruppo di inediti e bellissimi grandi disegni per decorazioni. A lui si accompagnano i personaggi che ebbero una decisiva influenza all’interno dell’Accademia, Ettore Ferrari, autore dei monumenti romani a Giordano Bruno e a Giuseppe Mazzini, che fu per i giovani scultori una figura di riferimento fino al 1924, le cui direttive e indirizzi furono condivisi da Sartorio, professore di pittura, da Bargellini, insegnante di Decorazione, da Cambellotti, i quali riuscirono a imprimere il segno del loro magistero sui giovani, creando delle vere e proprie scuole. Altri maestri – Vagnetti, Coromaldi, Grassi, Prini, Paschetto – garantirono, nel corso delle prime due decadi del Novecento, un ponte tra la Scuola e le correnti moderne (simbolismo, liberty, divisionismo), e la partecipazione a eventi importanti dell’arte nella capitale, dalle mostre per le celebrazioni del Cinquantenario dell’Unità nel 1911 alle grandi decorazioni pubbliche. Tali artisti sono rappresentati con opere di rilievo, in massima parte mai esposte: Sartorio con studi di grandi dimensioni per fregi, Bargellini con bozzetti decorativi, Duilio Cambellotti con sculture, Umberto Coromaldi e Giovanni Costantini con dipinti che furono ammirati alla I Biennale Romana nel 1921.
Questo ruolo forte, vario e complesso, dell’Accademia si mantenne durante il Ventennio, grazie agli artisti che furono chiamati a insegnarvi: Ferruccio Ferrazzi, che dal 1929 rinnovò la scuola di Decorazione pittorica orientandola verso il muralismo, De Carolis, Canonica, Zanelli, Calori, Prencipe, Calcagnadoro. La sezione contiene un bozzetto inedito per la decorazione del pavimento della sala del Mappamondo a Palazzo Venezia di Pietro D’Achiardi, che all’Accademia fu professore di storia dell’arte ma fu pure un ottimo pittore. La presenza nella seconda sezione di Cipriano Efisio Oppo, Carlo Siviero, Emilio Notte (rappresentato da due bellissime opere come “Deposizione” del 1924 e “L’allievo” del 1931), apre sui rapporti tra l’accademia e le tendenze artistiche e le nuove formule espositive romane.
Dalla metà degli anni quaranta e fino alla metà dei settanta, la mostra segue una opportuna e necessaria demarcazione, non priva però di intrecci, tra il solido orientamento figurativo aperto a stimoli diversi (Renato Guttuso, Mino Maccari, Franco Gentilini, Amerigo Bartoli, Alberto Ziveri, Pericle Fazzini, Emilio Greco, Venanzo Crocetti da una parte, solo per citare alcuni nomi) e la ricettiva sensibilità nei confronti delle correnti astratte ed informali: Umberto Mastroianni, Lorenzo Guerrini, Marcello Avenali, Sante Monachesi, Luigi Montanarini, Rolando Monti. Viene dato inoltre un particolare rilievo alla figura libera ed anticonformista di Mario Mafai, prima antinovecentista e realista e poi originale astrattista: il suo percorso è esemplificato da tre opere di periodi diversi come “Natura morta con peperoncini” (1948 circa), “Periferia (1953 circa), “Ciò che rimane è ancora possibile” (1959). Degna di nota è anche la presenza di uno dei maggiori protagonisti della “Scuola di Piazza del Popolo”, Mario Ceroli. Infine, la mostra polarizza l’attenzione su alcune figure capaci di proporre una didattica che prendeva ormai le distanze dai postulati “accademici” di partenza, Toti Scialoja in particolare, figura di maestro nel senso moderno del termine, rappresentato da tre opere quanto mai significative: “Speranze perdute” (1955), “Quattro interrotto” (1959), “Carbone” (1984). A dare conto dell’alta qualità del suo insegnamento basta ricordare che nel corso degli anni dalla sua Scuola sono usciti artisti del calibro di Jannis Kounellis, Pino Pascali, Giosetta Fioroni, fino agli esponenti della Scuola di San Lorenzo (Domenico Bianchi, Bruno Ceccobelli, Gianni Dessì, Nunzio, Marco Tirelli) e a Gregorio Botta.
Il catalogo, edito da Gangemi, conterrà le presentazioni istituzionali, i saggi critici dei curatori, le schede tecniche e le riproduzioni a colori di tutte le opere esposte, le biografie degli artisti.
Organizzazione generale e realizzazione: COMUNICARE ORGANIZZANDO
Catalogo: Gangem
Orario: tutti i giorni 9.30 –19.30. INGRESSO GRATUITO. Per informazioni: tel. 06/6780664.