Una intervista pubblicata sul quotidiano “La Repubblica” al presidente della Sea Guseppe Bonomi in data 10 ottobre scorso (1) avrebbe meritato ben altro risalto, rispetto a quanto in realtà avuto: si parla infatti di come stanno andando le cose sugli scali milanesi  anche dopo la ritirata di Alitalia. Sull’argomento, come tutti  ben sappiamo, si è snodato per anni un tormentone nazionale che vedeva Milano contrapporsi a Roma affinché l’Alitalia accentrasse la sua principale base su Malpensa piuttosto che Fiumicino.

Sull’argomento la stampa ha sguazzato per anni anche perché in campo -ora a favore dell’una, ora a favore dell’altra tesi- sono scesi in campo uomini politici di grosso calibro. In pratica l’argomento non è rimasto circoscritto al suo solo aspetto tecnico-aeronautico ma era diventato una questione di mero campanilismo.

Noi eravamo più volte intervenuti in proposito ricordando che la scelta delle rotte da operare e da dove farle originare era una questione di stretta competenza dell’aerolinea la quale doveva essere lasciata libera di scegliere senza pressioni esterne, di qualsiasi provenienza.

In particolare nel marzo 2008 (2) in concomitanza con la vendita in corso di Alitalia scrivevamo:

“Tutti sappiamo dopo quante traversie, rinvii e indecisionismi si è infine giunti alla decisione di mettere in vendita Alitalia. Della necessità di privatizzare il nostro vettore se ne parlava fin dagli anni ottanta, in pratica un quarto di secolo orsono. Quando finalmente ci si è decisi al grande passo, in maniera forzata e forzosa, si sono voluti sovrapporre i problemi di uno scalo alla legittima scelta decisionale dell’azienda di puntare verso un determinato partner e, non poteva essere altrimenti, di ridisegnare la geografia delle rotte.

I problemi di un aeroporto, di Malpensa come di qualsiasi altro, non possono e non devono interferire con le decisioni operative di un vettore. Ci scusiamo per la crudezza dei termini usati, ma crediamo davvero che se non si dicono le cose come stanno, non si esce più da questo tormentone nazionale.
Il Paese Italia e la sua principale aerolinea, tenuto conto della scarsità delle destinazioni intercontinentali oggi offerte, non possono lavorare su due hub: uno basta e avanza.
Differente è la situazione in Germania dove Monaco è la risposta alla saturazione di Francoforte che nel 2007 ha registrato 54.167.817 passeggeri in transito; Fiumicino e Malpensa insieme hanno movimentato lo scorso anno 56.829.000; Alitalia serve meno di venti destinazioni a lungo raggio, la Lufthansa un centinaio: se i numeri hanno un significato, bisogna essere coerenti con le affermazioni che si fanno.
Certo si può discutere del perché Roma invece di Milano, del perché Fiumicino e non Malpensa, ma questo lo deve decidere Alitalia, non uno dei due aeroporti che si contendono i voli dell’aerolinea.  Jean-Cyril Spinetta al sorgere delle prime levate di scudi l’ha detto senza mezzi termini:
“sono gli aeroporti a servire le esigenze delle aerolinee, qui sembra si voglia il contrario”.
Bisogna dare a ciascuno dei partecipanti il  ruolo istituzionale che loro compete. Non possono essere gli aeroporti che decidono dove una aerolinea deve porre la sua base. E’ possibilissimo che l’aerolinea nella sua autonoma scelta commetta un errore, potrebbe senz’altro accadere, ma il dovere dell’aeroporto “scartato” è quello di far presente i punti forti del suo prodotto, eventualmente insistere, ma non certo di costruirci un teorema di portata nazionale.”

In poche parole la richiesta di Milano era incoerente non perché il nord non disponesse delle potenzialità per raggiungere l’obiettivo, ma per le modalità con cui essa veniva proposta.

Un aeroporto non può limitarsi a dichiarare “voglio diventare un grande hub”: ai proclami bisogna far seguire le opportune mosse.

Una impresa aeroportuale è a tutti gli effetti una industria che vende un prodotto di cui le compagnie aeree sono i suoi potenziali acquirenti. Lo abbiamo già detto in altre occasioni: non si conoscono casi in cui chi produce e mette in vendita un prodotto esige con insistenza che un certo cliente lo compri. Queste sono appunto le errate modalità cui ci riferivamo quando criticavamo le prese di posizione di Milano nei confronti di Roma.

Ora finalmente a Milano si prende atto che se un aeroporto ha del traffico da vendere  le compagnie non mancano ad apparire, indipendentemente dalle scelte del vettore nazionale; anzi diremo di più: se una compagnia aerea straniera può venire in Italia, aprire i collegamenti senza avere, sulla stessa direttrice, la concorrenza del vettore “di bandiera” ha un motivo in più per non lasciarsi perdere la allettante opportunità.

Facciamo un esempio pratico. Ipotizziamo che un vettore pakistano voglia operare voli fra  Karachi e Francoforte, ebbene il servizio dovrà fare i conti con i collegamenti già attivi da parte di Lufthansa. Da noi invece la rete a lungo raggio di Alitalia è talmente striminzita che i vettori aerei di tanti Paesi stranieri possono venire in Italia senza avere il timore di doversi confrontare con il vettore di bandiera sullo stesso collegamento. Nell’economia del trasporto aereo il particolare non è affatto di poco conto.

“Oggi Malpensa opera su 88 destinazioni extra-Ue contro le 76 di quando c’era la Magliana” ha dichiarato Bonomi nell’intervista in questione. Noi non avevamo dubbi sul fatto che, una volta rinegoziati gli accordi bilaterali, gli scali milanesi avessero potuto trovare nuovi clienti ed è per questo motivo che abbiamo sempre esternato contrarietà all’assurda battaglia fra Malpensa e Fiumicino.

Ora un augurio: risoltasi (almeno così sembrerebbe) la disputa fra le piste degli scali aeroportuali, per favore non apriamone un’altra fra la pista di Monza e  quella di Roma-Eur sul fronte del Gran Premio di Formula 1.

  Antonio Bordoni

 

(1)La Repubblica-Affari & Finanza,11 ottobre 2010 “Bonomi: senza più Alitalia conti più sani e nuove linee”

(2)Travelling Interline “AZ-MXP due aspetti che andavano tenuti separati” 22 marzo 2008