Nel dicembre del ’91, per l’esattezza il 4 del mese, la Pan American chiudeva definitivamente i battenti dopo una cura dimagrante portata avanti nel corso degli ultimi anni, una cura però che non era servita a farla uscire dalla crisi finanziaria cui versava.  Se pensiamo che Sabena, Swissair e TWA chiuderanno molti anni dopo, capiremo subito che la compagnia denominata “the queen of the skies” è stata la prima  delle grandi ad abbandonare i cieli.  Di certo fra le compagnie a stelle e striscie non è stato questo il primo caso di chiusura ma diciamo che dall’avvio della deregulation Usa (1978) la Pan American ha senz’altro rappresentato il primo esempio di scomparsa di compagnia  eccellente a livello internazionale.

Che la deregulation avesse portato alla chiusura di molte aerolinee questo lo si sapeva, ma sarà bene ricordare che nessuno credeva che vettori dal prestigio di Pan Am avessero potuto chiudere del tutto i battenti,  quello che si credeva possibile era un ridimensionamento delle rotte, della flotta, ma la chiusura certamente no.

E’ interessante ricordare in quei mesi cosa scrivevano da noi gli addetti ai lavori (*) in particolare quelli del mondo sindacale:

“E’ davvero possibile che la concorrenza abbia piegato le gambe a questo gigante, rivelatosi d’argilla?…E tutto ciò a causa dei costi del personale?…è mai possibile che qualcosa nato per favorire l’utenza e migliorarne con tariffe più basse, la possibilità di esercizio del trasporto aereo come un bene a disposizione di sempre più ampie fasce di popolazione debba poi trasformarsi in una spada di Damocle per operatori e lavoratori del settore?  Non vogliamo con questo affermare che esista un grande disegno mondiale finalizzato a ridimensionare tutti  i lavoratori del trasporto aereo,strumentalizzando la deregulation prossima ventura…..”

Questi interrogativi ben dimostrano l’incredulità che accompagnò l’evento; in essi inoltre sono compendiati tutti quegli elementi che segnavano l’inizio della fase discendente della parabola del trasporto aereo, e da parte del mondo sindacale si iniziava a prendere atto che forse la scomparsa di quelle tariffe “alte” fino ad allora applicate avrebbe purtroppo avuto un amaro risvolto: senz’altro  una nuova fascia di utenza poteva accedere al volo, ma  allo stesso tempo prendeva il via il declino di una tipologia di impiego fino ad allora ritenuta “sicura”. Esultavano i sostenitori della teoria economica liberista che reclamavano più concorrenza, i quali però pochi anni più tardi  avrebbero dovuto rivedere le loro teorie alla luce della crisi finanziaria di settembre/ottobre 2008.

I principi che guidavano la deregulation prevedevano che mercati più liberi fossero in grado di produrre migliori risultati facendo fluire i capitali verso impieghi altamente produttivi, ma nel caso delle compagnie aeree la realtà ha dimostrato un ritorno all’oligopolio, cioè a massiccie concentrazioni, nonché la presa d’atto che i mercati non sono in grado di regolarsi da soli.

In questi giorni anche American Airlines è entrata sotto il Chapter 11, ultimo episodio di una serie infinita di fusioni, fallimenti, chiusure che hanno caratterizzato il mondo aereo statunitense negli ultimi decenni.

Quando nel 1978 la deregulation  prendeva il via sulla rotta del Nord Atlantico compagnie europee e a stelle e striscie si suddividevano le quote di mercato di quella che era la tratta più prestigiosa dell’aviazione civile oggi, per quanto paradossale possa sembrare, il Paese che ha voluto deregolamentare il  mercato dei cieli vede il mondo delle proprie compagnie aeree ridotto in briciole con quote di mercato in continuo calo. Se i fondatori del fenomeno avessero potuto immaginare la chiusura di Pan Am, di Twa nonché tutti gli accorpamenti che sono seguiti, chissà se essi avrebbero in ogni caso portato avanti il progetto a seguito del quale oggi il mondo delle compagnie aeree e dei traffici intercontinentali verte su tre megagruppi che monopolizzano le rotte mondiali.

 

(*) Area Volo, giugno 88: “Pan American precipita; meno 1, no, meno tanti” di Giorgio Scoppetta.

Antonio Bordoni