di Antonio Bordoni.

Ci risiamo. Dai tempi di Noè, o giù di li, il periodo natalizio è stato sempre associato a freddo e gelo; ve le immaginate le cartoline di auguri con il sole e la spiaggia al posto del paesaggio innevato e del camino acceso? Eppure anche le condizioni climatiche che sono una caratteristica di questo periodo e che non possono di certo definirsi una anomalia, costituiscono motivo per montarci su un caso.

Aeroporti bloccati; trasporti ferroviari al rallentatore che –se e quando funzionano- non reggono l’urto della mole dei passeggeri che su di essi si riversano, molti dei quali provenienti da aeroporti chiusi; autostrade che vanno in tilt. Il particolare che colpisce su ciò che si legge e si sente non è costituito dalla diffusione di notizie del tutto legittime circa le migliaia di persone costrette a bivaccare negli scali o nelle stazioni, quanto piuttosto dal tono con cui le stesse vengono presentate.

Appare evidente che non sono pochi coloro che ritengono inaccettabile che nell’anno di grazia 2010 un aeroporto possa bloccarsi per le condizioni meteo e stessa cosa possa verificarsi per autostrade e trasporti ferroviari. La presunzione dell’uomo sui progressi raggiunti dalla tecnica e scienza non è certo prerogativa dei nostri giorni: ne è costellata l’intera storia dell’umanità e l’argomento che trattiamo costituisce un valido esempio rapportato ai nostri tempi.

Ora di questa critica possiamo distinguere due aspetti. E’ lecito e giusto lamentarsi, e magari richiedere pure rimborsi, se è venuto a mancare l’avvertimento preventivo che si sarebbe potuto  dare: per quale motivo ad esempio continuare a far immettere in una autostrada altri veicoli quando la situazione è già critica e insostenibile?

Ma andando nel campo del settore aereo é del tutto gratuito ed esagerato anche solo accostare ciò che  è accaduto in alcuni aeroporti europei con la situazione che si era venuta a creare mesi addietro per l’eruzione del vulcano islandese. Eppure un tale accostamento è stato fatto e poiché la gestione di quella crisi  suscitò accese critiche, è evidente che volerla riproporla anche per l’emergenza meteo significa voler creare una caso soffiando sul fuoco di chi già si trova con i nervi a fior di pelle per i disagi che ha passato.

Gli aeroporti e le aerolinee vivono facendo muovere i passeggeri, è da questa inarrestabile linfa che entrambi traggono il loro sostentamento. Ogni volta che per qualsiasi motivo questa corrente si ferma sono salassi economici per gli interessati e tutti noi sappiamo in che condizioni versano oggigiorno i vettori aerei.

Nel caso dell’eruzione vulcanica non le aerolinee, non gli aeroporti, ma il sistema aviazione si era fatto trovare impreparato in quanto mancavano valori ufficiali di riferimento circa la concentrazione di cenere in quota al di sopra della quale vietare i voli, e al di sotto delle quale invece operare. Diciamo che se proprio vogliamo trovare un capo espiatorio potremmo indicare l’ICAO. Ma che dire delle nevicate di questi giorni che hanno mandato in tilt i principali aeroporti del nord Europa? Un tale blocco rientra nell’accettabile o è giusto gridare allo scandalo?

Bisognerebbe partire avvertendo che per ammissione degli esperti meteo, e d’altra parte lo abbiamo potuto constatare tutti noi personalmente, anche quei paesi una volta famosi per il loro clima mite, oggi debbono affrontare eventi meteorologici estremi, volendo con ciò intendere –ad esempio- che in un lasso ristretto di tempo cade tanta pioggia quanto statisticamente ne sarebbe dovuta cadere in una settimana o più. Già accettando un tale presupposto vengono a decadere molte delle critiche rivolte ai gestori aeroportuali i quali debbono assicurare la operatività dei loro campi di aviazione.

A Londra Heathrow pur riconoscendo disagi e problemi, la BAA ha avvertito che sullo scalo è caduta in poche ore una quantità eccezionale di neve. Ora è evidente che a Londra, come ovunque altrove, i mezzi a disposizione tengono conto di quella che può essere una situazione entro la “media” :è assai improbabile che si trovi qualcuno disposto a investire nell’acquistare mezzi che serviranno solo per eventi che accadono sporadicamente.

Ma l’aspetto degli investimenti delle società di gestione aeroportuale ha fatto aprire un interessante dibattito circa quanto sia stato giusto privatizzare gli aeroporti. Sulla scia dei disagi di Heathrow il Financial Times ha sferrato un duro attacco alla gestione del principale scalo londinese, oggi controllato dalla spagnola Ferrovial,  mancando poco che venisse richiesta a gran voce la ri-nazionalizzazione. Il governo inglese si era offerto per inviare l’esercito a sgombrare la neve, ma alla BAA hanno respinto al mittente l’offerta. Per qualcuno Heathrow sta subendo gli effetti tipici di chi è vicino alla scadenza della concessione ed è disposto solo a effettuare investimenti marginali.

 Passata l’emergenza sappiamo bene quale sarà l’esito di questo dibattito: la privatizzazione degli aeroporti non si tocca; gli Stati non hanno né risorse finanziarie né competenze per riuscire  a mantenere le infrastrutture aeroportuali in linea con lo sviluppo dell’aviazione civile, lasciamo quindi tutto in mano ai privati.

Ma quest’ultimi battono cassa ai governi chiedendo l’applicazione di più alte fees che permettano loro di avere fondi per investire, e questi soldi non possono che venire dai passeggeri oppure in alternativa da sussidi statali, ricordando però che anche nel caso sia lo Stato a pagare, il relativo costo sarà recuperato con altre tasse sulla collettività.

Il cerchio qui si chiude. Privatizzazioni e deregulation che dovevano servire per dare al passeggero tariffe più basse e servizi migliori, stanno mostrando tutti i loro limiti ed anche se da una parte le tariffe aeree sono calate, dall’altra aumentano le charges e fees correlate all’emissione del biglietto. E in questa situazione udire che da Bruxelles ancora una volta partono strali contro aeroporti e aerolinee -anche per la neve che cade a Dicembre- siamo davvero al colmo della ridicolaggine.