A questo punto, leggendo le notizie che trapelano sulla vicenda dei contributi che Ryanair potrebbe essere chiamata a pagare e ben sapendo che siamo il popolo più polemico del mondo, possiamo immaginare che l’Italia sia divisa in due distinti  partiti: quello che vede un intento persecutorio nei confronti dell’aerolinea low cost, colpevole di dar fastidio alle grandi, e chi invece è soddisfatto perché era ora che qualcuno facesse qualcosa. 

Normalmente per sciogliere il dilemma in questione basterebbe chiarire cosa  si debba intendere per “stabile organizzazione” in quanto è questo il termine su cui investigare per appurare se una impresa deve pagare le tasse o meno, ma nel caso in oggetto trattandosi di una compagnia aerea le cose sono più complicate.
Le investigazioni su tasse e contributi nei confronti di Ryanair sono iniziate da quando il vettore irlandese ha aperto le cosiddette “basi”,  scali ove vengono collocati un certo numero di aeromobili con gli equipaggi che per forza di cose devono basarsi nei loro pressi.
Fintanto che le low cost, le quali si sono guardate bene dall’aprire uffici di rappresentanza o di biglietteria,  si limitavano ai rapidi turn-around che contraddistinguono le loro operazioni,  vi era  ben poco su cui investigare. Ma l’avvio di questa politica innovativa ha di fatto esposto il vettore irlandese  allo scrutinio delle autorità ispettive del lavoro le quali hanno voluto appurare se il personale stanziato in prossimità delle basi dovesse essere iscritto a libro paga italiano, e come tale pagare tasse e contributi locali, oppure prendere per valida la politica adottata dall’aerolinea che considera il proprio staff come personale assunto sotto il regime della contrattualistica irlandese.
Analoghe investigazioni occorse all’estero hanno visto Ryanair smantellare la base di Marsiglia, mentre per quanto riguarda l’Italia indagini vi erano state circa la base di Pisa (2011) senza che nulla di definitivo trapelasse in merito, e poi quelle di Bergamo di questi giorni.  Ora vi è da annotare che, essendo il soggetto giuridico unico ed essendo le basi nel nostro Paese una decina, non si capisce per quale motivo viene messa sotto inchiesta ora l’una ora l’altra base, anziché procedere in blocco e in modo coordinato alla luce del fatto, lo ripetiamo che il “datore di lavoro” in oggetto è sempre lo stesso.
Il nostro Paese, specialmente negli anni passati, ha visto l’apertura di numerosi uffici di rappresentanza di compagnie aeree, comunitarie e non, e le regole adottate per quanto riguarda l’Inps, l’SSN e l’Inail, ovvero la contribuzione previdenziale e assistenziale, erano estremamente chiare: tutto il personale che lavorava in Italia veniva iscritto a libro paga italiano mentre il personale proveniente dalla casa madre rimaneva fuori dal libro paga locale, e quindi dalla contribuzione, solo se comandato temporaneamente in Italia.  Di solito sotto quest’ultima fattispecie rientrava il Manager, il Capo Contabile e il Caposcalo i quali provenivano dagli Head Offices.
Questa organizzazione che vedeva un ufficio di rappresentanza con relativo personale amministrativo e di scalo veniva ad assumere la fattispecie di “stabile organizzazione”.
Ora è indubbio che Ryanair non ha alcuno di questi soggetti da noi ricordati, bensì ha personale di volo e di cabina dislocato nei pressi della base a lui assegnata, il rappresentante non c’è  e  fra l’altro non è richiesto dalla normativa comunitaria. In tale ottica a ben vedere di stabile organizzazione se ne ravvede scarsa traccia e pertanto sul fronte fiscale (tasse sul reddito) la compagnia potrebbe anche risultare indenne dal contenzioso.

Differente è tuttavia il caso dei contributi a favore dei dipendenti.  Su quest’ultimo fronte ricordando che stiamo parlando di due Paesi entrambi appartenenti alla UE l’indagine si deve spostare sui regolamenti comunitari che stabiliscono le norme per i cittadini CE distaccati presso un altro Paese della comunità.
In tal senso viene in soccorso  il Regolamento CE n. 988 del 16 settembre 2009 il quale precisa che “ conformemente alle nuove norme, il distacco rappresenta un’eccezione a tempo limitato alla norma generale secondo cui un lavoratore deve essere assicurato nel paese in cui svolge la propria attività lavorativa.” (pag. 13 della pubblicazione “Disposizioni UE sulla sicurezza sociale” edito dalla Commissione Europea nel 2011)
Ecco venire nuovamente alla ribalta il concetto di temporaneità del distacco, mentre non sembra sussistere alcun dubbio sul fatto che per determinare dove deve essere assicurato il lavoratore va tenuto conto del luogo ove si presta l’attività lavorativa.
D’altra parte la prevalenza del luogo ove si svolge in via primaria l’attività ha una sua logica se si considera il particolare che in caso di necessità sarà questa nazione ad assistere il lavoratore dal punto di vista sanitario ed inoltre, fattore ancor più determinante, soltanto in tal modo il dipendente può veder riconosciuta appieno la maturazione dei suoi contributi.
Ipotizzando infatti un dipendente di nazionalità italiana, dobbiamo ricordare che i contributi pagati in qualsiasi paese convenzionato sono totalizzabili (non trasferibili) ai fini del computo della pensione italiana. In altri termini se, ad esempio, a fine carriera e all’atto della pensione il lavoratore può vantare 20 anni di contributi in Italia e 10 in Irlanda potrà vantare, ai fini del diritto, 30 anni di contributi ma la pensione italiana  verrebbe calcolata sui soli 20 anni versati all’INPS salvo ricevere in seguito (o contestualmente a seconda di quando maturo il diritto nel paese convenzionato)  il “pro rata” da parte (in questo caso) dell’ente previdenziale irlandese.
In poche parole i periodi lavorativi resi con contribuzione presso  un paese convenzionato valgono ai fini dell’anzianità contributiva ma non ai fini della misura (quota pensione) per la quale, come sopra precisato, il lavoratore riceverà un trattamento aggiuntivo da parte del Paese in convenzione solo allorquando avrà soddisfatto il  requisito anagrafico vigente in tale stato.

Un ulteriore particolare viene però a complicare il già complesso scenario. E’ noto che da qualche anno a questa parte il nostro territorio è divenuto terra di conquista da parte dei vettori low cost anche sui collegamenti domestici; ciò da quando a un vettore comunitario è permesso il cabotaggio cioè l’attivazione di settori domestici in casa altrui (cosiddetta ottava libertà).

L’ottava libertà, abitualmente denominata “cabotaggio”, è stata avviata nel quadro della realizzazione del mercato unico dei trasporti aerei entrato in vigore il 1° luglio 1997 dopo un lungo processo di liberalizzazione che è stato ultimato con tre successivi pacchetti avviati dal luglio 1992.
Ebbene, secondo una certa interpretazione, gli equipaggi alle dipendenze di quei vettori che operano settori domestici in casa altrui, dovrebbero venir considerati di passaggio e per essi, a maggior ragione, varrebbe quella temporaneità che li renderebbe esenti dai contributi.
Insomma il caso della contribuzione Ryanair è una matassa notevolmente ingarbugliata, e a tutte le considerazioni di carattere legislativo sopra esposte andrebbe aggiunta per la verità  un’ultima considerazione dal carattere “pratico” : se uno scalo dovesse perdere l’ambito status di base, reclamerebbe subito perdite di entrate, nonché di posti di lavoro …..

Antonio Bordoni