di Roberto Necci.

La crisi a cui da anni stiamo assistendo non ha solo cambiato radicalmente il nostro modo di concepire gli affari ma ha modificato anche il criterio con il quale vengono valutati i beni e in particolare modo gli assets aziendali.

 

Nelle settimane precedenti il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 uno degli aspetti più allarmanti fu l’impossibilità da parte degli azionisti e del management della banca d’affari di determinare il valore di alcuni assets ovvero attivi (immobiliari e finanziari) che erano iscritti a bilancio con dei valori che il mercato non riconosceva più e che quindi non avrebbe acquistato. Da qui l’impossibilità di liquidarli per far fronte ad un debito garantito da quegli stessi valori iscritti a bilancio che a quel punto diventarono irreali. Un grande vecchio della finanza italiana, Enrico Cuccia, era solito affermare “i debiti sono sempre certi” potremmo aggiungere ora più che mai che è l’attivo delle aziende a essere incerto e di conseguenza il debito diventa estremamente gravoso.

 

Il settore alberghiero italiano che ha la quasi totalità dei debiti garantito da attivo immobiliare non è immune a questa situazione, anzi è probabilmente tra i settori più colpiti, malgrado gli organi di informazione non abbiano mai evidenziato tale problema. Quando si iscrive a bilancio un attivo, il valore di un immobile o di una partecipazione, questo valore non è determinato da una valutazione oggettiva, quanto piuttosto soggettiva.

 

Soggettiva in quanto l’attribuzione di un valore è figlia di una scelta/strategia di investimento nonché di particolari situazioni di mercato determinate e determinabili nel momento in cui l’investimento viene effettuato.

 

Non possiamo aver certezza per il futuro che determinate condizioni rimangano costanti visto che possono cambiare i fattori macroeconomici, geopolitici, i trend, come pure le aspettative degli operatori economici. Il problema può nascere quindi quando si ha l’intenzione/necessità di smobilizzare un investimento per mettere finanza al servizio dell’impresa, o per capitalizzare nel caso tipico del capitalismo famigliare, in vista del ritiro dell’attività. Non sempre il mercato accetta i valori o le aspettative dell’imprenditore.

 

In una società fondata sulla certezza del valore del mattone sicuramente questi momenti appaiono drammatici. Anche qui attingere a esperienze passate ci sarà utile per meglio comprendere alcuni aspetti nonché per evidenziare quanto il settore alberghiero abbia necessità di aprirsi e/o suscitare interesse alle attività tipiche di merchant e investiment banking.

 

Nel 2008 nelle settimane del crollo di Wall Street alcune banche d’affari con le stesse problematiche di Lehman si salvarono, non solo per l’intervento governativo ma anche perché un mercato dei capitali particolarmente attivo e vivace (questo al capitalismo Usa va senz’altro riconosciuto) ha permesso una serie di aggregazioni, fusioni o ingresso nel capitale di altri soggetti che apportarono a seconda dei casi liquidità e/o complementarità nel business.

 

Purtroppo nel settore alberghiero nel nostro paese manca una cultura finanziaria e soprattutto imprenditoriale in grado di applicare, e più spesso comprendere, le dinamiche originarie del merchant banking tradizionale.

 

Per operazioni di merchant banking si intendono le operazioni sul capitale, le acquisizioni, le fusioni, gli investimenti di minoranza/di maggioranza all’interno delle aziende. Tutte operazioni finalizzate alla creazione di valore.

 

Dobbiamo essere chiari: nel nostro paese il numero di strutture alberghiere è ineccesso; i costi di struttura di hotel di piccole dimensioni (meno di 30 camere la media del nostro paese) azzerano qualunque tipo di marginalità economica e di ritorno sull’investimento. Queste strutture non risultano interessanti neanche per potenziali investitori.

 

Ritornando al settore alberghiero oggi più che mai vale la massima “gli hotel valgono quanto rendono”, l’Ebitda non è solo il valore che determina i risultati di una gestione, è soprattutto il ritorno di un investimento potenziale. Pertanto il valore di una azienda alberghiera è dato dalla sua capacità di generare profitto e non dai valori iscritti a bilancio.

 

Perde pertanto appeal la componente immobiliare, essendo quest’ultima strumentale all’attività di impresa e non costituisce per un investitore valoriale a se stante.

 

Se dovessimo quindi guardare la situazione alberghiera italiana utilizzando il parametro reddituale, avremmo un valore più che dimezzato rispetto alle aspettative dell’imprenditore o dei valori iscritti a libro. Si dice che rispetto a una situazione analoga ma riferita al comparto immobiliare statunitense Alan Greenspan, l’ex presidente della Federal Reserve, espose la sua teoria: il mercato è regolato dalle dinamiche domanda/offerta. Il valore degli immobili negli Usa è così basso perché c’è un eccesso di offerta pertanto il governo Usa dovrebbe acquisire le case in vendita e distruggerle per riposizionare l’offerta al giusto valore.

 

Purtroppo Greenspan aveva ragione nelle regole domanda/offerta.

 

Siccome abbastanza difficile passare dalla teoria (dinamiche domanda/offerta) alla pratica (distruzione dell’offerta in eccesso) è altamente probabile che il settore alberghiero o gli stakeholders (banche in primis) debbano cominciare a rivedere alcuni modelli di business o di aspettative dell’investimento.

 

Tempo da perdere ce n’è davvero poco, ma è anche vero che l’unicità del settore alberghiero italiano rappresenta per i soggetti in grado di comprenderne le dinamiche una occasione unica.

 

Quale dovrebbe essere il piano di azione?  Innanzitutto le operazioni sul capitale.

 

Vi è necessità di soggetti (merchant banks o divisioni di banche commerciali) in grado di comprendere le logiche alberghiere; soggetti in grado di applicare/proporre le operazioni di merchant/investment banking anche alle realtà del settore favorendo la nascita di cluster/gruppi alberghieri.

 

Vediamo alcune casistiche di cui si dovrebbero occupare: favorire l’investimento di privati come canale alternativo al finanziamento bancario.

 

Si dirà che operazioni di finanziamento di questo tipo non interessano importi tutto sommato limitati. È evidente che operazioni come quella sopra descritta necessitano a monte di attività di merger & acquisition finalizzata alla creazione di realtà più strutturate (Cluster/Gruppi alberghieri). Sostanzialmente si tratta di fondere due o più aziende, distribuire le quote di capitale in funzione degli apporti netti e impostare strategie gestionali funzionali alle economie di scala (marketing & sales condiviso, centrale acquisti, personale, direzione amministrativa, revenue management, food & beverage). Si comincerebbero così a creare Cluster alberghieri in grado di suscitare l’interesse di investitori non solo nazionali. E qui cruciale dovrebbe essere il ruolo propositivo delle attività di merchant banking nella ricerca/offerta di opportunità di investimento.

 

I dossier che girano sulle scrivanie dei fondi di investimento sull’Italia alberghiera sono da anni sempre gli stessi e deal clamorosi non se vedono all’orizzonte. Vedo, invece, enormi opportunità di business per quei soggetti in grado di focalizzarsi sul settore alberghiero applicando e strutturando quelle operazioni che all’estero e soprattutto in altri comparti industriali permettono all’investimento di essere più facilmente “liquido” e quindi potenzialmente più interessante. Un modo quindi per stimolare l’economia nonché per mettere (finalmente) la finanza al servizio dell’impresa.

Roberto Necci

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