L’argomento CO2 (diossido di carbonio) collegato ai “danni” che i motori aeronautici producono sull’ambiente, si sta surriscaldando. Ma volendo veramente andare in profondità della storia, si scoprono ipocrisie e qualunquismo da far rabbrividire. Si dovrebbe partire dalla constatazione che oggigiorno il trasporto aereo non ha più un mercato dell’usato come avveniva negli anni passati. Quando andavano di moda le compagnie charter per intenderci, vi era un mercato parallelo che vedeva le compagnie aeree di bandiera dismettere i vecchi aeromobili i quali venivano ceduti a compagnie a domanda, oppure in alternativa a vettori di Paesi emergenti.

Oggi un simile mercato è scomparso e tutte le compagnie aeree, siano esse regolari o low cost, quando devono ordinare nuovi aerei si rivolgono direttamente ai costruttori o alle compagnie di leasing.

Cosa significa ciò è facilmente intuibile: nessuno può più contestare alle aerolinee di volare con vecchie carrette che inquinano i nostri cieli; le flotte delle aerolinee, quelle europee in particolare, sono modernissime.

Ora se una compagnia dispone di aerei ultima generazione già questo particolare dovrebbe chiudere il discorso, anzi dovrebbe evitare di far partire qualsivoglia speculazione sull’argomento.

Eppure malgrado questo indiscutibile dato di fatto le dita puntate contro gli aerei continuano ad aumentare.

Spiegano i tecnici che i velivoli vanno a kerosene, un carburante di origine fossile e per questo motivo gli aerei commerciali generano 600 milioni di tonnellate di CO2 l’anno; essi inoltre rilasciano ossidi di azoto direttamente nella troposfera (la parte inferiore dell’atmosfera, sede dei fenomeni meteorologici), qui si ossidano nell’ozono troposferico che, a quell’altezza, funziona come potente gas serra.

Essi sono poi responsabili delle dense scie di vapore acqueo che, portando alla formazione di cirri, bloccano il calore all’interno dell’atmosfera. Uno studio della società “Atmosfair” di Berlino è arrivato a stilare una classifica delle compagnie che inquinano di più.

Lo studio è stato subito ripreso dalla stampa con titoli provocatori del tipo “Ma quanto inquina la tua compagnia? Berlino lo sa”.  Un fattore eloquente che pochi hanno messo in risalto è che fissate in sette le fasce d’inquinamento (A-G), lo studio mostra come nessuna compagnia aerea rientra nelle prime due fasce, ovvero in quelle più ecosostenibili; le compagnie “più virtuose” iniziano solo dalla terza fascia. Con che criterio viene stilata la graduatoria?

Precisa il rapporto: “efficient aircraft” e “highest seating density”.  Quindi più gli aerei sono affollati, migliore sarebbe l’impatto per l’ambiente.

Ma il capolavoro sull’ecosostenibilità del trasporto aereo, viene, ancora una volta, da Bruxelles con la sua recentissima normativa (EU emissions trading scheme) abbreviata EU-ETS, la quale in pratica crea un “mercato” sulle emissioni di CO2 causate dai velivoli commerciali. Tanto per darvi un’idea di cosa bolle in pentola: “Emissions trading is a market-based scheme for environmental improvement that allows participants to buy and sell emissions allowances, i.e. rights to emit a fixed amount of emissions per year.”

Ammettendo che per l’anno 2012 le Autorità fissino una quota di CO2 di un milione di tonnellate, se un’aerolinea emette nel 2012 “solo” 0.8 milioni di tonnellate, può vendere il valore di 0.2 tonnellate a un’altra aerolinea. Viceversa se quell’aerolinea emette, sempre nel 2012, 1,2 tonnellate, deve acquistare il diritto all’emissione delle 0,2 tonnellate in eccesso, da un’altra fonte (aerolinea, fabbrica ecc). Solo dopo aver proceduto all’acquisto, potrà emettere l’extra 0.2 tonn di CO2.

A grosse linee il meccanismo insomma funziona sulla base di una quantità standard di CO2 annualmente determinata; se si è sotto, si dispone di un credito, se si supera, si va a debito.

Ogni commento sulla tortuosità del provvedimento ci appare superfluo, e sia ben chiaro che affermando ciò non intendiamo minimamente prendere le difese ad oltranza delle aerolinee, quanto piuttosto evidenziare che ancora una volta si pensa di risolvere problemi ecologici ricorrendo a strumenti finanziari basati su contatori.

D’altra parte in un settore dove si è introdotta la “noise charge”, in quanto i motori fanno rumore, non può di certo costituire meraviglia se si mette il contatore al motore per vedere quanto CO2 fuoriesce e si procede all’ennesima forma di tassazione!

In realtà che il mezzo aereo fosse un mezzo inquinante non è una scoperta dei nostri giorni, lo si è sempre saputo e lo avrebbero dovuto sapere anche e soprattutto a Bruxelles.

Allora quando oggi ci vengono a raccontare che il traffico aereo è di gran lunga la fonte di emissioni di gas serra che cresce più in fretta, che esso è tra le minacce più gravi al già disastrato ambiente globale, la domanda che ogni cittadino di buon senso dovrebbe rivolgere a Bruxelles è la seguente: l’aumento esponenziale del traffico aereo non è forse la diretta conseguenza della deregulation aerea?

E la deregulation (che avrebbe dovuto servire a immettere nei cieli più concorrenza e che invece sta provocando l’oligopolio dei cieli) chi l’ha voluta? O meglio chi l’ha imposta d’autorità? Risposta: Bruxelles.

Oggi a frittata fatta con cieli e aeroporti che scoppiano di nuovi aerei e nuove rotte grazie alla liberalizzazione dei cieli, ci si viene a raccontare che prima di prendere l’aereo dovremmo valutare se esiste un mezzo più ecologico che ci porta alla stessa destinazione da noi prescelta.

Ma i personaggi politici non dovrebbero avere quella lungimiranza, quella lucidità che li dovrebbe portare ad adottare misure tali che i problemi vengano prevenuti anziché causarli? Quando noi puntiamo il dito verso la deregulation accusandola di aver provocato uno sfascio generalizzato del sistema aereo, non manca chi ci fa notare che noi siamo dei nostalgici dei tempi del monopolio dei cieli.

Ciò non è affatto vero; semplicemente crediamo che quando si fanno le rivoluzioni bisognerebbe in via preventiva valutare tutti i pro e i contro, appurare ad esempio se esistono spazi e modi per attuarle, o se piuttosto non è il caso di privilegiare altri sistemi di trasporto meno invasivi.  

E comunque una cosa va detta a chiare note: favorire una miriade di voli e di nuove compagnie per poi mettere una forma di tassazione sul carburante bruciato, è il modo più ipocrita, più puerile di agire, un modo che dimostra l’assoluta mancanza di una seria programmazione verso quello che avrebbe dovuto essere l’obiettivo primario di chi ha il compito di governarci: il rispetto dell’ambiente.

 Antonio Bordoni