Le alleanze si stanno poco a poco sgonfiando nella loro valenza. Nessuno prova più a dire che sono centrali all’industria del trasporto aereo, piuttosto la nostra definizione che esse servono da “paracadute” per attenuare la caduta dei vettori o se preferite la loro parabola in discesa, ogni giorno che passa sembra essere sempre più appropriata.
Al di là delle battute è comunque ormai evidente che la salute dei conti di una aerolinea non migliora affatto pur facendo parte di una delle tre formazioni.
Quanto sta accadendo in India è una indiretta conferma delle nostre osservazioni. L’Air India, una volta vettore di prestigio mondiale, dal febbraio 2011 ha assorbito Indian Airlines ma il merger è poco servito a far migliorare i conti. La compagnia in termini di market share domestico si trova oggi alle spalle di “ultimi arrivati” quali SpiceJet, IndiGo e Jet Airways. Il vettore, alla pari di tanti altri nel mondo, sta vivendo momenti finanziari critici; dal 2008 al 2012 sono state accumulate perdite per 5.25 miliardi di dollari Usa e l’uscita dal mercato di un concorrente come Kingfisher se ha contribuito ad alimentare un po’ di speranza, lascia purtroppo i risultati ancora drammaticamente in rosso.
In questo scenario si è inserito l’accordo tra la Etihad e la Jet Airways che significa che la compagnia di Abu Dhabi disporrà di 36.000 posti settimanali nei collegamenti verso l’India e ciò non ha fatto piacere a Emirates, Qatar Airways e Gulf Air le quali a loro volta chiedono più frequenze verso le destinazioni indiane. Va ricordato che la rotta Dubai-Mumbai è attualmente il collegamento ai vertici delle rotte più trafficate tra Medio Oriente e destinazioni asiatiche. In tutto ciò chi non dorme sonni tranquilli è nuovamente Air India.
Ecco allora che qualcuno ha avuto l’idea di far entrare la compagnia in una alleanza sperando in tal modo di poter alleviare i problemi economici e, fra le tre, la scelta è caduta sulla maggiore di esse ovvero Star Alliance capitanata da Lufthansa. In effetti l’idea di portare Air India dentro questa alleanza non è del tutto nuova; la sua candidatura come membro risale addirittura al 2008 ed era appoggiata da Lufthansa la quale fra l’altro sperava in tal modo di ottenere il benestare dalle autorità indiane per volare in India usando l’Airbus 380.
Ma la doccia fredda per la compagnia tedesca è arrivata nella primavera del 2011, quando il ministero dell’aviazione civile indiana senza mezze misure affermò che “an A380 coming into the country means cutting off the business of domestic carriers, we can not allow that.”
A questo punto i soliti maligni dissero che si trattava di una ritorsione per il fatto che l’entrata di Air India in Star Alliance tardava, ma rimane il fatto indiscutibile che un A380 significa 139 posti in più rispetto al 747-400 o 255 posti in più se comparato al Boeing 777. In quell’occasione Lufthansa fece presente che l’aeroporto di Delhi era in grado di ospitare anche l’Airbus 380 ma questa osservazione non portò ad alcun cambiamento di rotta: evidentemente in India le compagnie aeree hanno ancora la precedenza sugli aeroporti, elemento questo da troppe nazioni dimenticato.
Ora chiuso il capitolo sull’A380 che continua ad essere vietato sugli scali indiani con Lufthansa costretta ad usare ancora i Boeing 747 e gli Airbus 340, l’India ha provato ad attuare un’altra strategia la quale, sempre secondo fonti non ufficiali, punterebbe a far pressioni per sbloccare l’entrata dell’ex vettore di bandiera in Star Alliance.
Abbiamo più volte scritto articoli sul fatto che Austrian Airlines e Swiss International sono controllate al 100 per cento da Lufthansa, ebbene le autorità indiane per l’aviazione civile hanno aperto una indagine per appurare se questi due vettori ottemperano al principio della ownership per quanto riguarda la loro presunta nazionalità alla luce degli accordi bilaterali aerei.
La questione dal punto di vista giuridico è alquanto complessa: come si fa a considerare svizzera una compagnia il cui pacchetto azionario è controllato al 100 per cento da una società straniera? Stesso quesito vale nel caso del vettore austriaco. Il caso aperto dalle autorità indiane punterebbe a creare problemi alla Swiss e alla Austrian nei loro collegamenti con l’India in quanto essi non sarebbero più vettori svizzeri e austriaci bensì tedeschi.
La ragione dell’apertura di questo nuovo fronte? In realtà i motivi potrebbero essere due. Il primo nuovamente quello di riuscire a mettere Air India sotto l’ombrello di Star Alliance, reputando che ciò possa servire a dare più garanzie di “tenuta”. Il secondo potrebbe avere a che fare con la tassazione sulle emissioni di CO2 (ETS, Emission Trading Scheme) di recente varata dalle autorità europee la quale ha non poco irritato vari Paesi con richieste di sua cancellazione o di esenzioni. Di certo si può dire che il governo indiano le sta provando tutte per raggiungere il suo scopo.
In merito a quanto da noi fin qui esposto vi sono due risvolti della medaglia da valutare. La prima considerazione che ci sentiamo in dovere di fare è che non fa piacere vedere un Paese che attua ritorsioni o si mette alla ricerca di ogni possibile cavillo per rendere la vita difficile ai concorrenti dei suoi vettori nazionali.
L’altro aspetto della medaglia è che sia pur con queste premesse non condivisibili non può dispiacere di prendere atto che vi sono nazioni che ancora cercano di proteggere gli interessi delle proprie compagnie aeree. Ripetiamo, sono due punti in contraddizione fra loro, i quali tuttavia mostrano quanto sia difficile, se non impossibile, sradicare l’idea della sovranità nazionale.
Proprio in questi giorni parlando della questione Alitalia, una fonte di Air France, ha dichiarato una frase alquanto sconcertante ma che ben rispecchia la strada intrapresa dai vettori globali: “ nello scenario europeo e globale che abbiamo davanti nessun gruppo può sopravvivere mantenendo l’idea di sovranità nazionale”.
Sono dichiarazioni gravi che vengono proprio da chi ha formato un gruppo nel quale, guarda caso, le compagnie continuano a rimanere distinte (parliamo di AF/KL). Non solo ma va anche ricordato che per poter acquisire la maggioranza azionaria di un vettore straniero (come nel caso surriportato di Austrian e Swiss) l’industria aerea è dovuta ricorrere ad un discutibile espediente il quale punta A MANTENERE in ogni caso la nazionalità originaria del vettore: ci riferiamo al principio della ownership il quale è stato soppiantato da quello del PPB ovvero del Principal Place of Business.
Perché parliamo di discutibile espediente? Perché pur di poter procedere all’acquisizione di ex vettori di bandiera in difficoltà, fatto questo che non si sarebbe potuto attuare se non facendo perdere l’identità nazionale di essi, si è voluta ancorare la nazionalità al luogo ove la compagnia ha il suo principale punto di affari.
Nel caso Swiss ad esempio, la compagnia è al 100 per cento controllata da Lufthansa (ownership), ma dal momento che il suo Principal Place of Business è situato in Svizzera la compagnia si può ancora considerare elvetica (!).
Come ben si comprende però, in tal modo è come se Lufthansa volasse in India non solo con i suoi servizi, ma anche facendo uso di quelli della compagnia svizzera e di quelli della compagnia austriaca, è chiaro il concetto?
E’ sempre un grande piacere leggerla sig. Bordoni. Un caro saluto a Lei e Sua moglie.