Di Eleonora Boggio.

A seconda della prospettiva, se la si abbraccia a volo d’angelo o si raggiunge per mare, la regina delle Pelagie mostra il suo cuore. Un cuore brullo, di arenaria rossa che emerge come una lama dal blu cobalto del mare. E uno turchese, che si raggiunge quando l’ancora tocca il fondo dell’acqua più limpida del Mare Nostrum. Però, è solo sbarcando, o atterrando lungo quella pista d’asfalto che percorre l’isola in tutta la sua lunghezza che si percepiscono i battiti di quello vero. Nascosti nei cortili con i muri a secco, dentro i dammusi, persi tra le bouganvillae e il timo selvatico.

In una cappella con gli ex voto dei naviganti che parlano di vite strappate da una tempesta e che raccontano gli abbracci di quelle restituite da un’onda amica. Su una tovaglia a scacchi dove una pasta alla Norma si mescola con i profumi delle spezie africane e il cumino e i datteri abbelliscono un piatto di cous-cous.

Certi incontri sono come gli scambi dei binari, uno spostamento appena percettibile e la vita cambia scena.

Accade ogni giorno a Lampedusa.

L’isola dell’alto mare

Il nome dell’arcipelago cui appartiene, affonda le radici in un lontano etimo greco. Quello delle Pelagie, sinonimo di alto mare dove lo scirocco, che sa di Africa, schiarisce il pensiero e rende tiepido l’inverno. Dubbi, invece, sul significato di Lampedusa. C’è chi lo attribuisce alle lampare che segnalavano ai migranti l’avvicinarsi della terra ferma, chi crede invece siano i molluschi di cui sono piene le coste, ad averlo determinato.

Una certezza è la collocazione dell’isola, che emerge dal mare, all’altezza della Tunisia. Pur essendo Italia a tutti gli effetti, complice una morfologia che la rende un attracco sicuro tra le correnti del Mediterraneo, Lampedusa è sempre stata un porto di transito. Ragion per cui vanta una storia peculiare scandita da periodi di abbandono durati interi secoli e svoltasi quasi sempre al margine delle vicende siciliane hanno.

L’isola giunse, nel 1986, agli onori della cronaca e quindi pervenne all’attenzione degli organi di stampa quando il Colonnello libico Gheddafi sparò due missili contro questo estremo lembo di territorio italiano. Sebbene l’isola, di forma triangolare dalle coste inaccessibili sui versanti occidentali e settentrionali, interrotte da frequenti cale, sul versante orientale e meridionale, fosse ben nota alle genti del mare.

Dai Fenici, ai Greci, dai Romani agli Arabi. Dopo quattrocento anni di solitudine interrotta dalle incursioni dei pirati, nel 1760 fu colonizzata da sei francesi seguiti, dopo sedici anni, da un nucleo familiare maltese. Perfino i Russi, capitanati dal principe Potemkin che tentò l’acquisto dell’Isola per poter insediarvi una colonia di sudditi della zarina. Questo perché Lampedusa, da sempre, è stata considerata un’isola appetibile per ubicazione e per le risorse di cui era dotata.

Fu solo, però, nel 1943 con il sopraggiungere di una colonia pantesca che si può iniziare a parlare di una vera comunità residente. Che, insieme alla coltivazione del cappero portò in eredità una bizzarra architettura fatta di pietre.

Ezio, il nocchiero dei dammusi

 
Nonostante vanti all’attivo una nutrita dose di miglia e di sistemazioni in situazioni oggettivamente bizzarre, mi sono sentita una novizia. Non avevo mai dormito in un dammuso. Al punto che ci ero rimasta male quando, in aeroporto, avevo realizzato che i colleghi della stampa erano stati condotti verso strutture il cui nome mi era già noto. L’essere unico, di primo acchito, risulta spiacevole. Dovevo ricredermi, perché sbagliavo e di grosso. A cinque minuti dalla pista, una strada sterrata conduce al borgo di Cala Creta (http://www.calacreta.com/), dove le arcaiche costruzioni modellate con la pietra emergono come sassolini abbandonati da un gigante distratto.

