di Antonio Bordoni.

E così quello che non sono riusciti a fare commissari e super commissario, alla fine lo ha fatto un invisibile virus.  L’Italia non può fare a meno di un vettore nazionale di riferimento che assicuri il mantenimento dei collegamenti aerei: è questo in estrema sintesi il succo della spiegazione che il mondo politico italiano ha esternato per giustificare la possibilità di nazionalizzazione della compagnia tricolore.

Questa soluzione giunge fra l’altro a puntino in un momento in cui tutte le compagnie aeree stanno chiedendo aiuti e sussidi, particolare questo che fornirebbe al nostro governo un ottimo alibi per giustificare la marea di denaro pubblico profuso per mantenere in vita una compagnia incapace da decenni di generare un pur minimo profitto. E, last but not least, permetterebbe di salvare la faccia per tutti i buchi nell’acqua fatti alla ricerca dell’acquirente nel corso delle tante aste lanciate sul mercato.

Un insieme di favorevoli congiunzioni astrali che il mondo politico italiano  non poteva lasciarsi sfuggire.

Noi non crediamo al caso e così quando oggi sentiamo riproporre la “nazionalizzazione” riteniamo che  l’iniziativa sia l’opportunità catturata al volo del momento emergenziale che gli italiani stanno passando, del fatto che le preoccupazioni degli stessi siano prese da ben altri più seri motivi, e che il governo approfitti dello stato confusionale dell’opinione pubblica per far passare soluzioni che in tempi normali avrebbero provocato non pochi malumori e comunque sarebbero state adottate con più cautela e ponderazione.

In breve, la nuova compagnia tutta pubblica dovrebbe ripartire con una flotta ulteriormente ridotta rispetto all’attuale composta da 110 velivoli, e ciò dovrebbe avvenire in tempi brevissimi in quanto la liquidità di cassa sta terminando. Ma è proprio sui tempi che vi è grande perplessità. In questo momento Alitalia, come del resto tutte le compagnie aeree che hanno tagliato i voli, ha introiti ridotti al minimo e un nuovo tentativo di riavvio in questa fase significa partire allo sbaraglio nel momento più sbagliato che si potesse scegliere.

La possibilità della nazionalizzazione è senz’altro fattibile dal punto di vista comunitario, tuttavia tenendo conto che Alitalia si sta reggendo con gli aiuti di Stato e che su questi la Commissione europea deve ancora esprimersi, è chiaro che si partirebbe con la spada di Damocle sulla testa.

Il costo per le casse pubbliche è già allo stato attuale salatissimo. I 900 milioni di euro erogati hanno maturato 200 milioni di interessi; a questi vanno aggiunti i 400 milioni concessi  lo scorso dicembre, e giungiamo così a 1 miliardo e mezzo, e poi ci sono i 500 milioni stanziati con il decreto Cura Italia. E tutto questo sta avvenendo in un momento in cui gli italiani vengono invitati a mettere mani nei loro portafogli per “dare una mano” al governo nella lotta contro l’epidemia.

Se venisse confermato l’avvio della newco possiamo mettere una bella croce sopra a quanto finora corrisposto per tenere in vita AZ, e ovviamente c’è da attendersi che con la costituzione della badco il totale cifra sborsato aumenterebbe ulteriormente.

 

Nel bel mezzo di tutti questi punti interrogativi non si può poi ignorare la domanda  fondamentale: quale compagnia prenderebbe il volo?  Il numero degli aerei che rimarrebbero in flotta dice poco o nulla, l’importante è vedere se si vuole operare sul corto-medio raggio, come ha fatto la greca Aegean, o se si vuole mantenere il solito mix di lungo e corto raggio che  con le conduzioni commissariali non sembra aver fatto uscire la compagnia dal tunnel.

Altro punto da chiarire è come si intreccia la decisione della nazionalizzazione con la procedura di cessione avviata dal commissario Giuseppe Leogrande. A proposito della quale, come nel più classico dei film di Hitchcock, alla mezzanotte del 18 marzo, allo scadere dell’ennesima manifestazione di interesse sono spuntate offerte. Si è fatto avanti il gruppo Almaviva attivo nella digitalizzazione delle imprese e nella fornitura di software informatico. Va da se che se il gruppo dovesse andare avanti nella sua scalata in ogni caso si avrebbe bisogno di quel partner industriale, ovvero una compagnia aerea, che è stato sempre il grande assente nelle ripetute messe in vendita della compagnia.

Come si inquadrerebbe l’interesse di Almaviva nel piano di nazionalizzazione di Alitalia? Il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli che appena lo scorso dicembre avvertiva che  Alitalia “perde circa 2 milioni al giorno, vorrei sapere cosa si può fare di più rispetto a quanto stiamo facendofirmato bonifici pari a 400 milioni, questo è davvero l’ultimo intervento dello Stato” (1),  il 19 marzo ha dichiarato che comunque vadano le cose con l’ultima asta, sarebbe il caso di “ripartire con una nuova società pubblica che possa in questo momento garantire il servizio pubblico essenziale anche con una flotta ridotta.” (2)  Il diffondersi dell’epidemia e il particolare che molte compagnie aeree europee hanno provveduto a far rientrare in patria i loro connazionali bloccati all’estero, ha contribuito ad alimentare la soluzione della nazionalizzazione.

Altra offerta pervenuta alla mezzanotte è quella della Us Aerospace Partners Inc. che sarebbe pronta a rilevare la compagnia in un unico lotto. La società è rappresentata dal nipote dell’ex ministro del tesoro DC Giovanni Goria, Carlo Goria. Quest’ultimo vanta al suo attivo esperienza alla Meridiana Fly nella quale era in pratica il numero 2  negli anni in cui questa era diretta da Massimo Chieli. (3)

 

Se è tutto da vedere  come i piani industriali presentati dagli offerenti potranno conciliarsi con i vincoli previsti dal piano del super-commissario Giuseppe Leogrande, ora a questo aspetto si aggiunge l’altro della nazionalizzazione la quale si va a sovrapporre  a quanto sta facendo il commissario. La matassa si va facendo sempre più aggrovigliata e non ci meravigliueremmo affato se anche questo tentativo si tramutasse in un aborted take off.

 

 

 

tratto da www.aviation-industry-news.com