Riceviamo e volentieri pubblichiamo la lettera di Elisabetta Pavanello,  responsabile commerciale Swan Tour, a seguito di un articolo pubblicato dal quotidiano “Il Messaggero” e scritto dalla giornalista Luana De Vita

 

Cara Liliana, ho scritto una lettera in risposta ad un articolo uscito il 10 giugno a firma di tale Luana De Vita sul Messaggero che ritengo di tale superficialità e incompetenza da avermi proprio fatto saltare dalla sedia. E allora credo di voler mettere a tua disposizione questa mia lettera aperta a tutti gli addetti del settore. Perché forse è arrivato il momento che tutti abbiano un filo di consapevolezza in più, considerando quale livello di consapevolezza vi sia fuori da qui…

Non intendo dare alcuna risposta all’articolo stesso, ma mi ha dato lo spunto per dire qualcosa ai nostri agenti di viaggio, a tutti coloro che, come noi, lavorano come matti da mesi e forse già da un paio d’anni per tenere insieme le proprie baracche, passando invece sempre per i furbetti del quartierino…

 

I sempre imperfetti

C’è una industria in questo Paese che ha una caratteristica unica, una peculiarità tutta sua. Una industria silenziosa, che costruisce viaggi, costruisce vacanze, le costruisce incastrando insieme un mosaico di quelli più difficili, quelli con tanto cielo, tanto prato, quei puzzle dove butti tutti i pezzi sul pavimento, li guardi e pensi: caspita sembrano tutti uguali, tutti inutili, invece non ne deve mancare neppure uno perché il mosaico esca bene, completo, piaccia a tutti, sia all’altezza delle aspettative di tutti. E se questo puzzle porta gli Italiani all’estero e non gli stranieri in Italia, allora sembra non interessare a nessuno.

E non bendiamoci gli occhi, non raccontiamo fandonie: questa industria sta soffrendo, sta soffrendo tanto e con lei tutte le migliaia di agenzie di viaggio in Italia, risorsa unica per noi e risorsa che a sua volta tanto dipende da noi e dal nostro di salute.

E chi in questo momento sente l’esigenza di raccontare queste cose, appartiene grazie a Dio ad una delle pochissime industrie di tour operating ancora solide, forti, con una situazione economico finanziaria talmente consolidata nei passati vent’anni da avere ossigeno a sufficienza per saper tener duro per tutto il tempo necessario. Ma nessuno di noi festeggia quando uno stimato collega dichiara fallimento e lascia a casa settanta dipendenti, così come nessuno di noi ha avuto che da dispiacersi per tutti i fallimenti che in questi ultimi anni si sono infilati a catena, uno dietro l’altro, nel nostro settore. Perché il fallimento di ognuno è l’insuccesso di tutti.

Però io sento l’esigenza di gridare a voce forte che anche questa industria vorrebbe avere al suo fianco l’informazione, la stampa, la comunicazione, il Ministero del Turismo, il Governo tutto di questo Paese, perché anche questa industria ha la sua dignità. E’ una industria da decine e decine di migliaia di posti di lavoro e di attività imprenditoriali medio/piccole che intorno a lei vivono e, ultimamente, sopravvivono.

E allora qualcuno di noi dovrà pure prendersi il carico di chiedere all’informazione di aiutarci a spiegare a tutti che nessun tour operator si sta divertendo ad accorpare voli, far fare uno scalo in più ai propri charter, a ridurre di una o due unità gli animatori pronti ad accogliere i clienti all’estero, che nessuno di noi sta facendo altro che tenere duro, stringere i denti, cercare di dare servizi sempre e comunque di qualità e sta cercando di superare insieme alle agenzie di viaggi, alle compagnie aeree, e a tutti gli addetti a questo settore, uno dei periodi più neri che si sia mai visto.

E per tornare al  puzzle, costruirlo non è mai stato facile, neppure vent’anni fa, quando c’era il tempo, il denaro, il passante attento, che lo sceglieva perché era bello, completo, il più bello, costasse quello che meritava…

Poi gli anni sono passati, i costruttori di mosaici aumentati, gli avventori diminuiti, meno attenti all’estetica e molto più attenti al suo prezzo.

Ecco, credo sia arrivato il momento per tutti noi, dell’industria del turismo outgoing di questo Paese, di raccontare fuori dai nostri uffici, fuori dalle mura sempre meno sorridenti delle nostre aziende, che siamo tutti qui, tutti con il medesimo obiettivo, a tenere insieme un’industria della quale pare interessare solo a noi, ai nostri clienti agenti di viaggio, ai nostri fornitori, spesso di Paesi del terzo mondo dove lavorano centinaia di migliaia di persone grazie a questa piccola industria che qui invece è “figlia di un Dio Minore”.

Credo sia arrivato il momento di dire a tutti che non siamo certo benefattori, lavoriamo tutti per portare a casa lo stipendio dei dipendenti e dei collaboratori, e per portare a casa dei ricavi, per pochi che siano, che ci servano a non allungare le fila di coloro, tra i nostri colleghi, che nonostante abbiamo portato lustro, lavoro e indotto a questa industria per anni, ora sono a battenti chiusi, con centinaia di lavoratori in giro a cercar alternative.

E questo lo voglio gridare a voce alta a favore soprattutto dei nostri interlocutori più preziosi, quegli agenti di viaggio che dalla loro “bottega” ogni giorno combattono con i clienti, quei turisti che, giustamente e a pieno titolo, vogliono andare in vacanza, vogliono che la loro vacanza sia perfetta, sia quella sognata da tempo, non abbia nessun impedimento, nessun disagio, insomma sia una Vacanza, con la V maiuscola. Quella vacanza che deve costare tre quattrocento euro, che deve avere un volo perfetto, in orario, comodo, senza scali, che deve prevedere una struttura con le sue piscine, i suoi animatori, il suo cuoco italiano, i suoi trasferimenti, le sue escursioni affascinanti, la sua necessaria e sacrosanta copertura assicurativa, insomma quel mosaico perfetto che noi siamo qui a costruire per loro.

E sarebbe bello se in questo Paese la stampa, la comunicazione e le istituzioni e anche le nostre stesse associazioni, si stringessero intorno a noi anziché, come mi è capitato proprio ieri con una giornalista di un importante quotidiano nazionale, fossero i primi a lamentare “disguidi inaccettabili che l’hanno portata a perdere sei ore di mare” e a chiedere a gran voce perché mai un volo che “non era assolutamente previsto facesse uno scalo, lo ha invece irrimediabilmente fatto?”.

Perché mai, signora, un tale inaccettabile disservizio?

Perché mai – chiedo io a lei – sembra che in questo Paese neppure i giornalisti più attenti abbiano ancora guardato intorno a loro e si siano accorti di come una piccola silenziosa industria, sempre imperfetta, stia cercando, con un terzo dei clienti di qualche anno fa, di continuare a fare il proprio mestiere.

E talvolta, sì è vero, e ci cospargiamo tutti insieme il capo di cenere, capita che pur di far partire i propri cento clienti contro i duecento seggiolini pagati su un aeromobile, possa cadere nell’imperdonabile oculatezza di far fare uno scalo intermedio ad un volo di bolognesi per raccogliere, sul medesimo volo, una decina di pisani, che da soli un charter non lo riempiono.

Ecco, questo il sempre imperfetto, e sempre più solo, mondo del turismo outgoing.

Con buona pace dei giornalisti/clienti. Che ci ritengono “alla nuova moda”.

Elisabetta Pavanello
Responsabile Commerciale Italia
SWAN TOUR SPA