Mi lasciano una chiave. Piddirini 9, un enigma, la scritta che reca impressa. Percorro col trolley un selciato. Le pietre ostacolano il cammino delle ruote e, nel procedere sollevo una nuvola di polvere. Sono stanca del viaggio e l’umore non è dei migliori, fino a quando apro la porta e trovo la meraviglia.

Non aspettatevi televisori al plasma o vasche idromassaggio con cromoterapia ma per chi vuole cercare la pace e l’armonia in un viaggio, i dammusi di Cala Creta sono la soluzione ideale. Credevo, ancora una volta a torto, che l’ardita costruzione di pietra con muri a secco fosse prerogativa dell’isola di Pantelleria, e per la seconda volta mi sbagliavo. In parte, almeno. Perché a progettarli sono stati la colonia pantesca di metà ottocento facendo uso però della materia prima locale. Al posto del malleabile tufo lavico che faceva da base per le loro costruzioni il dolomite, coriaceo e resistente. D’altronde il dammuso rappresentava la perfetta soluzione. I muri spessi e le fessure al posto delle finestre garantivano freschezza durante la canicola africana, e conservavano il calore per l’inverno.

Osservo quella che sarà la mia tana per i prossimi tre giorni. Una veranda di pietra ospita un salottino en plein air affacciato sul mare. L’arredamento è essenziale ma l’impatto è straordinario. Comincio a ritrovare la pace che cercavo ma è a cena che mi riconcilio definitivamente con me stessa.

Davanti a un piatto di caponata, lasciando scivolare tra lingua e palato i pomodori secchi e le delizie che le acque locali regalano. Intorno a un ulivo, nel giardino arabo. In cucina c’è Omar, un cuoco tunisino che gioca con gli ingredienti creando sintesi di sapori in bilico tra l’oriente e l’occidente.

Mentre, oltre le fessure del dammuso, si consuma una notte d’incanto, incendiata da stelle.

 

Spiagge e coste

 Se partendo dal porticciolo e procedendo verso ovest la Guitcia risulta il fazzoletto di sabbia più agevole per chi cerca la spiaggia a portata di mano, vista dal catamarano, Lampedusa offre un panorama di una bellezza disarmante. Mi piace immaginare sia per questo motivo che alcune colonie di tartarughe marine scelgono l’isola dei conigli come nido per deporre le uova. Migrano fino alla costa, oltre la baia della Tabaccara, in quell’istmo di sabbia che collega una falesia a picco sul mare con questo scampolo di terra. In quello scampolo di sabbia Domenico Modugno, trascorse i suoi ultimi anni. Lo vedevano attraversare in carrozzella Via Roma ma gli isolani preferiscono credere che siano stati i loro colori a ispirare la strofa di Meraviglioso. Quella in cui si celebra l’epifania di una delle acque più belle al mondo. “Ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto: ti hanno inventato il mare!”

Sul versante settentrionale dell’isola caratterizzato da coste alte e frastagliate in corrispondenza di punta Parise si estende una grotta ampia ma dall’angusta entrata, che consente l’accesso soltanto a nuoto, e nel cui interno è presente una piccola spiaggia di sabbia. Proseguendo verso ovest, ha inizio da qui un tratto di costa caratterizzato dalla presenza degli Scogli Pignolta, Sacramento e Faraglione, seguiti da Punta Muro, Punta Cappellone che scende a strapiombo sul mare, Cala Ruperta, Punta Taccio Vecchio e Punta Alaimo che marcano un lungo litorale particolarmente selvaggio. Partendo dal porto s’incontra l’insenatura che ospita la spiaggia della Guitgia, oltrepassata la quale comincia un tratto di costa caratterizzato da punte e cale di interesse morfologico come Cala Croce e Cala Madonna, particolarmente profonde, Cala Greca e Cala Galera. Smeraldo, turchese, cobalto, in un gioco di rifrazioni.

