Cercare di capire qualcosa sullo stato degli aeroporti italiani è davvero una ardua impresa. Come la corrente alternata, oggi si può leggere che ve ne sono troppi, domani qualcuno affermerà il contrario. I fautori di quest’ultima tesi, cifre alla mano, dimostrano che a fronte di 106 scali in Italia ce ne sono oltre 400 in Francia e oltre 200 nel Regno Unito, gli oppositori invece mettono l’accento sullo scarso traffico che contraddistingue oltre la metà dei nostri scali chiedendosi quanto sia opportuno aprirne altri e arrivando alla conclusione opposta; sinceramente c’è da rimanere confusi anche ricordando che frequentemente capita di leggere di dispute campanilistiche fra aeroporti, come ad esempio quella attualmente in corso fra pisani e fiorentini . Se si volesse cercare di capire qualcosa si deve ampliare l’orizzonte temporale e non si può non partire da lontano, da quando cioè gli scali sono stati privatizzati e come tali sono alla ricerca disperata di traffico e di utili. Certamente quando quello stesso scalo apparteneva alla classe militare aperto al traffico civile, questi problemi non si ponevano. Allora iniziamo a chiarire che se oggi ci troviamo in questo stato frenetico di caccia al vettore è anche per questo motivo, ovvero per la decisione presa da molti Stati (forse sarebbe più corretto dire tutti gli Stati) sulla privatizzazione degli aeroporti . Non è certo casuale se, poche settimane orsono nel Regno Unito, quando Heathrow è rimasto bloccato per le nevicate, si è aperto un ampio dibattito su quanto sia stato opportuno privatizzare gli aeroporti. La premessa per quanto ci porti lontano nel tempo era necessaria. Ora facciamo un passo avanti e notiamo come la deregulation abbia provocato la nascita di molti nuovi vettori i quali, nella maggior parte dei casi, si sono dedicati al medio-corto raggio. E’ noto infatti che di vettori concorrenziali sulle rotte long haul offerte da Lufthansa, Air France o British Airways vi è scarsa traccia, mentre ben differente è la situazione sui collegamenti continentali. Questo successivo passaggio ha significato che mentre è rimasto immutato il ruolo avuto dai pochi scali intercontinentali presenti in ogni Paese, molti enti locali –comuni, provincie e camere di commercio- si sono voluti cimentare nel ruolo di amministratori di quegli aeroporti che si trovavano un po’ ovunque sparsi nella penisola, ma che chiaramente non potevano che assurgere al ruolo di aeroporti locali. Questa scelta è stata favorita da due eventi concomitanti: da una parte gli Stati che dimettevano gli ex scali demaniali, dall’altra la nascita di nuove, numerose compagnie che desideravano aprire collegamenti con aeroporti “secondari”. Tutto ciò ha provocato fatti alquanto insoliti nel settore dell’aviazione civile facendo sì che oggi sia l’aeroporto che va alla ricerca delle compagnie aeree prima ancora che il vettore cerchi nuove destinazioni; l’aeroporto cioè da bene demaniale statico è divenuto una impresa industriale. Chiarito quanto sopra si potrà forse iniziare a capire perché oggi ci si occupa più di aeroporti che di aerolinee, aggiungendo inoltre che le ricadute occupazionali e di accessibilità turistica che può fornire un aeroporto al territorio di sua competenza sono un motivo eccellente per cimentarsi nell’impresa. Da quanto precede appare evidente che il fenomeno degli aeroporti che crescono è del tutto concreto e reale. Ma ciò non significa affatto che tutti gli scali aperti al traffico sono indispensabili; anzi possiamo affermare senza tema di smentite che proprio oggi che ci troviamo in questa situazione di deregulation aeroportuale, è più che mai sentita la necessità di una Autorità centrale pubblica che tramite un Piano nazionale elimini il superfluo e dia priorità agli scali individuati come primari. Quante volte abbiamo inteso che lungo la direttrice Torino-Venezia vi è una pista ogni 50 kilometri ? E quante volte appare chiaro che dietro l’annuncio di un nuovo scalo non vi è affatto la necessità di meglio servire l’aviazione civile, ma solo il problema politico di non fare dispiacere ai rappresentanti dei cittadini ora di quella, ora dell’altra provincia ? E’ un dato di fatto: se alcuni scali pur di avere compagnie aeree che scendono sulle loro piste debbono lanciare bandi pubblici o addirittura creare compagnie aeree “ad hoc” , i dubbi sul fatto che alcuni scali sono di troppo, non possono non sorgere. Dunque vi è la necessità di un piano nazionale aeroportuale il quale fra l’altro costituisce l’ennesima riprova che si può deregolare quanto si vuole ma poi alla fine si deve sempre tornare alla figura di un ente regolatore, di una cabina di regia che sovrasti le parti e le diriga. E ogni volta che si arriva a queste conclusioni tornano in mente i moniti di quanti avvertivano che l’aviazione civile aveva peculiarità tali che la deregolamentazione avrebbe fatto più danni che benefici. Da recenti indiscrezioni di stampa, in Italia questo Piano sembra essere in gestazione, ma vi è da augurarsi che esso sia realmente costruito in base alle esigenze dell’industria aerea e dei relativi bacini di utenza e non certo per limitare l’espansione di qualche scomodo, troppo invadente, vettore. Antonio Bordoni