Non manca una riserva naturale che si estende da Cala Greca sino al Vallone dell’Acqua delimitata a nord dalla strada che conduce a Ponente. Questa comprende i caratteristici valloni di Cala Galera, della Forbice, Profondo. All’interno della riserva ricade inoltre il tratto di mare racchiuso in corrispondenza dell’isolotto dei Conigli. Ospiti tutelati dalla riserva il Falco della Regina, il Marangone dal ciuffo. Il Colubro lacertino e il Colubro dal cappuccio, e specie vegetali come la Caramulla europea, la Centaura acaulis, nonché i Ginepri fenici sopravvissuti al diboscamento, tutte specie rare, localizzate o minacciate d’estinzione.Un ecosistema perfetto in venti chilometri quadrati.

Un’isola ecologica, dunque, che organizza escursioni per avvistare delfini o snorkeling per scandagliare i fondali. Per vedere da vicino specie protette. Lampedusa offre molto per il viaggiatore che si avvicina. Destinazione intatta, la maggiore delle Pelagie è un paradiso per i sub. Per soddisfare le richieste dei turisti più esigenti, l’isola offre ottimi quattro stelle, una quindicina di tre stelle e una decina di due. Ricca l’offerta per chi desidera vivere a più stretto contatto con la cultura locale. Piccoli alberghi a conduzione famigliare, qualche B&B, pensioni, affittacamere, e case vacanze. Anche se, dopo aver girato le altre ottime strutture, la soluzione preferita resta comunque quella dei dammusi di Cala Creta. Bucolici e introspettivi per una vacanza a stretto contatto con la natura.

 

O’scià

“O’ Scià: Odori, Suoni, Colori d’isole d’altomare”, è festival-laboratorio permanente, ideato e promosso da Claudio Baglioni. Nato per sua volontà nel 2003, O scià nel dialetto lampedusano significa “fiato mio”, “respiro”. Una parola insomma che evoca dolcezza, e nello stesso tempo speranza. Baglioni ha fatto di questa, un respiro per i diritti umani, una speranza per chi sta per arrivare. O’ Scià, come un saluto, un fiato per un dono, per un progetto, per la libertà, fiato dentro il fiato attraverso parole e musica.

La nona edizione del raduno-concerto, avrà inizio venerdì 3 giugno, presso il porto di Cala Pisana dove il cantante battezzerà l’evento con una squadra di interpreti, cantautori e musicisti. Il concerto sarà preceduto da una partita di calcio amichevole di solidarietà tra la Nazionale Italiana Cantanti e il Lampedusa Calcio (giovedì 2, presso il campo sportivo) e seguito da una serie di performance artistiche itineranti, nei luoghi più suggestivi e simbolici dell’isola.
Sono i momenti salienti di Lampedusa Sùsiti (in siciliano, “alzati, sollevati, tirati su”), la tre-giorni per trasmettere solidarietà agli isolani, accoglienza ai profughi e riconoscenza ai soccorritori.
Previsto da programma un incontro di ringraziamento a quanti (Forze dell’Ordine, Operatori del soccorso, Organizzazioni internazionali, Mediatori culturali, Volontari) dedicano tempo, energie, passione e professionalità alla gente delle Pelagie e al popolo di migranti e rifugiati per lanciare, all’Italia, all’Europa e a tutto il bacino del Mediterraneo, un messaggio di sostegno, partecipazione e speranza.

 

 

……………….

Siamo arrivati al finale e allora ci sarà qualcuno che si chiederà: “Ma gli sbarchi? “

Non ho voluto parlarne, perché la stampa, troppo spesso, ha strumentalizzato le ondate dei flussi migratori facendo filtrare solo echi di demagogia mediatica.

Preferisco ricordarmi i volti incisi di rughe e gli sguardi intrisi di memoria di chi ha fatto dell’accoglienza uno stile di vita.

Ezio si sbraccia mentre sorride. “Non dimenticatevi di noi”, è l’ultima frase che sento mentre oltrepasso il controllo al metal detector che mi porta al gate. Per tornare al caos, livido e indifferente, della metropoli che mi ha adottato.

Come se fosse facile dimenticarsi di avere un cuore.

Gli rispondo con un”O’Scia’”, sussurrandolo con quel fiato sottovoce che custodisce un “Arrivederci”, all’isola del cuore.